L’export-di-Varese-in-un-mondo-multipolare

L’andamento della bilancia commerciale (sempre positiva) negli ultimi 30 anni. L’evoluzione nella localizzazione degli scambi e l’importanza crescente dell’Est. I cambiamenti nelle catene globali del valore dopo la Brexit e gli stravolgimenti negli equilibri geopolitici con l’avvento del protezionismo. Le prospettive di fronte a un futuro sempre più difficile da interpretare con il termine globalizzazione. Ecco una breve analisi del made in Varese sui mercati internazionali

La forte propensione agli scambi internazionali ha sempre fatto parte dell’identikit del tessuto manifatturiero varesino. A dare una misura tangibile di questo fenomeno, il valore delle esportazioni di merci in percentuale del valore aggiunto: in Provincia di Varese ammonta al 39,9%, mentre per la Lombardia il dato risulta pari al 34,5% e per l’Italia “solo” al 29,3%. Ma come siamo arrivati a questi dati? Come ha reagito il territorio alla globalizzazione e ai suoi sviluppi?

La bilancia commerciale


Le origini della globalizzazione contemporanea risalgono ai primi anni ‘90, quando il radicale cambio degli assetti geopolitici ad Est, l’istituzione del Mercato Unico Europeo, gli accordi commerciali stipulati in varie regioni del mondo hanno fatto da primi propulsori. Il saldo della bilancia commerciale della Provincia di Varese, considerando il totale dell’economia, mostra cosa sia successo allora al territorio: da +645 milioni di euro (valori correnti) nel 1991, a un balzo nel 1993 a +1,4 miliardi di euro per poi assestarsi su una media di circa +1,7 miliardi di euro tra 1995 e 1999. Tuttavia, questo periodo non vede ancora una grande diffusione degli scambi verso l’extra-Europa. Il vero salto di qualità per la performance internazionale di Varese è arrivato dopo il 2004, ultimo anno in cui si registra un saldo commerciale sotto i +2 miliardi di euro. Nel 2004, l’Unione Europea si espande vedendo l’ingresso di vari Paesi dell’Est, tra cui la Polonia (uno dei nostri partner chiave attuali). Inoltre, sempre in quell’anno la Cina, in conseguenza all’ingresso nel Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001 e alla ratifica di un Accordo di Libero Scambio con l’Asean (l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico) nel 2002, raggiunge il culmine di una serie di liberalizzazioni sulle barriere al commercio internazionale. Dal 2005 al 2013 il saldo della bilancia commerciale della Provincia di Varese vede così un incremento continuo e incessante, con solo una fase di rallentamento della crescita negli anni immediatamente successivi alla crisi del 2008, fino al massimo del 2013, pari a +4,3 miliardi di euro.

La localizzazione degli scambi 


La localizzazione degli scambi commerciali complessivi (come somma di esportazioni e importazioni, a valori correnti in euro) ci mostra come l’espansione del commercio internazionale varesino abbia assunto una forma decisamente più “globale” proprio a partire dal post-2004: gli scambi commerciali della Provincia di Varese intra-Europa tra il 2001 e il 2004 pesavano all’incirca il 77% del totale, mentre dopo il 2004 il peso “gravitazionale” degli scambi extra-Europa (ossia l’attrazione “gravitazionale” di altre aree per il nostro commercio) è aumentato sempre più, fino a “sfondare” il 30% sul totale e arrivare a toccare il 35% nel 2015. Tra le singole macroaree, l’Asia risulta essere la più avvantaggiata, con un sostanziale raddoppio del proprio peso sui nostri scambi totali negli ultimi anni.
Si arriva a questo punto a un secondo momento di transizione nella storia del nostro commercio internazionale, il 2016: anno in cui la vittoria del “Leave” nel Referendum sulla Brexit e di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi segnano una forte cesura. Politiche commerciali protezionistiche e la revisione di vari accordi commerciali portano a una prima rimodulazione delle catene internazionali del valore. Il peso “gravitazionale” dell’Asia negli scambi varesini, dopo il massimo del 15% raggiunto nel 2016, non cresce più e diventa altalenante negli anni a seguire, scendendo al 12,3% nel 2020, a causa della forte disruption della pandemia di Covid-19 e dei conseguenti lockdown. Dall’altra parte, gli scambi intra-Europa, da anni stabilmente sotto il 70%, tornano nel 2017 sopra questo peso e arrivano a toccare quasi il 73% nel 2020. 

I cambiamenti delle catene globali 


Ma, a proposito di catene globali del valore, quali delle nostre filiere hanno subìto significativi cambiamenti? Il comparto dell’aerospazio ha visto un’evoluzione decisamente positiva degli scambi negli ultimi vent’anni, con un’espansione del peso del proprio export sul totale manifatturiero, pur tenendo conto della “ciclicità” delle commesse. Mantengono invece pressoché lo stesso peso sul totale manifatturiero, sia a livello di import sia di export, il mondo della meccanica strumentale in senso stretto (macchinari e apparecchi) e quello della gomma-plastica. Ciò che è successo in questi due comparti è stato più un fenomeno di “shift” di localizzazione del proprio portafoglio estero di import. La Cina, da Paese “marginale” da cui importare materie prime, semilavorati e prodotti, è diventato sempre più rilevante per le supply chain: per la meccanica strumentale l’import cinese contava nel 2001 “solo” il 6% del portafoglio del comparto, mentre nel 2021 è arrivato a contare ben il 9,5%; per la gomma-plastica, l’incremento è stato dal 4,8% al 12,5%. Fenomeno ancora più incisivo per il mondo dell’elettrotecnica e degli elettrodomestici, che ha visto aumentare di peso il proprio import negli anni e la presenza della Cina tra i Paesi fornitori: la proporzione dell’import cinese sul totale dell’import del comparto è incrementata dal 7% del 2001 a ben il 21% del 2021, mostrando così un radicale cambiamento della composizione del portafoglio estero.
La filiera che invece ha più “sofferto” gli effetti della globalizzazione è stata quella del tessile, registrando un calo dell’export (a valori correnti) tra 2001 e 2021 pari al -26,6%. Di converso, la proporzione della Cina nel portafoglio dell’import del comparto è incrementata notevolmente: se nel 2001 l’import cinese pesava solo il 5,9% del portafoglio estero delle importazioni, nel 2021 ammonta a ben il 24,1%.

Le prospettive future


La provincia di Varese ha dunque, negli ultimi decenni, accolto appieno la sfida della globalizzazione, contando sulla sua innata apertura ai mercati internazionali. Il ritorno del protezionismo a partire dal 2016 e la pandemia di Covid-19 dal 2020 hanno parzialmente rallentato questa tendenza a favore di una maggiore regionalizzazione degli scambi, ma il fenomeno è ben lungi dall’essere definibile come un totale “ritorno al passato”: l’ultima Indagine Internazionalizzazione di Confindustria Lombardia (2021), a cui l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese ha partecipato, mostra come le imprese varesine rispondenti abbiano collocato ancora nella top 10 dei Paesi “prospect” per sviluppare rapporti commerciali futuri, aree come Cina e Russia. Tuttavia, nella lista si trovano anche Paesi europei (Regno Unito, Francia, Germania e Spagna) o comunque più vicini al blocco geostrategico occidentale (Usa, Canada e Giappone). E, per ovvie ragioni, l’Indagine non incorporava ancora gli effetti sulle aspettative delle imprese generati dal conflitto russo-ucraino.
Il territorio di Varese, come molti territori manifatturieri simili in Occidente, si avvia più realisticamente in maniera graduale verso un New Normal di mercati non più “globali”, ma sempre più “regionali”, a favore di un multipolarismo fatto di barriere tra grandi blocchi commerciali, cooperazioni con blocchi mirati e maggiori interazioni all’interno di essi. Collegamenti tra stakeholder, definizione di nuove infrastrutture logistiche, digitali e produttive, rafforzamento dell’innovazione locale e degli ecosistemi produttivi, nuove politiche di approvvigionamento responsabile e sostenibile diverranno le parole d’ordine nel mondo “multipolare”.

 

 

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