Se le buone pratiche di economia circolare si diffondessero in territori europei altamente industrializzati come la provincia di Varese, le Fiandre, le Asturie o la Macedonia, quali sarebbero i vantaggi per l’ambiente? Quali opportunità economiche ed occupazionali si aprirebbero per le economie locali? Il riciclo non è solo tutela ambientale, ma anche driver di sviluppo. La parola a casi concreti e misurabili  

Gli scarti dell’industria tessile possono diventare carta pregiata. Miracoli dell’economia circolare. Niente prodigi o magie. L’esperimento è stato dimostrato all’interno di uno dei casi pilota del Progetto europeo Life M3P che vede come capofila italiani l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, il Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio e Material Connexion, insieme ad altre realtà spagnole, belghe e greche. L’obiettivo è quello di impostare, insieme ad altri partner europei, strategie territoriali di sviluppo di buone pratiche ambientali all’interno dei distretti industriali. Come? Facendo incontrare domanda di nuovi materiali, con l’offerta di scarti produttivi attraverso una piattaforma digitale. Da una parte c’è chi vuole produrre nuovi beni o prodotti tradizionali con materiale riciclato. Dall’altra c’è chi ha rifiuti, o comunque scarti, da poter rimettere in circolazione nei processi produttivi nazionali o europei. 

Le opportunità sono diverse. Non c’è solo quella di fare del bene all’ambiente. C’è la possibilità di dar vita a nuovi business, innovativi circoli virtuosi sostenibili economicamente, oltre che a livello di impatto sull’ecosistema. Con un incremento di giro di affari e posti di lavoro. L’economia circolare è anche questo: sviluppo economico, non solo tutela della natura. Prova ne è appunto un caso pilota studiato proprio nell’ambito del Progetto Life M3P. Tutto parte dal test di un’azienda tessile della provincia di Varese. L’idea è molto semplice nella sua spiegazione: mettere a disposizione gli scarti di cotone derivanti dalla propria produzione, che altrimenti andrebbero in discarica, per la realizzazione di nuovi fogli di carta. Non una carta qualsiasi, ma quella artigianale decorativa che viene usata per i biglietti di auguri o anche come carta da parati o per fare etichette per la moda. Fogli, tanto per intenderci, dalla misura di 56X76 centimetri, il cui prezzo può essere di 10 euro l’uno. 

Un settore di nicchia, come lo chiamano gli esperti. In cui operano soprattutto piccole aziende artigiane. Come quelle del distretto produttivo di Fabriano, nelle Marche, con cui l’azienda varesina è entrata in contatto per l’esperimento tramite la piattaforma digitale M3P. Test riuscito dal punto di vista della fattibilità industriale. Risultato: una carta prodotta dall’azienda marchigiana che per il 40% è fatta proprio dagli scarti produttivi dell’impresa tessile varesina. Con vantaggi per tutti. In primis per l’ambiente, attraverso il risparmio nell’uso di acqua fresca per la produzione della carta (circa 2.000 metri cubi per ogni tonnellata di scarti riutilizzati), di emissione di anidride carbonica equivalente (circa 11 tonnellate per ogni tonnellata di scarti riutilizzati) e di risorse non rinnovabili (circa 15 tonnellate per ogni tonnellata di scarti riutilizzati).  Fin qui i motivi ecologici del progetto. Riciclo è uguale a minor impatto ambientale, questo è risaputo. Ma le conseguenze più interessanti e inaspettate di questo caso di studio le si vedono nelle tabelle che riportano le proiezioni che il Progetto Life M3P di Univa e Centrocot hanno svolto sulle implicazioni economiche. 

Innanzitutto, le aziende artigiane di Fabriano potrebbero mettere in commercio la stessa carta pregiata che oggi producono con metodo tradizionale, ad un prezzo a foglio inferiore: 8 euro, invece che gli attuali 10. Avendo così i margini e la capacità di differenziare l’offerta con fogli anche più grandi e dal valore più alto. Ciò potrebbe comportare, grazie alla spinta di poter andare sul mercato con un prodotto dal brand green, sempre più attrattivo, ad un aumento della produzione. Passando dagli attuali circa 10mila fogli prodotti ogni anno, ai 25mila del primo anno di messa in produzione, ai 60mila del secondo, ai 100mila del terzo. Con un graduale incremento, secondo questo business plan, anche del fatturato che potrebbe passare, secondo le proiezioni del report di Life M3P, dagli attuali circa 100mila euro, ai 200mila del primo anno, ai 520mila del secondo, fino ad arrivare al milione nel terzo. Possibile anche una crescita occupazionale: con un’ipotesi di 6 nuovi addetti nel solo primo anno, altri 7 nel secondo, altri 8 nel terzo. In totale: 21 nuovi posti di lavoro. 

Lo studio di fattibilità di una decina di casi concreti di economia circolare e del loro possibile impatto in termini ambientali ed economici sulle economie locali di alcune zone europee è al centro del Progetto Life M3P, portato avanti in Italia da Univa e Centrocot

Il tutto con un solo caso pilota. Ma se questa stessa esperienza fosse replicata anche in altri distretti produttivi italiani, coinvolgendo altre imprese tessili e altre filiere artigiane per la produzione di carte decorative? L’analisi del Progetto Life M3P si è posta anche questa domanda, provando a fare una proiezione. Partendo da un dato Istat: ad oggi tra micro e piccole realtà (con non più di 49 addetti) esistono in Italia 1.560 imprese artigianali nel settore carta, quelle che potrebbero essere interessate dunque al prodotto di cui stiamo parlando. Ebbene, se di queste anche solo 100 (il 7,5% dunque) cercassero di mettere in piedi un circolo virtuoso come quello sperimentato dall’azienda varesina e quella di Fabriano si riuscirebbe a riciclare a regime fino a circa 700 tonnellate di scarti industriali tessili in un solo anno. Materiale che non andrebbe dunque in discarica. Con un effetto moltiplicatore su tutti gli altri parametri ambientali ed economici, ad oggi di difficile calcolo, ma di sicuro e positivo impatto. 

Di casi pilota come questi il Progetto Life M3P ne ha studiati diversi. Una decina in tutto. Si va dal recupero di calze e calzini per produrre altri vestiti, alla startup spagnola, nelle Asturie, che recupera materiale dalla demolizione di vecchi edifici per fare nuovo cemento. C’è poi il caso belga che recupera la guarnizione in gomma dei serramenti per fare maniglie per le porte. Tanto per fare alcuni esempi. Solo questi 10 casi europei di economia circolare studiati dal Progetto Life M3P, portato avanti da Univa e Centrocot, possono permettere annualmente all’industria di riutilizzare materiale destinato alla discarica per più di 42mila tonnellate all’anno e permettendo di risparmiare allo stesso tempo materia prima vergine per circa 59mila tonnellate. Non solo, c’è da calcolare anche la riduzione di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera per circa 41 tonnellate e salvando dall’utilizzo industriale più di 72mila metri cubi di acqua. Ossia l’equivalente del consumo medio annuo di acqua potabile di 360 famiglie italiane. 

Progetti fattibili industrialmente e tecnologicamente parlando. Frutto di un’opera di incontro tra domanda e offerta di materiali, in cui il rifiuto di un’azienda diventa materia prima per un’altra. Economia circolare, appunto. Alimentata da una piattaforma digitale di matching a cui fino ad oggi risultano registrate 270 industrie e catalogati 480 rifiuti che possono così diventare potenzialmente nuova materia prima. Il che fa dei singoli casi pilota dei modelli scalabili a macchia di leopardo dai vari distretti industriali europei. 
E se ciò avvenisse? Se i 10 casi piloti di Life M3P fossero replicati anche solo all’interno dei singoli distretti produttivi locali dove sono nati? Lombardia, Macedonia Occidentale, Asturie, Fiandre? Altre domande. Altre proiezioni. Altre risposte. In pratica i benefici ambientali potrebbero anche triplicare sul territorio. Come? Con 141mila tonnellate di rifiuti risparmiati alle discariche ogni anno; 138mila tonnellate di anidride carbonica non immesse nell’aria; 197mila tonnellate di materia prima vergine non utilizzata. E ben 239mila metri cubi di acqua risparmiata. In questo caso, l’equivalente del consumo medio di acqua di 1.195 famiglie italiane in un anno. La vera sostenibilità sta in questi numeri. 

 

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