Green New Deal, progetti europei, investimenti, strategie di economia circolare, ricostruzione di filiere corte: quello che si muove intorno alla sostenibilità nelle imprese della provincia di Varese è un vero e proprio mondo di iniziative, che spazia negli ambiti più diversi. Non solo quelli strettamente ambientali

Da mesi non si fa altro che parlare di Green New Deal, la nuova strategia politica a lungo termine dell’Unione Europea, adottata a dicembre 2019, con l’ambizioso obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030. Insieme a piani d’intervento che coinvolgono tutto il sistema economico e presumono azioni specifiche per alcuni ambiti, tra cui industria, clima e mobilità, si prevede che il Green New Deal tra il 2021 ed il 2030 mobiliterà 1.000 miliardi di euro di investimenti, attraverso prestiti agevolati e finanziamenti a fondo perduto. Scenario che toccherà, in maniera più o meno diretta, il mondo delle aziende, attraverso modifiche normative e diverse opportunità di sovvenzione. Tra i settori più coinvolti, il tessile, l’edilizia, i prodotti elettronici e la plastica, identificati dalla Commissione Europea come ad alta intensità di risorse. 

E in questo quadro, come si stanno muovendo le imprese della provincia di Varese? Molte hanno già da tempo mostrato una sensibilità alle tematiche green, come dimostrato dagli ultimi dati Istat disponibili, secondo cui l’81,5% delle imprese attive (con 3 e più addetti) ha realizzato almeno un’azione di sostenibilità ambientale e/o di responsabilità sociale e/o di sicurezza (contro un dato nazionale dell’80,9%). Il tema della sostenibilità è, infatti, declinabile sia in termini ambientali, che sociali. Rispetto alla sostenibilità sociale, l’Istat stima che il 68,9% delle imprese del territorio abbia svolto azioni per migliorare il benessere lavorativo. Tra queste aziende, il 15% ha identificato all’interno dell’impresa una figura per la responsabilità sociale. Rispetto alla sostenibilità ambientale, invece, l’Istat ritiene che in provincia di Varese il 66% delle aziende abbia svolto almeno un’azione per ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività. Tra queste realtà, oltre la metà sta conducendo iniziative di risparmio del materiale utilizzato nei processi produttivi. Le azioni di sostenibilità ambientale hanno anche portato alcune imprese più strutturate a completare un processo di certificazione del proprio sistema di gestione. Questo, in numeri, è quanto si muove sul territorio varesino intorno all’economia circolare.

Molte imprese varesine hanno da tempo mostrato una sensibilità al tema della sostenibilità, come dimostrato dagli ultimi dati Istat disponibili, secondo cui l’81,5% delle aziende ha realizzato almeno un’azione sul fronte ambientale (contro un dato nazionale dell’80,9%)

Un’istantanea della sostenibilità in provincia di Varese, fatta di progettualità ed investimenti portati avanti in svariati ambiti. La stessa Unione degli Industriali della Provincia di Varese, da anni, partecipa a programmi europei legati all’economia circolare, come il progetto Life M3P, dedicato alla valorizzazione dei rifiuti industriali e il progetto ENTeR, improntato sulla circular economy nell’ambito tessile. Entrambi i progetti, finanziati tramite risorse europee impiegate sul territorio, sono nati con lo scopo di incrociare la domanda e l’offerta di materiali di scarto, attraverso una piattaforma online dedicata, su cui imprese di settori differenti possono cercare oppure proporre waste di lavorazione. Dando così vita ad un matchmaking del tutto circolare. Ma la sostenibilità varesina si è spinta oltre, fino ad arrivare a “contagiare” anche l’universo della formazione. Come nel caso del Progetto Green School, un protocollo d’intesa siglato a maggio 2020 da Univa, Ufficio Scolastico Territoriale e Provincia di Varese per portare nelle scuole un percorso di conoscenza della plastica, attraverso best practices di riduzione di rifiuti, riciclo e riuso. E ancora l’analisi dei fabbisogni formativi dei dirigenti delle imprese del territorio di Varese rispetto al tema della circular economy, affidata sempre a maggio 2020 ad Univa Servizi, la società di servizi dell’Unione Industriali varesina, da Fondirigenti, il Fondo Interprofessionale promosso da Confindustria e Federmanager per favorire lo sviluppo della cultura manageriale, la competitività delle aziende, l’occupabilità e la crescita della classe dirigente. Iniziative che non sorprendono se si pensa che sono oltre 432mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi che hanno investito negli ultimi 5 anni (2015-2019) in prodotti e tecnologie green (35,8% solo nel manifatturiero). Quelle realtà che hanno scelto la via della sostenibilità sono, inoltre, risultate le più dinamiche sui mercati esteri: il 51% delle “imprese verdi” ha segnalato un aumento dell’export nel 2018, contro una media nazionale del 38%. 

Sostenibilità è anche sinonimo di progresso e modernità: il 79% delle imprese green ha infatti sviluppato innovazioni, contro il 61% delle non investitrici (dati Fondazione Symbola, “L’Italia in 10 selfie” 2020. Fonte: GreenItaly 2019, Fondazione Symbola e Unioncamere). Stando poi ai dati del “Rapporto sull’economia circolare in Italia – 2020” a cura del Circular Economy Network in collaborazione con ENEA, l’Italia risulta essere un paese fortemente importatore di materia prima riciclabile (650mila tonnellate importate, seconda solo a Germania con quasi 1,5 milioni di tonnellate). Risultato che sta a significare l’esistenza di un mercato a cui le aziende sono attualmente interessate e che sarebbe bene continuare ad implementare. 

In altre parole, la sostenibilità può essere competitiva per le imprese italiane e in particolar modo per quelle all’ombra delle Prealpi? La risposta è decisamente affermativa. “L’economia circolare e la sostenibilità sono state per molte aziende la chiave di sviluppo competitivo e di resilienza durante tutto il perdurare dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e anche dopo”, spiega Fabio Iraldo, dell’Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università Bocconi. “La ripartenza post Coronavirus, in sostanza, è stata un’occasione per le imprese per puntare in modo più coraggioso su una conversione a modelli di business sostenibili e circolari. Nella situazione di crisi pandemica, le imprese che avevano sviluppato iniziative sostenibili hanno resistito meglio alle condizioni di difficoltà? In molti casi sì, perchè la chiusura dei cicli, tipica dell’economia circolare, ha garantito una relativa autonomia. Studi hanno dimostrato che approvvigionamenti locali, sicuri e a filiera corta durate il lockdown hanno garantito la business continuity”, precisa Iraldo.

In sostanza, le imprese si sono trovate di fronte a tre tipologie di strategie da poter adottare nel corso dei mesi di lockdown: strategie reattive per reagire ai cambiamenti strutturali e persistenti nei modelli sociali di consumo; strategie adattive, rivolte alla realizzazione di azioni di medio periodo di adattamento aziendale, sostenibili sotto il profilo ambientale, rispetto al rischio di nuove ondate future di pandemie; strategie proattive, volte allo sviluppo di strategie di sostenibilità ambientale di lungo termine, per cogliere la crisi come opportunità al fine di potenziare un cambiamento “green” dell’impresa. “Si tratta di trend di forte interesse per territori come Varese e per le potenzialità di integrazione con la territorialità – racconta ancora Fabio Iraldo –, garanzia di maggior contenimento del rischio se la dimensione di approvvigionamento è locale e circoscritta”. 

 

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