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Il calo della natalità è un fenomeno che l’Italia condivide con altri Paesi europei. C’è però un gap: la nostra politica sconta un lungo ritardo in termini di investimenti e misure a sostegno delle famiglie con più figli. Ma è anche una questione di condivisione di responsabilità all’interno dei nuclei familiari, a sua volta strettamente legata al tema delle pari opportunità. E qui le imprese possono fare la propria parte. Intervista alla sociologa Rosangela Lodigiani dell’Università Cattolica

Riduzione della natalità e allungamento della speranza di vita, ma anche famiglie numerose a rischio povertà e prevalenza di figli unici: questo è lo scenario, non solo italiano, che ha portato i sociologi a parlare di “inverno demografico”. Come ci siamo arrivati e come possiamo uscirne? Ne abbiamo parlato con Rosangela Lodigiani, professore ordinario di Sociologia dei processi economici e del lavoro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Come sono cambiate le famiglie italiane negli anni?
Viviamo da anni in un “inverno demografico”. È un fenomeno non solo italiano, ma in Italia è più accentuato. La pandemia lo ha reso ancora più rigido e freddo, ma la stagione era già iniziata da tempo: da un lato, a causa della riduzione della natalità, dall’altro lato grazie all’allungamento della speranza di vita. Come sappiamo purtroppo il Covid-19 ha innalzato la mortalità delle persone anziane, specie se già con qualche patologia, ma fortunatamente si è trattato di un effetto contingente e il trend si è sostanzialmente normalizzato. Lo squilibrio quantitativo tra le generazioni invece è ormai strutturale e, anzi, in tendenziale peggioramento. Facciamo sempre meno figli e durante il Covid ne abbiamo fatti ancora meno. I dati dell’Istat dicono che dopo anni in cui il calo delle nascite era attestato attorno al -2,5%, tra il 2020 e il 2021 il dato è quasi raddoppiato (-4,5%). Ma se anche torneremo ai livelli pre-Covid, il problema resta. Il che vuol dire nei prossimi anni, meno giovani e anche meno giovani donne e quindi di per sé un ulteriore calo (strutturale, appunto) della natalità. In questo scenario, solo l’aumento del numero di figli per donna può invertire la rotta, obiettivo non facile in un Paese sempre più di figli unici e di famiglie numerose a rischio povertà.

Quali sono le ragioni di questo declino: perché in Italia si fanno sempre meno figli? 
Se questi sono i dati, al netto della crisi sanitaria, le ragioni di questo declino sono complesse e molteplici; intrecciano fattori economici, sociali e culturali. I problemi occupazionali, le difficoltà di conciliazione vita-lavoro, la carenza di servizi di cura per i bambini e le persone fragili, la questione abitativa, l’elevato costo dei figli e il timore di non poter assicurare loro adeguate opportunità, l’incertezza e la mancanza di fiducia, ma anche lo schiacciamento sulla realizzazione di sé, provocano un mix che deprime le scelte procreative e impatta soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione, sui giovani e sulle giovani donne. La questione demografica, infatti, è anche una questione di diseguaglianze.

Cosa si è fatto nel nostro Paese, fino ad ora, per affrontare il problema e come invertire la rotta? 
Invertire la rotta non è facile e l’urgenza è chiara. Occorre puntare sul sostegno alla natalità e alle famiglie con più figli. Scontiamo un lungo ritardo nel confronto con i principali Paesi europei, in termini di investimento e di misure di intervento. Penso per esempio alla Francia, che ha saputo mantenere il tasso di natalità tra i più alti d’Europa con un fisco e un welfare amico delle famiglie. Ebbene, la Francia spende circa il doppio dell’Italia in rapporto al Pil (2,37% vs 1,15%, dati Eurostat riferiti al 2019). Finalmente, l’Assegno unico universale per i figli a carico sino al compimento dei 21 anni, recentemente introdotto nel nostro Paese, ha segnato un passo avanti significativo. Ma l’esempio della Francia o di altri Paesi come la Svezia, ci insegna che l’Assegno unico non deve rimanere un intervento isolato. 

La strada potrebbe essere quella di un pacchetto più ampio di interventi: possiamo fare qualche esempio?
Il ventaglio delle politiche su cui investire è molto ampio: per il lavoro, specie dei giovani, per la promozione dei loro progetti di vita, per l’accesso alla casa, per la conciliazione che in altri termini significa anche più servizi di cura e per la prima infanzia e più congedi per i genitori che lavorano. Anche su questo fronte c’è da segnalare qualche positivo avanzamento. Recentemente in Italia è stato approvato un provvedimento che riordina il sistema dei congedi e, fra l’altro, porta a 10 giorni il congedo obbligatorio per i padri che lavorano. Ancora pochi si dirà, la distanza dai Paesi più virtuosi resta ampia, ma ogni passo in questa direzione è un successo. I lockdown durante la pandemia, con i conseguenti ricorsi allo smart working e alla Dad, hanno reso ancor più evidente come la condivisione delle responsabilità famigliari sia cruciale per il benessere di tutta la famiglia. Promuovere questa condivisione è una questione di pari opportunità, sia per le donne sia per gli uomini. Anche le imprese possono fare la propria parte, sviluppando misure di flessibilità oraria, permessi aggiuntivi, servizi e sostegni integrativi, oltre che una cultura aziendale orientata in tal senso. 

Nel Pnrr si parla di Family Act: ci possiamo aspettare delle novità e delle spinte al miglioramento della situazione? 
Il fatto che il Pnrr faccia esplicito riferimento al Family Act, che ha una genesi autonoma, è molto importante. Sia perché il Piano fa suoi i principali obiettivi del Family Act prendendo impegni per la loro realizzazione (dal potenziamento dei servizi per l’infanzia al sostegno all’occupazione femminile e giovanile, alle agevolazioni per l’accesso alla prima casa) sia perché in questo modo rende esplicito che sostenere il fare e l’essere famiglia è una responsabilità dell’intera collettività. Lo fa con l’avvio di un insieme di interventi che chiariscono il nesso imprescindibile tra l’investimento sulle famiglie e sulle giovani generazioni e la ripresa e il futuro del Paese.  

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