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Le buone potenzialità in termini di capacità innovativa da parte delle imprese. La scarsa propensione brevettuale, soprattutto delle Pmi. Il basso livello sul fronte del numero di startup. È questa l’immagine del tessuto produttivo all’ombra delle Prealpi, vista con la lente dell’osservatorio dell’Ufficio Studi della Confindustria varesina. Una fotografia che pone al territorio la necessità di investire in progetti e iniziative di sistema. Il terreno è fertile, ma occorre fare presto e partire dalla costruzione di una cultura dell’innovazione

Ogni impresa che innova, innova a modo suo. Il tema di come si costruisca la catena del valore innovativo è un argomento delicato e sensibile. Perché va a toccare il Dna competitivo di ogni singola azienda. Innovazione è, allo stesso tempo, il principio fondante della capacità competitiva aziendale e l’assicurazione per poter garantire un futuro alla propria impresa. Il processo con cui si arriva ad innovare è, soprattutto nelle Pmi, un processo molto personale che può variare da settore a settore, ma anche in base alla cultura aziendale di ciascuno. La vera questione è come si debba misurare il processo innovativo. Gli studiosi della materia si dividono in due grandi fazioni: c’è chi privilegia la misurazione dell’output innovativo (tipicamente i brevetti) e chi invece privilegia quella dell’input innovativo reale (come, ad esempio, investimenti in ricerca e sviluppo o numero ricercatori) e potenziale (numero addetti nei settori high tech). 

Sembra una questione accademica, ma non lo è. Nella distanza tra i risultati, non sempre garantiti, della ricerca e gli sforzi profusi in essa si colloca il “profilo comportamentale di chi ricerca”. A Varese, per esempio, il divario è grande. Siamo la 83esima provincia a livello nazionale per numero di brevetti, marchi e disegni industriali registrati ogni 10mila addetti, secondo il criterio del domicilio elettivo del richiedente, ma il nostro potenziale è ben al di sopra se si calcola il numero degli addetti operanti in imprese manifatturiere ad alto contenuto tecnologico, che ci vede come quarta provincia in senso assoluto in Italia dopo Milano, Roma, Torino e appena sopra Monza-Brianza. E la nostra provincia è anche posizionata nel quintile più elevato in termini di spesa in attività di ricerca e sviluppo intra-muros (ossia svolte dalle imprese con proprio personale e proprie attrezzature) in percentuale del totale nazionale (come mostra la cartina dell’Italia proposta in queste pagine). 

Ricerchiamo poco? Non sembra. Brevettiamo poco? Sicuramente. La vera domanda è: perché? Partiamo da un’importante ed elementare constatazione: non tutti arrivano a brevettare. E le cause possono essere molteplici. Da quella più elementare: “Non brevetto perché la mia ricerca non ha portato a risultati abbastanza solidi da prevedere una commercializzazione con buone prospettive di mercato”. A quelle più “complesse”: “Non brevetto perché non mi fido a fornire una descrizione analitica della mia idea che permetta a qualcuno di trarne ispirazione per riproporla con poche variazioni” oppure “la mia innovazione è relativa ad un software”. Quindi, non sempre si arriva al brevetto. Si può decidere di fare ricerca, ma di non tutelare i risultati. Nel mezzo ci stanno i comportamenti dettati dalle specificità del singolo business e dal livello di appartenenza alla filiera produttiva, su cui influiscono sia la psicologia dell’imprenditore in termini di maggior o minor apertura, ma anche e soprattutto il profilo competitivo specifico del comparto.

In termini assoluti Varese è 33esima in Italia per numero di startup innovative con poco più di 100 unità (tante quante Avellino). In termini relativi, ossia di startup innovative per numero di imprese, invece, si scende al 78esimo posto

A Varese c’è una larga fascia di imprese manifatturiere che lavorano nella “pancia dell’economia”, ossia nella fascia dei prodotti intermedi che non ha un immediato sbocco sul mercato finale con i risultati della propria produzione. Si stima che il 41,6% degli addetti dell’industria in senso stretto sia occupata in imprese che fanno prodotti intermedi. Sono molte le aziende di trasformazione e di lavorazione che operano su specifiche del cliente. Tante di loro innovano, ma lo fanno sul processo oppure sul prodotto, apportando miglioramenti a favore del proprio cliente. È tipico del nostro modo di produrre ed è anche per questo che i fornitori italiani sono celebri nel mondo avendo mantenuto una “capacità artigianale” di migliorare le cose che fanno e di agire sui piccoli lotti, sui campionari, sui prototipi aggiungendo creatività e personalizzazione. Difficile, però, arrivare a brevettare in queste condizioni. Non tutti se la sentono. Non sempre è necessario.

Se poi si analizzano, come ha fatto Strategique per il Piano Strategico #Varese2050 di Confindustria Varese, i brevetti depositati e registrati dalle aziende in provincia di Varese negli ultimi vent’anni, emerge che più del 31% del totale dei titoli industriali sia ad appannaggio di tre grandi imprese operanti nel settore dell’aeronautica, della grande impiantistica e delle appliance. Grande è quindi la sfida nel diffondere l’abitudine alla tutela della proprietà industriale sul nostro territorio. Molto c’è da fare per far sì che la ricerca e soprattutto l’innovazione nascosta trovino un adeguato riconoscimento. Che i percorsi di rinnovamento siano facilitati e che infine si possa valorizzare lo sforzo quotidiano di migliaia di Pmi. L’analisi del come si innova a Varese non si può tuttavia limitare all’innovazione all’interno delle imprese già costituite senza considerare le startup e le Pmi innovative. È questo un canale aggiuntivo, che crea nuova imprenditorialità e che è sempre più diffuso in tempi di open innovation. In termini assoluti Varese è 33esima in Italia per numero di startup innovative con poco più di 100 unità (tante quante Avellino). In termini relativi, ossia di startup innovative per numero di imprese, invece, si scende al 78esimo posto.

Anche in questo caso, un risultato poco soddisfacente che stimola una riflessione. Innanzitutto, è interessante indagare quali tipologie di startup innovative generiamo. A settembre del 2022 circa il 45% apparteneva al mondo della produzione di software, della consulenza informatica e delle app o dei servizi di informazione e altri servizi informatici. Appena il 19% era di provenienza manifatturiera. C’è ampio spazio di miglioramento (come mostra il grafico a torta dell’Ufficio Studi di Confindustria Varese presente in queste pagine). Se poi si analizza la distribuzione territoriale, si osserva un fenomeno interessante, che potremmo chiamare “l’ombra del baobab”. A livello lombardo si contano circa 3.937 startup innovative, di cui il 71% in provincia di Milano. Non è un caso, considerato che l’area metropolitana attrae anche 6 sedi di atenei con corsi di laurea in area scientifico-tecnologica e le sedi di numerosi centri ricerca oltre al nascente Mind – Milano Innovation District.

Nelle province confinanti è come se si proiettasse un cono d’ombra, poiché ciascuna di esse si colloca al di sotto del 4% delle startup regionali: Varese (2,7%), Como (2,6%), Monza Brianza (3,9%), Cremona (1,1%), Lodi (0,6%) e Pavia (1,8%). Unica eccezione, tra le confinanti, è Bergamo che, anche grazie alla presenza del Kilometro Rosso – Innovation District, supera il 6,5%, posizionandosi vicino alla percentuale di Brescia (7,3%). Sembra, quindi, emergere una correlazione tra l’esistenza di “poli di sviluppo del sapere scientifico” e la maggior fertilità nella creazione di imprese innovative. Correlazione tanto più forte quanto ci si distanzia dal tronco del baobab. L’insieme di queste evidenze per la provincia di Varese (buone potenzialità in termini di capacità innovativa, scarsa propensione brevettuale, basso livello di startup) lascia spazio ad iniziative di supporto all’innovazione. Con la consapevolezza che i risultati non saranno immediati, ma che comunque convenga seminare in un tessuto che di per sé è fertile. Iniziando a farlo dalla cultura innovativa. Perché l’innovazione è principalmente un’attitudine che si fonda sulla capacità di trasgredire. 

Fonte elaborazione Strategique

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