‘‘L’emergenza è l’impunità sul web”. Paolo Pozzi, portavoce del presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia introduce così l’incontro di Glocalnews, il festival del giornalismo organizzato da Varesenews a novembre, dedicato a “Blogger, influencer, giornalisti: stessa faccia, stessa razza? E la deontologia dove la metto?” Impossibili i fraintendimenti: il numero di scrittori della rete, solo per citare i blogger (senza tenere conto quindi del fenomeno più importante, e non solo numericamente, e cioè chi scrive sui social network) è altissimo, come altissimo è il numero di chi dietro la scrittura nasconde più o meno velate intenzioni pubblicitarie. Quelle che i colleghi iscritti all’albo chiamano simpaticamente “marchette”. Non solo la bionda più famosa del web, ma una schiera di influencer, più o meno “influenzanti”. Le domande sorgono spontanee e infinite. Solo per citare quelle introduttive all’incontro, si resta senza risposte: “Tutti possono scrivere tutto? Quali sono i diritti e i doveri di chi informa per professione e ha l’obbligo di rispettare leggi e Carte deontologiche e quelli di chi, invece, informa pur non essendo giornalista? Ma i giornalisti della carta stampata sono immuni dal fascino del marketing?” Se risultano difficili risposte risolutive (“anche perché il problema non è solo italiano ma transnazionale” evidenzia bene Pozzi), è necessario incoraggiare una riflessione seria, personale e di categoria, sia per i professionisti iscritti all’albo che per gli scrittori digital a vario titolo. 

 

Tutti possono scrivere tutto?

Un tema complesso, quello affrontato a Glocalnews alla presenza di relatori di alto livello, rappresentativi di mondi diversi: dal presidente dell’Ordine della Lombardia, Alessandro Galimberti, alla ben nota penna e volto Selvaggia Lucarelli (erroneamente definita blogger), dal giornalista Raffaele Fiengo alla youtuber Francesca Tamburini, davanti ad una platea di giornalisti di ogni età. Un tavolo di relatori indicativo di un panorama variegato e persino difficile da definire (narratori della contemporaneità tra carta e web?). Un tavolo che, peraltro, lasciava trasparire una certa reciproca diffidenza e, probabilmente, una scarsa conoscenza dei rispettivi ambiti. Tra i tanti problemi sul tavolo, a scaldare gli animi, in particolare, quello della pubblicità. Il sociologo Enrico Finzi con un intervento registrato e, quindi, senza possibilità di contraddittorio, sintetizza il fulcro del problema così: gli editori nel tempo hanno spinto la stampa a piegarsi alle esigenze di raccolta pubblicitaria e, in sostanza, sui giornali non si parla mai male di un marchio che foraggia le casse dell’editore, che, a sua volta, solo così, può pagare gli stipendi dei giornalisti. Il giornale si adegua e i lettori ci mettono poco ad accorgersene: da qui partirebbe, secondo Finzi, il disamore verso una stampa ritenuta non più credibile. In più, mentre il giornalista non è più fonte autorevole, chiunque grazie al web può esserlo: nascono così i cosiddetti influencer. Ma se poi alcuni di questi vengono pagati dalle aziende? Allora, si torna al punto di partenza.  

 

 

Come superare il disamore dei lettori?

Come fare dunque? Per il giornalista, oltre al rispetto del lettore, il rispetto dei codici scritti, pena l’esclusione da un ordine che molti criticano ma dal quale non vogliono uscire: regole piuttosto chiare e, nonostante questo, disattese, che vietano esplicitamente di fare pubblicità non dichiarata. E per i non giornalisti? “Le vostre regole, sono le nostre”, sottolinea Selvaggia Lucarelli incalzata da un pubblico di professionisti di lunga data. In primis, evidentemente le regole del buon senso, del rispetto delle persone e della verità. Restano, tuttavia, problemi e spazi aperti, domande senza facili risposte e, soprattutto, tanto da fare: appare chiara l’urgenza di diffondere una cultura del digitale tale da poter affrontare le questioni con cognizione di causa e, soprattutto, quella di trasmettere ai giovani il valore della capacità di fare (essere?) i giornalisti non più, o non solo, consumando la suola delle scarpe, ma sempre seguendo la strada dell’etica. 

 

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