Il quadro geopolitico internazionale rimane complicato. La produzione industriale, sia a livello nazionale, sia locale, è debole e l’export non decolla. Una situazione che impone alle imprese (anche quelle varesine) di guardare con prudenza ai prossimi mesi. Ma con grandi attese sul fronte degli investimenti che, varati i decreti attuativi del Piano Transizione 5.0, potrebbero tornare a crescere, così come avvenuto negli ultimi anni in cui l’Italia ha saputo fare meglio dei propri partner europei. Le prospettive secondo le rilevazioni di Istat e dei Centri Studi di Confindustria e Confindustria Varese
Ci sono i tempi dell’economia e ci sono i tempi delle aspettative. Il 31 dicembre si chiudono i bilanci, ma è il 1° settembre che si capisce come finirà l’anno per l’impresa. Il rientro dalle ferie è da sempre il momento dei buoni propositi e delle riflessioni su cosa ci aspetta nell’ultima parte dell’anno. E negli ultimi periodi previsioni, aspettative e sentiment sono sempre stati dominati dalle cosiddette variabili esogene. Ossia da quegli avvenimenti geopolitici che segnano anche lo stato dei rapporti tra le imprese, i flussi di commercio internazionale, le alleanze strategiche, le catene di fornitura e così via. Quest’ anno, in termini di dati acquisiti, abbiamo chiuso a fine luglio una prima parte del 2024 in cui si è registrata una crescita moderata del Pil, un rallentamento delle attività dei servizi, un’industria ancora debole e un export in aumento, ma che non riesce a decollare e a fare da traino dell’economia, come avvenuto in passato. L’inflazione in Italia è bassa e stabile, ma i livelli ancora alti nel resto dell’Eurozona non permettono alla Bce di intraprendere la strada di tagli consistenti ai tassi che permetterebbe di dare respiro all’accesso al credito, ancora bloccato, con investimenti dunque che tengono, ma che non sono sufficienti a dare quella spinta che servirebbe per invertire la rotta. Una fotografia dai dettagli poco definiti dunque, i cui contorni rimangono incerti anche volgendo l’obiettivo oltre confine. In Germania e Francia, principali partner commerciali sia della nostra industria nazionale, sia varesina, la situazione è ancora più complicata che da noi. La produzione industriale è in netto calo: del –2,5% a Berlino, del –2,1% a Parigi. Gli Usa vivono una fase di campagna elettorale i cui esiti avranno inevitabili conseguenze sugli equilibri del commercio internazionale a seconda che vinca una o l’altra visione dell’America. Nel frattempo, la Cina continua la sua corsa manifatturiera su livelli che ormai non si vedevano dal 2021. Ed è in questo quadro internazionale complesso, caratterizzato da una crescita lenta e disomogenea, che si inserisce anche la produzione debole dell’industria varesina, certificata a inizio agosto dall’uscita dell’indagine congiunturale sul secondo trimestre dell’anno del Centro studi di Confindustria Varese. Le preoccupazioni per interruzioni nella catena di fornitura, per la possibilità di nuovi shock economici e per l’ormai cronica carenza di manodopera qualificata frenano ottimismi e aspettative delle imprese manifatturiere all’ombra delle Prealpi. Con la conseguenza che tra aprile e giugno il 39,8% delle imprese ha dichiarato una stabilità dei livelli produttivi e il 35,4% un loro calo.
Fin qui lo stato dell’arte prima della pausa estiva, ma quali sono le previsioni per i prossimi mesi?
Le previsioni fino a fine 2024
Sono di “moderata accelerazione” le aspettative dell’Istat per l’andamento del Pil da qui a fine anno. Secondo l’Istituto di Statistica il Prodotto Interno Lordo italiano chiuderà il 2024 con un +1%, a cui seguirà nel 2025 un +1,1%. “I consumi privati – si legge nelle prospettive per l’economia italiana di questa estate – continuano a essere sostenuti dal rafforzamento del mercato del lavoro e dall’incremento delle retribuzioni reali, ma frenati da un aumento della propensione al risparmio”. L’occupazione, comunque, crescerà con un tasso di disoccupazione che scenderà al 7,1% entro fine anno e al 7% nel 2025.
Le aspettative della grande industria
Il vero nodo da sciogliere è la debolezza della produzione industriale. “La fiducia delle imprese – spiegano dal Centro Studi di Confindustria – continua a oscillare su bassi livelli”. Una cartina di tornasole è il sentiment delle grandi imprese che mostra “un aumento dei rischi di peggioramento nelle stime sulla produzione”. Nell’ultima rilevazione degli economisti di Viale dell’Astronomia le grandi imprese industriali che temono una contrazione del lavoro nei propri stabilimenti sono salite al 23,4%, rispetto al 12,7% della rilevazione precedente. A drenare la fiducia della grande industria italiana è la disponibilità di manodopera che preoccupa una fetta sempre più crescente delle aziende, la disponibilità degli impianti e quella dei materiali. Stabili gli umori sulle condizioni finanziarie, mentre più ottimistica è la visione sull’andamento nei prossimi mesi di domanda e ordini e dei costi di produzione.
Le attese per gli investimenti
La vera svolta, però, potrebbe avvenire dagli investimenti. Ora che il Governo ha varato i tanto (troppo) attesi decreti attuativi, il Piano Transizione 5.0 potrebbe invertire la rotta degli ultimi mesi su questo fronte: “Le imprese vedono una spesa per investimenti in aumento nella seconda metà del 2024”, dice il Centro Studi Confindustria. Da gennaio a oggi le cose non sono andate bene. Gli ordini delle imprese di beni strumentali sono costantemente calati, gli investimenti in macchinari e attrezzature sono scese del –1,5%. Le incertezze e la lentezza con cui gli incentivi per la trasformazione digitale e l’efficienza energetica sono stati introdotti hanno fatto da freno. E ora c’è da recuperare terreno, con margini di miglioramento e speranze di riportare il treno sui giusti binari. Quelli che hanno visto l’Italia negli ultimi anni fare ampiamento meglio dei propri partner europei proprio in termini di investimenti. Nel nostro Paese, certifica il Csc di Confindustria, sono aumentati rispetto al periodo pre–Covid del +30,7% cumulato. Contro il +1,8% della Francia e il –3,9% della Germania. Sono numeri da non sottovalutare, che offrono una narrazione diversa del nostro Paese e delle sue imprese dove si concentra il 58% degli investimenti nazionali. Anche in ricerca e sviluppo facciamo meglio dell’Europa. Il differenziale cumulato rispetto all’Eurozona segna un +41,5% a nostro favore. Nei confronti della Germania vinciamo con un +20,5%, nei confronti della Spagna con un +9,5%. Perdiamo solo di fronte alla Francia, che ha spinto molto su questa voce con forti incentivi. E infatti qui il differenziale è a nostro sfavore: –2,5%. C’è, dunque, un’industria che scommette sul futuro del Paese, ed è questo forse il punto di forza su cui puntare per tornar a correre nei prossimi mesi.
Il sentiment della manifattura varesina
D’altronde la voglia di investire delle imprese era stata certificata a livello locale anche dal Centro Studi di Confindustria Varese. Secondo una rilevazione effettuata a inizio anno il 68% di un campione di aziende manifatturiere aveva dichiarato di aver intenzione di effettuare degli investimenti nel corso del 2024. Di queste il 78% aveva pronosticato di farlo con risorse uguali o superiori al 2023. Sono passati diversi mesi, bisogna vedere se quel sentiment ha poi retto nel corso di questa prima parte di anno al contesto geopolitico sempre più complicato e alle lentezze con cui è stato implementato il Piano Transizione 5.0. Rimane l’intenzione del settore di fare da traino per l’economia e il tessuto sociale del Varesotto. Il sentiment, negli ultimi tempi, è comunque improntato alla cautela. L’ultima indagine congiunturale di Confindustria Varese uscita questa estate, poco prima della pausa estiva, parlava di una quota del 46,8% delle imprese che si attende per i prossimi mesi livelli produttivi stabili. Il 30,8% si aspetta dei cali, mentre rimane minoritaria, seppur non irrilevante, la percentuale di aziende che prevede dei balzi in avanti: 22,4%. Gli occhi di molte industrie varesine sono puntati su Germania e Francia. È qui che si concentra oltre il 20% dell’export locale. Ed è proprio qui che le esportazioni made in Varese, in generale stabili nella prima parte dell’anno (+0,3% nel primo trimestre), hanno subito importanti battute d’arresto. Del –11,1% nel mercato tedesco, del –14,4% in quello francese. Quanto durerà e quanto è profonda la crisi della produzione industriale di Berlino? Quanto inciderà sull’economia di Parigi l’incertezza politica seguita alla doppia tornata elettorale (europea e nazionale) che ha terremotato gli equilibri istituzionali e di governo francesi? E poi ancora: quanto sarà vincolante per la nostra competitività l’aumento dei noli e dei tempi di consegna legati al re–routing del canale di Suez? Quando e quanto i tassi di interesse americani potranno dare il via ad un ribasso capace di estendersi all’Europa? Ciò che avverrà negli stabilimenti varesini da qui a dicembre dipende anche dalle risposte a queste domande.