Industria 4.0, digitalizzazione e sostenibilità. Il sistema produttivo varesino continua ad investire. Lo ha fatto nel 2020 e lo farà nel 2021 oltre il 60% delle aziende. Diminuiscono, almeno in parte le risorse messe in campo, ma il quadro locale emerge come migliore rispetto all’andamento nazionale. Non solo sul fronte dell’ammodernamento degli impianti e dell’ampliamento produttivo. La scommessa su ricerca, sviluppo e brevetti è un segnale di ottimismo che la manifattura varesina mette sul piatto del rilancio

Il 2020 è stato un anno sospeso. Per la vita. Per il lavoro. Per l’economia in genere. Un anno che ci ha costretto a riflettere e, spesso, a cambiare prospettiva per il futuro. Siamo stati spinti a misurarci con nuove forme di lavoro agile (per quanto possibile): la digitalizzazione è entrata prepotentemente nelle nostre vite. Le nostre organizzazioni hanno dovuto cambiare pelle per poter continuare ad operare pur tra mille difficoltà. Questa è la percezione comune del vissuto di questo 2020 appena trascorso. È però interessante vedere se, e quanto, questa percezione trovi riscontro nelle scelte di investimento delle imprese. La decisione di investire è una cartina di tornasole estremamente sensibile per valutare la fiducia degli imprenditori nell’economia e la reale volontà di affrontare una transizione. La decisione di investimento è mossa fondamentalmente da animal spirits e si gioca, principalmente, sull’individuazione di nuove opportunità di mercato e di nuovi bisogni (strategia proattiva). Oppure sulla necessità di continuare a reinvestire per rafforzare la propria posizione nei confronti dei concorrenti (strategia difensiva). L’anno appena trascorso, dal punto di vista di chi doveva investire, ha sparigliato le carte. L’analisi condotta dall’Ufficio Studi dell’Unione degli Industriali della provincia di Varese ha raccolto interessanti indizi in questo senso.

Le imprese del territorio hanno, comunque, continuato ad investire. 
Non era assolutamente scontato che lo facessero, ma, nonostante tutto, il 62% delle 138 società del campione di imprese varesine ha realizzato investimenti nel 2020 ed una percentuale analoga lo farà nel 2021. Shock dei prezzi permettendo. È pur vero che nella maggior parte dei casi (56%) le imprese che hanno investito lo hanno fatto in misura inferiore rispetto al 2019. Però lo hanno fatto. Avere il coraggio di mantenere fede ai programmi, pur ridimensionandoli, significa crederci, soprattutto in un anno in cui sono state bloccate le produzioni per quasi un quarto del tempo e in cui, nei mesi di ripresa, hanno avuto andamenti discontinui.  Significa avere voglia di continuare e/o, come ormai si dice con una parola che è diventata un nuovo mantra, essere resilienti. E se questo è successo in Italia, ossia in uno dei Paesi più profondamente ed a lungo colpiti dalla pandemia, significa avere una vitalità imprenditoriale (in fermento) ben al di sopra degli standard. 

I dati sono stati raccolti da un’analisi dell’Ufficio Studi dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese: il 62% delle 138 società del campione di imprese varesine ha realizzato investimenti nel 2020 ed una percentuale analoga lo farà nel 2021. Shock dei prezzi permettendo

Le imprese hanno continuato ad investire, ma con meno intensità rispetto ai programmi precedenti.  
La pandemia ha comunque avuto un impatto negativo. Anche chi ha investito ha rimodulato al ribasso le cifre rispetto ai programmi precedenti (38%) o ha sospeso gli investimenti già programmati (24%). Gli investimenti bloccati sono quasi interamente stati solo rimandati e non abbandonati del tutto. C’è tuttavia una quota di imprese non trascurabile (31%) che ha mantenuto invariati i propri piani di investimento e il 18% ha, invece, effettuato investimenti specifici per fronteggiare l’attuale situazione. Il combinato disposto di questi comportamenti, ampliato e proiettato a livello nazionale, spiega in parte la flessione, a livello italiano, del 9,1% degli investimenti fissi lordi in valore, anche se la sensazione è che sul territorio la diminuzione degli investimenti a valore sia stata meno intensa.

È cambiato, rispetto al passato, il mix della tipologia di investimenti effettuati.  
Al primo posto si conferma l’investimento “funzionale”, quello diretto verso la sostituzione e l’ammodernamento (66%). Si tratta, in genere, di investimenti già programmati ed in qualche parte obbligati per mantenere la normale funzionalità produttiva. Sono invece diminuiti rispetto al passato – ma nonostante tutto permangono – gli investimenti in ampliamento della capacità produttiva. Dato non scontato visto il congelamento, per gran parte dei settori, della domanda interna ed internazionale nel 2020. Chiaramente in controtendenza sono stati i nuovi investimenti per adeguamento degli spazi ai protocolli anti Covid (31%).  Spese, queste, non programmate e rese obbligatorie dalla situazione di pandemia che ha richiesto di sanificare, di riorganizzare gli spazi di lavoro e di favorire il lavoro agile. Molto interessante ed assai meno scontato è invece quanto emerge circa gli investimenti immateriali, che lo scorso anno sono aumentati rispetto all’anno precedente, arrivando ad interessare il 31% di coloro che ha investito. Tipicamente si tratta di investimenti che comprendono ricerca e sviluppo, brevetti etc. Questo dato trova un importante riscontro anche nel numero di brevetti sviluppati in provincia di Varese (85) che nell’anno della pandemia 2020 sono stati superiori a quello del 2019. 

Quindi, la pandemia, se da un lato ha segnato il passo rallentando la spinta ad ampliare la capacità produttiva in un momento di crollo della domanda, spingendo verso investimenti di adattamento del modo di lavorare e di layout, dall’altro lato si è dimostrata un momento di riflessione che ha spinto alcuni a reinventarsi per affrontare il mercato. Come in tutti i momenti sospesi, ci si trova di fronte alla scelta di aspettare che tutto passi o di cercare di reagire ricercando o creando nuove opportunità. Se ne è avuto un esempio concreto guardando a quanti, anche sul territorio, nel settore tessile hanno provato a riconvertire le produzioni e realizzare studi e ricerche innovativi su materiali nell’ambito delle mascherine, una tipologia di bene per alcuni mesi quasi totalmente irreperibile. Tra coloro che nel campione hanno realizzato investimenti immateriali ci sono pertanto imprese tessili, ma anche molte aziende del settore metalmeccanico.

L’investimento non si sarebbe concentrato solo sul far crescere o razionalizzare il mercato in cui già si produce, ma avrebbe anche riguardato ambiti, come l’innovazione, utili per aprirsi a nuovi sbocchi produttivi.  Investimento, quindi, da intendersi in chiave strategica proattiva.  
Con queste premesse l’analisi dell’Ufficio Studi di Univa si è focalizzata nell’indagine su due grandi direttrici di cambiamento attuali: la digitalizzazione e la sostenibilità. In entrambi i casi la traccia ha dato un risultato. Nel 2020, il 46% delle imprese intervistate ha realizzato investimenti in digitalizzazione. Una propensione elevata soprattutto nelle grandi imprese (83%), ma anche nelle medie aziende (61%) e, seppur a minor intensità, anche nelle piccole (32%). La parte del leone tra coloro che hanno digitalizzato la fanno gli investimenti in ICT e, in particolare, in sicurezza informatica. A stretta misura, seguono quello nelle risorse umane, dove nel 2020 si sono concentrati gli acquisti di strumentazione (PC, piattaforme di condivisione online). Sono stati investimenti trainati dal grande balzo in avanti delle organizzazioni che hanno dovuto imparare in qualche settimana a lavorare anche da remoto. Le altre aree che hanno assorbito investimenti in digitale sono, nell’ordine, contabilità, finanza e processi decisionali; realizzazione del prodotto ed erogazione dei servizi; clienti e mercati. A seguire, logistica ed acquisti. Tutte aree che vedranno una sostanziale conferma di investimento anche nel 2021, tranne per quella della strumentazione per le risorse umane, che ha evidentemente superato lo scalino. 

Se il 2020 ha visto un’accelerazione degli investimenti in digitalizzazione, occorrerà aspettare il 2021 per arrivare ad un’incidenza simile (intorno al 40%) per quelli in sostenibilità. Il tema si sta facendo strada ed incontra un crescente interesse a partire dalle imprese di grande (il 73% è interessato) e media dimensione (54%). Il chimico–farmaceutico è il comparto con maggior propensione a questo tipo di investimenti, con un trend in forte crescita tra i due anni di analisi. Il tessile–abbigliamento mostra una propensione più bassa nel 2020, ma vede invece una crescita decisa ed un suo raddoppio nelle previsioni 2021: si tratta di investimenti che, in larga misura, si concentrano sul processo produttivo, e solo in seconda battuta, su prodotto ed organizzazione. Ben vengano, quindi, politiche economiche ed interventi che, a partire dal Recovery Plan, possano accompagnare la transizione digitale e sostenibile del nostro sistema produttivo. Tali politiche trovano a Varese terreno fertile. La volontà delle imprese di investire non è in discussione.  

 

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