Concentrare le risorse solo su quei settori in grado di trainare territori ed ecosistemi produttivi. Investire nella formazione delle nuove competenze digitali. Sfruttare le capacità crescenti dei cluster di creare “valore condiviso” e di fare della collaborazione un vantaggio competitivo. Ecco le traiettorie indicate dai white paper del WMF 2020 per costruire una nuova normalità manifatturiera

Come sviluppare le nuove competenze richieste da un’industria moderna e sempre più intelligente? Quali sono le politiche regionali, nazionali e internazionali di cui imprese e territori hanno bisogno per cavalcare le nuove catene globali del valore? Quale sarà il ruolo dei classici distretti industriali ormai evoluti in cluster? Ci sono domande a cui aziende e i decisori politici devono dare al più presto risposte chiare e su più fronti per costruire il mondo post-Coronavirus e traghettare il sistema manifatturiero verso una nuova normalità. A provare a dare una mano a orientarsi in una fase così convulsa e confusa, tra piani per affrontare l’emergenza e visioni di un futuro sempre più incerto, oltre che sempre più digitale, è una serie di white paper riassunti nel documento “Back to the Future: Manufacturing Beyond Covid-19” che il World Manufacturing Forum ha presentato nell’edizione 2020 dopo un anno di lavoro che ha coinvolto, subito dopo lo scoppio della pandemia, decine di professori universitari, direttori di centri di ricerca ed esperti di industria. Risultato: una sorta di manifesto della nuova normalità. Persone, politica, preparazione, produttività. Questi i 4 grandi capitoli esaminati su cui si gioca il futuro delle imprese nel contesto mondiale.

“La WM Foundation sta rafforzando il proprio ruolo di riferimento nel manifatturiero globale attraverso iniziative che puntano a incrementare le relazioni e il confronto e a mettere a fattor comune le esperienze positive, valorizzando la sinergia tra industria, ricerca e politiche provenienti da ogni parte del mondo. Mai come dopo questa lunga e inaspettata fase emergenziale le esperienze di resilienza manifatturiera rappresentano una speranza per una più rapida ripartenza di tutta l’economia e l’industria”, spiega il varesino Alberto Ribolla, Presidente della World Manufacturing Foundation.

Un contributo importante in questo lavoro di studio è quello fornito dai docenti della LIUC – Università Cattaneo, l’ateneo fondato ormai quasi 30 anno fa dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e, proprio per questo, tra le strutture di ricerca economica applicata più vicine al mondo dell’impresa e, in particolar modo, della manifattura. Due i filoni su cui si sono concentrati gli esponenti della LIUC che hanno partecipato al progetto del World Manufacuring Forum: le politiche fiscali e monetarie necessarie per aiutare le imprese a superare la crisi pandemica e il futuro dei cluster manifatturieri. “Anche se le autorità sia monetarie che fiscali hanno sbloccato una quantità di risorse finanziarie senza precedenti - si legge nel white paper curato dai docenti della LIUC Massimiliano Serati e Andrea Venegoni - è necessario ora fare delle scelte per non disperderle in troppe azioni frammentate e per trovare un quadro integrato in grado di spingere davvero il tessuto economico verso un’evoluzione strutturale”. Una conclusione che vale per l’Italia, così come per tutte le principali potenze industriali chiamate a “strutturare un piano di economia industriale coerente, scegliendo quali settori e filiere saranno strategici nello sviluppo economico di un dato ecosistema e quali non hanno prospettive” e dovranno dunque essere abbandonati al loro destino. Impossibile sostenere tutti.

Stanno emergendo nuovi lavori. Tra i primi 5 indicati dal WMF ci sono l’artificial intelligence specialist, il data scientist, il data engineer, il big data developer, il data analyst

Questo il concetto forte che esce dal white paper. “Sovvenzionare aziende e industrie zombie sarebbe uno spreco di risorse finanziarie e comprometterebbe anche le condizioni del mercato del lavoro, aumentando il problema del disallineamento delle competenze prospettiche”. Una metodologia politica, quella suggerita dai ricercatori della LIUC, che si traduce anche in consigli concreti a partire da quello di “investire in infrastrutture fisiche e, soprattutto, digitali, rivedere il quadro fiscale e accelerare le procedure burocratiche e legali”. Ma ancora più importante è per i ricercatori Serati e Venegoni l’attenzione posta sui fronti dell’istruzione e del mercato del lavoro: “La formazione e l’attrazione di lavoratori altamente qualificati, oltre a evitare l’obsolescenza delle competenze e la ‘reingegnerizzazione’ dei Neet (le persone che non studiano e non lavorano ndr) e dei lavoratori sotto-qualificati, sarà fondamentale per mantenere competitivo il sistema economico e fornire al sistema produttivo le risorse necessarie per essere pronto per le sfide future”.

Perché se è vero che nelle imprese sempre più digitali e intelligenti il ruolo delle macchine è destinato ad aumentare, allo stesso tempo si aprono nuove opportunità legate a nuove competenze. Di cui oggi le imprese hanno vera e propria fame. Nel WMF Report 2020 è scritto a chiare lettere: oltre alla mancanza di accesso alla vera risorsa moderna rappresentata dai dati (indicata dal 58% delle imprese), l’altro fattore (indicato dal 47% delle aziende) che fa da ostacolo all’implementazione dell’intelligenza artificiale nel sistema produttivo è la mancanza di una sufficiente forza lavoro dotata di competenze digitali. Bisogna intendersi: la perdita dei posti di lavoro è uno dei rischi più grandi legato allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, insieme a quello della sicurezza e della privacy. Ma è anche vero che le nuove macchine, pur aumentando la loro quota di lavoro sottraendola all’uomo, hanno bisogno di nuove competenze per funzionare in maniera efficiente e produttiva. Stanno emergendo nuovi lavori. Tra i primi 5 indicati dal WMF ci sono l’artificial intelligence specialist, il data scientist, il data engineer, il big data developer, il data analyst.

Alberto Ribolla, Presidente World Manufacturing Foundation: “Mai come dopo questa lunga e inaspettata fase emergenziale le esperienze di resilienza manifatturiera rappresentano una speranza per una più rapida ripartenza di tutta l’economia e l’industria”

Poche imprese possono farcela da sole. Da qui il ruolo sempre più strategico che possono giocare sul fronte dell’innovazione i cluster. Ossia l’evoluzione moderna del classico, e tanto caro all’Italia, concetto di distretto industriale. La differenza tra l’uno e l’altro? Che mentre nel distretto a creare sinergie erano le sole imprese tra loro, ora il cluster coinvolge nelle catene collaborative sia le aziende, sia le università, sia i centri di ricerca, sia le associazioni datoriali come quelle del Sistema Confindustria. Due esempi per tutti vicini al territorio: il Lombardia Aerospace Cluster e il Cluster Fabbrica Intelligente. “I cluster - spiegano nel loro white paper i docenti della LIUC Fernando Alberti e Federica Belfanti - stanno supportando le aziende nell’affrontare 3 sfide principali che, secondo le evidenze raccolte, abbracciano paesi, regioni e settori: accelerare i processi di digitalizzazione; migliorare l’agilità e la collaborazione per reagire rapidamente, adottando modelli di business flessibili e adattivi basati sul concetto chiave di ‘co-creare e imparare’; riorientare le strategie verso obiettivi sociali e ambientali per affrontare meglio i bisogni emergenti delle persone e del pianeta con pratiche di creazione di valore condiviso”.

Un ruolo sempre più strategico, dunque, quello dei cluster nell’industria moderna, che deve essere colto sia dalla politica, sia dagli stessi imprenditori: “La collaborazione come vantaggio competitivo”. È questo il messaggio chiave che i ricercatori della LIUC lanciano alle imprese con il documento preparato per il WMF 2020. Ne va della capacità di “essere più resilienti”, nonché di dotare i sistemi produttivi territoriali di “un mix più equilibrato tra catene di approvvigionamento e reti locali e globali”. Allo stesso tempo, però, servono nuove misure politiche di innovazione a diversi livelli: “Un livello di attività (ad esempio, supporto alla ricerca e sviluppo e implementazione di nuovi modelli di business collaborativi); a livello aziendale (supporto a start-up); un livello settoriale (la promozione, appunto, della collaborazione in cluster e reti); un livello di mercato (con la deregolamentazione)”. Insomma, meno burocrazia e capacità di visione. Alla fine, si torna sempre lì.

Alberto Ribolla al WMF 2020

 

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