Pochi altri settori sono coinvolti in prima persona come abilitatori della modernità nella manifattura nazionale e mondiale. E l’Italia, così come Varese, ha la possibilità di ricoprire un ruolo da protagonista grazie alla radicata presenza delle imprese del comparto sul territorio. Ma a quali condizioni? Intervista all’imprenditrice varesina, Barbara Colombo, Presidente di Ucimu

Tutti i settori dell’industria sono coinvolti trasversalmente nella trasformazione digitale. Ma pochi altri comparti manifatturieri sono abilitatori di questa rivoluzione come quello delle macchine utensili. È dalle imprese di questo spaccato industriale, particolarmente radicato in provincia di Varese (784 unità locali, 13.200 addetti e un export annuo di 2,2 miliardi), che passa la modernità. Lo sa bene Barbara Colombo. Non solo in qualità di imprenditrice e Amministratore Delegato della Ficep Spa di Gazzada Schianno. Ma anche in qualità di neo-Presidente eletta alla guida di Ucimu, l’associazione di categoria del Sistema Confindustria dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione. “Le nostre imprese – spiega – rappresentano una componente dell’industria made in Italy che occupa posizioni di primo piano nelle classifiche internazionali di settore. Posizioni che abbiamo le capacità di presidiare a patto che tutti facciano la loro parte: imprese, istituzioni e organi di governo”. Sostenere il settore, considerandolo strategico per il Paese, vuol dire accompagnare tutta l’economia nazionale nella quarta rivoluzione industriale. Così come la Cina ha già deciso di puntare, nel piano di sviluppo dei prossimi anni, sull’autarchia tecnologica, facendo di questo elemento il perno del proprio sviluppo, così per l’Italia diventa strategico far valere le proprie competenze manifatturiere nelle macchine, per cavalcare l’implementazione dell’industria 4.0 in Italia e nel mondo. Non è un caso che proprio l’ultima edizione del World Manufacturing Forum abbia posto le macchine utensili tra i principali ambiti di applicazione dell’intelligenza artificiale nel prossimo futuro. Ed è forte di questo ruolo che la Presidente di Ucimu lancia un primo messaggio al Governo: “Il Piano Transizione 4.0. deve essere reso strutturale, deve durare almeno 5 anni per permettere alle imprese di programmare nel tempo gli investimenti di ammodernamento e digitalizzazione dei propri reparti produttivi. È l’unico vero strumento di politica industriale che il Paese si sia dato negli ultimi anni, è un provvedimento che attiva la crescita del sistema economico del Paese e quindi occorre che il Governo prosegua su questa strada, ben oltre il 2020”.

Con quali concreti incentivi per le imprese?
Riguardo allo strumento scelto, il credito di imposta è, certamente, quello più adeguato perché di semplice utilizzo e fruibile anche dalle imprese che non fanno utili e che possono recuperare l’investimento detraendolo dai contributi previdenziali. Chiediamo però che siano corretti al rialzo i massimali su cui applicare il credito di imposta e sia prevista la rimodulazione delle aliquote.

Si parla tanto di trasformazione digitale, di 4.0, ma alcune imprese non possono essere definite nemmeno 2.0. Come colmare questo gap interno alla stessa industria?
Proprio per questo come Ucimu stiamo chiedendo che anche per gli acquisti di nuove macchine utensili non legate all’industria 4.0, quelle che in passato erano soggette al superammortamento, sia raddoppiata l’aliquota del credito di imposta, ora fissata al 6%. Questo perché la trasformazione dell’industria manifatturiera italiana è un percorso graduale. Bisogna arrivarci per step. Ci sono aziende che sono già ad una fase molto avanzata di digitalizzazione. Ve ne sono altre invece che hanno bisogno di svecchiare il parco macchine presente nelle loro officine. Ma alla componente tecnologica si affianca anche il tema delle competenze. Il cambiamento che stiamo vivendo può essere affrontato solo se contemporaneamente viene costruito un grande piano formativo, sia all’interno delle imprese, sia nelle scuole.

Proprio sul fronte della formazione all’interno delle imprese qualche esponente di Governo ha voluto sottolineare che gli incentivi già previsti sono stati poco utilizzati dagli imprenditori.
Questo perché fino ad oggi è mancato un elemento chiave per rendere fruibili tali incentivi. Ossia quello di far rientrare anche il costo per l’utilizzo dei migliori docenti. Il credito di imposta per la formazione deve comprendere anche il costo del consulente esterno. Fino ad oggi non è stato così, tagliando fuori in questo modo le piccole e medie imprese per le quali l’investimento in una formazione di qualità è spesso proibitivo.

E sul fronte dei giovani e della scuola?
Qui occorre favorire il raggiungimento di conoscenze intermedie fra il diploma e la laurea, potenziando gli Its - Istituti Tecnici Superiori, perché, nel nostro settore, non troviamo giovani meccanici, elettronici, informatici, meccatronici preparati. Ed è un’assurdità visto il tasso di disoccupazione giovanile al 30%. Questo è uno dei più drammatici gap che bloccano lo sviluppo delle nostre imprese, del Paese e della crescita del benessere sociale. La maggior parte degli iscritti al biennio post-diploma degli Its in specializzazioni come la meccatronica vengono intercettati dalle imprese per una futura assunzione sin dal primo dei 2 anni di studio. Questo dà l’idea della fame di competenze delle imprese e, allo stesso tempo, delle opportunità che l’industria 4.0 sta dando alle nuove generazioni. Opportunità che rischiano di andare sprecate. Con danno per tutti.

Ma come rendere l’industria delle macchine utensili made in Italy protagonista della trasformazione digitale nel mondo?
In questo caso l’internazionalizzazione deve richiamare le imprese ad un cambio di paradigma nel presentarsi sui mercati. Dobbiamo fare maggiormente squadra come sistema. Ecco perché come Ucimu abbiamo per esempio deciso di muoverci sul mercato indiano con le reti d’impresa. Un modello che sta funzionando e che vogliamo replicare su altre aree di interesse. A partire dagli Stati Uniti (nostro primo mercato di sbocco) e Vietnam, quest’ultimo come testa di ponte per tutta l’Asia. Altra sfida internazionale è quella di non lasciare l’Africa Centrale al solo presidio dell’industria cinese. Possiamo essere protagonisti anche noi.

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