20-anni-di-infrastrutture

“Alzando lo sguardo, scopriamo che una parte della provincia, quella a Nord, è ancora collegata in modo pessimo con quella a Sud e viene da chiedersi se questo non sia un limite oggettivo alla sua reattività economica”

‘‘Una provincia a 30 km l’ora”. Era il febbraio del 2002 e Varesefocus dedicava questo titolo in copertina e ampia parte del numero ad un tema che negli anni era già stato trattato e sarebbe stato in futuro uno dei più approfonditi. Fino ad oggi. Basti pensare all’attuale dibattito aperto sulla Tav e, in particolare, all’appello congiunto al Governo da parte delle imprese italiane che chiedono di vivere e lavorare in un Paese competitivo e di cui abbiamo parlato nel numero scorso. Sfogliando 20 anni della nostra rivista, saltano all’occhio questioni ancora aperte: resta un tallone di Achille, per una provincia caratterizzata da una forte vocazione all’imprenditoria e al manifatturiero, la mancanza di una rete di infrastrutture adeguata.  Abbiamo chiesto a Massimiliano Serati, Direttore del Centro sullo Sviluppo dei Territori e dei Settori della LIUC Business School, di aiutarci a tracciare un bilancio di quello che negli ultimi vent’anni è cambiato. O non è cambiato. 

Professore, al nostro lettore potrebbe sembrare che sia cambiato ben poco negli ultimi vent’anni. Il che appare tanto più grave in un momento in cui si parla sì di infrastrutture materiali, ma anche digitali.
Manteniamo artificiosamente la distinzione tra infrastrutture digitali e materiali. Premessa l’ovvia sinergia tra le due, quello delle infrastrutture digitali è in un certo senso un falso problema: le innovazioni digitali hanno acquistato un ruolo così essenziale nei processi produttivi come nella vita quotidiana che la loro diffusione è fortemente indotta, quasi imposta, dal traino della domanda. O rimani completamente fuori dal mondo o ci vivi dentro: è un dato di fatto. E fattori che prima producevano un effetto “divide” oggi agiscono sempre più in logica di inclusività. Alcuni territori ci arrivano prima, altri un po’ dopo, qualcuno è più preparato, qualcuno meno, ma abbiamo tutti gli strumenti per affrontare la questione. Per fare un esempio, gli ultimi dati Istat del 2018 ci raccontano di un paese nel quale la percentuale di famiglie che hanno accesso alla rete mobile 4G (98,7%) e a quella fissa a banda larga (87%) è superiore alla media Ue. E nel nord del paese la situazione è ai massimi livelli europei. Altro discorso è quello che riguarda le infrastrutture materiali.

Qui non sembra che abbiamo tutti gli strumenti...
È una questione di rilevante delicatezza e complessità. Partiamo da esempi pratici. La prossima estate, per qualche mese, chiuderà l’aeroporto di Linate e il traffico si riverserà su Malpensa. È una sorta di test: l’aeroporto ha tutta la “capacità produttiva” che serve per reggere, ma non è detto che sia altrettanto vero per le infrastrutture di contorno. Toccheremo con mano di nuovo e, con evidenza, problematiche irrisolte, in primis la saturazione di tutte le tratte di connessione lungo l’asse Gallarate - Milano. E non è scontato che i rimedi previsti per il medio-periodo siano sufficienti o adeguati. Il collegamento ferroviario tra Gallarate e il T1 di Malpensa che, sulla carta, dovrebbe essere un bypass, potrebbe al contrario indurre un incremento dei “passaggi” complessivi e sovraccaricare ulteriormente un traffico già al limite. Ciò non significa che nuove infrastrutture costituiscano un pericolo, tutt’altro, ma che la loro valutazione di utilità ed efficacia oggi è molto più complessa che in passato.

“La Pedemontana oggi è sottoutilizzata forse per i costi di transito, ma sicuramente anche perché la validità di un’opera simile si esprime rispetto al progetto completo. Una Pedemontana che non arrivi a Bergamo, ma si fermi in Brianza, è per definizione un progetto monco”

Insomma, i problemi sono concentrati in quell’area?
Quell’area è al centro dell’attenzione per la sua densità economica e produttiva, ma, alzando lo sguardo, scopriamo che una parte della provincia, quella a Nord, è ancora collegata in modo pessimo con quella a Sud e, viene da chiedersi se questo non sia un limite oggettivo alla sua reattività economica. Qualcosa si muove ma che cosa? Pensiamo alla tratta ferroviaria tra Arcisate e Stabio: i dati parlano oggi di 4000 passeggeri circa al giorno, un dato piuttosto confortante rispetto alle aspettative. Ma 2500 di questi sono transfrontalieri. Viene da supporre che l’opera abbia senza dubbio velocizzato i tempi di spostamento per questi lavoratori (e ridotto i costi “di sistema”, il che è apprezzabile) ma che l’impatto, tanto annunciato, sull’economia del territorio sia stato piuttosto debole. La questione è aperta. Un altro esempio riguarda la Pedemontana, oggi sottoutilizzata, forse per i costi di transito, ma sicuramente anche perché la validità di un’opera simile si esprime rispetto al progetto completo. Una Pedemontana che non arrivi a Bergamo, ma si fermi in Brianza, è per definizione un progetto monco e di respiro limitato. La verità è che le nostre infrastrutture non sono all’anno zero; non è più sufficiente, né auspicabile, “fare opere” di qualunque tipo e riempire vuoti per avere ricadute positive. Occorre ponderare con estrema cura e ragionare in stretta logica di fabbisogno territoriale e non in maniera decontestualizzata e astratta, piuttosto che sotto la pressione dell’emergenza. Altrimenti si rischia di perdere tempo e lasciare aperte questioni essenziali, come il divario tra Nord e Sud della provincia o la difficoltà a muoversi sul territorio in linea orizzontale. 

Quindi, la Pedemontana è un’opera da rimettere in discussione? 
No, ma nel realizzarla (più che nel progettarla) ci si è mossi seguendo logiche un po’ datate, che segmentavano le esigenze dei territori senza una visione alta. Pedemontana può diventare essenziale se completata e, a quel punto, lo “sfogo” su Bergamo cambierebbe le cose. Tutto può funzionare se si ragiona in ottica di fabbisogno reale. La verità è che ci sono pochi altri territori in Europa paragonabili al Sud della provincia di Varese, per indice di infrastrutturazione e che il nostro territorio (come confermato dagli indicatori di 100% Lombardia, piattaforma di statistiche territoriali prodotta da LIUC) è ai vertici delle statistiche lombarde: la logica deve essere quindi capire cosa ci manca. E ribadisco che ci mancano connessioni Nord Sud e la possibilità di poterci muovere meglio in maniera orizzontale. Il tema è anche quello di razionalizzare i servizi. Pensiamo ai treni. Ampliare la rete è costoso e difficile, ma migliorare il servizio e la qualità con più corse e più puntualità è doveroso. 

E a proposito della Tav?
Il ragionamento qui è un altro. Impossibile giudicarla, se non la contestualizziamo all’interno della rete dei Corridoi Europei di collegamento per le merci: lasciare lì un “buco” che vanifica un’architettura europea non sarebbe positivo in assoluto e per l’immagine dell’Italia con i partner internazionali. Vanificare sforzi già fatti toglierebbe molte opportunità al Paese. 

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