La stagione della disintermediazione è (momentaneamente) finita. L’assalto della politica al ruolo delle parti sociali ha fallito. A contribuire a questo risultato è stata anche la pandemia con le conseguenti richieste del Paese e dei territori di un ritorno all’interesse comune e a un senso di comunità. Sono le conclusioni a cui arriva il libro dell’imprenditore bustocco, Michele Tronconi: “Perché insieme”. Un titolo che parte da una domanda per arrivare a un’affermazione: la modernità e la complessità, per essere governate, hanno bisogno di associazioni imprenditoriali e sindacati

Il 70% degli italiani considera strategico il ruolo dei corpi intermedi per uscire dall’emergenza sanitaria e nella fase di ripartenza del Paese”. La notizia appare come un fulmine a ciel sereno sul sito del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro a metà ottobre 2020. La seconda ondata del Covid è alle porte. Il Paese sprofonda di nuovo nell’incubo e, allo stesso tempo, si aggrappa alle poche certezze che ha. Tra queste, certifica il Cnel riportando i dati della prima indagine sui corpi intermedi realizzata da Ipsos, ci sono le parti sociali che hanno, secondo l’opinione pubblica sondata, “la funzione fondamentale di collegamento tra le istituzioni e la cittadinanza nella rappresentanza di interessi altrimenti inascoltati” e a “supplire alle carenze delle politiche pubbliche”. I cittadini girano le spalle alla stagione della disintermediazione che sembra (momentaneamente) finita. L’assalto al ruolo delle parti sociali non è andato a segno.

Risultati che danno dunque ragione alle tesi contenute nel libro dall’imprenditore bustocco Michele Tronconi: “Perché insieme. Natura umana e corpi intermedi”. Una pubblicazione che è, allo stesso tempo, un’analisi accurata delle difficoltà che hanno attraversato negli ultimi anni le parti sociali nel rapportarsi con chi aveva le leve del potere e uno studio sulle ragioni economiche e sociali su cui si è basato il tentativo di molte forze politiche e dei loro leader di minarne il ruolo centrale di interlocutrici nell’azione di governo. Il finale è svelato subito. Come in una narrazione al rovescio si arriva immediatamente alla conclusione: il tentativo è fallito. Proprio di fronte alla crisi pandemica e ad una fase di ricostruzione economica e sociale del Paese, associazioni imprenditoriali e sindacati stanno riprendendo il loro giusto posto nel mondo. Oggi più che mai all’Italia servono rapidità, rappresentatività e competenza. Come conciliare tutti questi elementi se non “attraverso i corpi intermedi?” Del resto, scrive già nella premessa del libro Tronconi, “con chi concordare la chiusura delle attività produttive per limitare il contagio se non con le rappresentanze delle imprese e coi sindacati? Con chi valutare gli interventi di sostegno al reddito, o il supporto finanziario alla produzione?” È nel pieno dell’emergenza che “la supposta semplificazione dei rapporti tra governanti e governati”, veleggiata per anni “sospinta dal populismo”, ha perso la sua forza. “Sembrava che i corpi intermedi fossero destinati al tramonto nel nome della disintermediazione”. E invece: “Ora si sa che i corpi intermedi servono ancora”.

Un po’ come nel ’92 e ’93, quando, ricorda Tronconi, “proprio in uno dei momenti più bui della Repubblica, sindacati e Confindustria hanno dato vita alla concertazione più costruttiva e pragmatica di sempre”. Il Trattato di Maastricht era da poco stato firmato. Occorreva “sistemare i conti pubblici sotto la pressione per l’alta inflazione che portava a emettere titoli di debito pubblico a tassi sempre maggiori”. Prima la manovra del Governo da 30mila miliardi di lire, poi quella aggiuntiva da 93mila miliardi, una delle più consistenti di sempre. La fuga dei capitali all’estero, la svalutazione della lira con un crollo del -25%. Il Paese era in ginocchio. “Tuttavia il confronto pressoché diurno col governo risultò essenziale per far spegnere l’inflazione, con due importanti accordi interconfederali che cambiano la storia delle nostre relazioni industriali”. Il primo è datato luglio 1992, il secondo luglio 1993. “Dapprima sopprimendo la scala mobile, poi modificando gli assetti della contrattazione collettiva”. Era il periodo dei Luigi Abete (Presidente) e Innocenzo Cipolletta (Direttore) in Confindustria. Dei Bruno Trentin (Cgil) nel sindacato. “Senza dimenticare, ovviamente, il ruolo giocato anche dai Segretari Generali di Cisl e Uil. Alla capacità di leadership di tutti loro va aggiunta una moltitudine di presidenti di associazione e di sindacalisti, spesso sconosciuti e dimenticati, che parteciparono alla costruzione del consenso e fecero da cinghia di trasmissione attraverso il Paese, passando per le fabbriche, o rispondendo sui giornali o alla televisione”. Il valore dei corpi intermedi diffusi sul territorio nei momenti di crisi. Quelli in cui le scelte, anche impopolari, hanno bisogno della costruzione di una condivisione dal basso. Di intermediazione, appunto. Oggi, come allora.

Il ritorno dell’inflazione, la necessità della contrattazione per affrontare le richieste sindacali di difesa del potere d’acquisto dei salari, il fenomeno della de-globalizzazione, la gestione del consenso intorno a politiche anche impopolari per affrontare il rientro dal debito pubblico: ecco i fenomeni che riportano al centro della scena il ruolo mediatore dei corpi intermedi

Tronconi questo mondo lo conosce bene. La sua è una vita dedicata all’associazionismo imprenditoriale. Negli anni è stato Vicepresidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Presidente di SMI – Sistema Moda Italia, Presidente di Euratex (la federazione europea dell’industria tessile e dell’abbigliamento), componente del Consiglio Generale di Confindustria. Una passione ereditata da suo padre, Attilio Tronconi, Presidente dal ’78 all’81 dell’Unione Bustese degli Industriali. Allora Michele era uno studente del liceo, ma anche ghostwriter del papà: “Di quei tempi ricordo la speciale considerazione riservata al ruolo pubblico dell’associazione degli imprenditori, al pari dei sindacati. I politici tributavano a questi soggetti collettivi un’autorevolezza eguale a quella dei loro rispettivi partiti, quali interpreti delle istanze economiche e sociali del Paese”. Il gioco dei ruoli era semplice. Esistevano il capitale, il lavoro e lo Stato. “Oggi – spiega invece Tronconi – è tutto più complesso nonostante s’invochi la semplicità e l’immediatezza di relazioni disintermediate”. Come dire: è proprio in una società dominata dalla complessità che i corpi intermedi tornano centrali per le politiche di sviluppo e di gestione delle difficoltà.

E, invece, per anni, è avvenuto il contrario: “La concertazione si è spenta gradualmente per la sua irrilevanza sostanziale a causa della globalizzazione e della scomparsa dell’inflazione ed è del tutto terminata con la fine dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011”. Da qui inizia la ricostruzione storica di Tronconi sulla disintermediazione. Una tentazione che ha attratto trasversalmente tutti gli schieramenti. Non solo i rottamatori o i teorici della democrazia diretta che tutto risolve: “Dall’ultimo Berlusconi col Ministro Sacconi, a quello tecnico di Mario Monti, quindi quello di Matteo Renzi. Tutti questi governi, infatti, pur con modalità diverse, hanno cercato di ridurre sia il potere di veto dei sindacati, sia il ruolo della rappresentanza datoriale, negando il ritorno a logiche di ampio confronto”.

Preconcetto, illusione, nuove geografie del potere: ecco i principali detrattori delle parti sociali. Il preconcetto secondo cui l’efficienza del Paese passi dallo scioglimento dei corpi intermedi, con “l’errata convinzione che la politica possa esistere senza formazioni collettive contrapposte, o pensando che chi assume il potere sia spinto unicamente dal pubblico bene”. L’illusione, alimentata da Internet, dai social network e dal conseguente mito della disintermediazione, che la democrazia diretta possa risolvere i problemi italici, come se le competenze non contassero. In democrazia uno vale uno, certo, “ma allo stesso tempo – spiega ai lettori di Varesefocus Michele Tronconi – la democrazia si costruisce anche con la sorveglianza degli eletti e con il confronto della pluralità dei corpi intermedi, ognuno dei quali è legittimato a rappresentare e difendere un interesse di parte, in un gioco di bilanciamento che porta alla costruzione di una sintesi nell’interesse generale altrimenti inarrivabile. Perché nessuno singolarmente può avere l’ambizione di esserne portatore. Chiunque esso sia. Che sia un partito, un singolo sindacato, una singola associazione datoriale”. E poi c’è l’ultimo elemento che in questi anni ha giocato contro i corpi intermedi: quello del potere, devoluto verso l’alto in direzione dell’Unione Europea e verso il basso in direzione delle Regioni. E con i Governi, dunque, tentati di riacquistare margini di rilevanza. Come? Semplicemente sostituendo la mediazione con le parti sociali attraverso l’interlocuzione diretta con il cittadino. Con il rischio di creare i presupposti di quella che un altro libro, “Italia 2030 – Proposte di Sviluppo”, ha definito la “frantumazione della società italiana”. L’individualismo che prende il posto del “bene comune”. La cancellazione di ogni coesione sociale con “la progressiva imposizione di nuove norme da rispettare senza essere discusse e condivise”.

In pratica “la fine delle democrazie liberali” che rischia di arrivare fino alla deriva di “qualche forma di populismo autoritario”. In questo passaggio la pubblicazione “Italia 2030” converge sulla visione che emerge dal libro di Tronconi: c’è bisogno di ricostruire la società su basi politiche diverse. Tronconi la chiama “controdemocrazia”. Il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nell’introduzione di “Italia 2030” la definisce “democrazia negoziale”. Due termini più o meno simili. Ma l’importante è il concetto, così espresso da Bonomi: “L’Italia ha bisogno di una democrazia negoziale costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso la rappresentanza del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura. E ciascuna di queste rappresentanze incarna sì interessi concreti e di parte, ma deve nutrire ambizione e capacità di portarli a sintesi in una grande matrice condivisa di bene comune e ricostruzione nazionale”. Ed è quello che avverrà secondo le previsioni di entrambi i libri, anche come conseguenza del dramma sanitario che abbiamo vissuto in questi mesi e che ci ha fatto riscoprire “l’importanza delle competenze e ha rivitalizzato le spinte solidaristiche e un senso di comunità prima smarrito”. Nelle conclusioni Tronconi scrive: “Quando ho iniziato questo lavoro i corpi intermedi apparivano in declino, quasi una sorta di residuati bellici di tempi ormai trascorsi. Anche se le adesioni non sono mai drasticamente scemate. Poi è arrivata l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e tutti ne hanno riscoperto il ruolo di interposizione”.

Come nel ‘92/’93. Perché è nei momenti di crisi che le parti sociali emergono con il loro valore di rappresentanza. E i momenti difficili non sono finiti. Nel medio termine la riorganizzazione del lavoro secondo le nuove innovazioni digitali, la ricomparsa dell’inflazione per via della de-globalizzazione alimentata dallo scontro Usa-Cina, il ritorno da protagonista della contrattazione per via delle rivendicazioni sindacali per la difesa del potere di acquisto dei salari, le necessarie politiche anche impopolari per la gestione del debito pubblico, sono tutti elementi che, per Tronconi, riportano allo scenario del ’92: la decisione avrà bisogno della concertazione e, dunque, delle parti sociali. “Non ci sarà più spazio per l’incompetenza o l’improvvisazione”. Non solo: la rincorsa del “facile consenso, attraverso scambi immediati” lascerà il posto a “un’ottica di lungo periodo”. Stiamo tornando ad un mondo in cui “la capacità deliberativa dovrà fondarsi sulla conoscenza dei problemi e sulla comprensione delle interdipendenze tra le variabili in gioco”. L’interesse generale torna ad avere bisogno di riscoprire i corpi intermedi.

 

 

 

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