La necessità del Paese di politiche di almeno medio periodo e di visioni alte, studiate e ragionate. Il fallimento dei bonus a pioggia per segmentare il consenso nella società. Il presenzialismo mediatico dei leader che abbrevia la curva temporale della popolarità. Ecco i fenomeni che hanno messo i bastoni tra le ruote della disintermediazione e che potrebbero riportare al centro della scena i corpi intermedi. Intervista al Presidente del Censis, Giuseppe De Rita

È la necessità del Paese di tornare ad una visione di lungo periodo che riporterà al centro delle decisioni politiche il ruolo dei corpi intermedi. Questa la visione che il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, condivide con Varesefocus sui futuri rapporti tra potere esecutivo e legislativo, da una parte, e parti sociali, dall’altra: “Il mito delle decisioni rapide e del presenzialismo finirà”.

Presidente De Rita in quale situazione si trovano oggi i corpi intermedi in Italia?
Direi che il momento non è brillante. I corpi intermedi sono di fronte ad una crisi diffusa dovuta a due generi di attacchi: uno dall’alto e uno dal basso.

Partiamo dall’alto. Si riferisce alla politica?
Quella della disintermediazione è una logica che ha caratterizzato negli ultimi anni più o meno tutti i politici. Matteo Renzi, in questo, non è stato l’unico attore, né probabilmente il primo. È un movimento in marcia da molti anni che ha cercato il contatto diretto con il popolo elettore. Un contatto sul quale basare il proprio potere. Il disegno politico è chiaro ed è stato applicato alla realtà. Non è solo una questione di comunicazione. Il referendum costituzionale renziano ne è stata una manifestazione evidente. Ma anche la politica dei bonus lo è. Si introduce un bonus vacanza per intercettare il consenso del turista elettore, senza confrontarsi con l’associazione degli albergatori. In questo scenario l’associazione datoriale è priva della capacità di avanzare la propria domanda. La politica ha già deciso. L’associazione rimane a mani nude. Se poi questa politica funzioni è un’altra questione.

Prima parlava anche di un attacco dal basso.
È quello che devono affrontare quei corpi intermedi che non accettano la sfida del rinnovamento. Troppo spesso la rappresentanza è vittima di sé stessa e della propria burocrazia interna. In alcuni casi le parti sociali volano troppo basso, sono prigioniere della logica dell’emendamento, delle piccole modifiche da apportare a questa o a quella legge. Serve, invece, più vitalità. Una progettualità più alta. Più democrazia interna. In molte associazioni serve anche impostare un ricambio più costante dei propri vertici.

L’accusa che viene rivolta alle parti sociali da alcuni commentatori e da una parte della politica è che la concertazione e il confronto rallenta le decisioni. Mentre oggi la modernità ha bisogno anche di velocità nel legiferare e nel prendere provvedimenti.
Abbiamo vissuto gli ultimi tre decenni con il mito della decisione rapida. Il nostro Paese è da troppo prigioniero di questa logica surreale e contraddittoria. La democrazia è confronto sociale e il confronto sociale è cultura dei tempi lunghi. Serve la capacità di ragionare almeno sul medio termine per governare i processi in atto. Governare la complessità velocemente è una contraddizione.

Come andrà a finire?
Sono convinto che questo mito della rapidità scomparirà e verrà sconfitto. Non possiamo avere l’affanno di reagire sempre immediatamente ai contesti. Serve tornare ad un ragionamento di merito strutturale sui fenomeni che ci circondano. Non si governa con il presenzialismo. Una vera classe dirigente interviene pubblicamente solo quando serve. I processi sociali sono lenti, ricondurli alla decisione quotidiana è un errore. Non è solo una questione che riguarda la politica. Basta guardare ai sociologi o ai virologi in televisione in questi mesi. Tutti a intervenire e a disquisire sul cambiamento della società dovuto alla pandemia. Ma un fenomeno del genere non si deve discutere oggi. Questa è la fase dello studio e dell’analisi. La verità è che non sappiamo oggi come cambieremo domani dopo il Covid. Prima serve osservare e analizzare.

Molti analisti sostengono che la disintermediazione ha fallito il suo attacco ai corpi intermedi la cui importanza è stata riscoperta proprio di fronte all’emergenza. Il Governo Draghi è l’inizio di una nuova fase?
La successione dei governi conta poco. È la struttura della politica il vero nemico dei corpi intermedi. Sia Berlusconi sia Conte hanno governato con il senso del giorno per giorno. Solo il ritorno ad una visione di lungo periodo può riportare al centro della decisione politica le parti sociali. Draghi ha oggettivamente un’altra visione. D’altronde è un uomo che da governatore di banca centrale interveniva due volte all’anno, solo quando serviva. Il suo mandato è di impostare politiche che avranno i loro effetti nel medio termine, in questo il recupero del rapporto con le parti sociali è essenziale. Ci sono però ancora oggi aspetti strutturali della politica che ancora non funzionano. Lo abbiamo visto anche di recente: la tentazione di annunciare in conferenza stampa provvedimenti e misure è ancora forte.

Le previsioni parlano di un possibile ritorno dell’inflazione. Questo può riportare al centro il ruolo della contrattazione?
La stagione della contrattazione come punto centrale della politica italiana credo non tornerà più, lo vedo impossibile. O almeno così come l’abbiamo conosciuta negli anni Sessanta e Settanta.

Insomma, secondo lei l’attacco della logica della disintermediazione ai corpi intermedi non è ancora finito, si è preso semmai una pausa.
La disintermediazione coglie un elemento fondamentale della sfera individuale dell’uomo moderno. Lo ripeto, non è solo una questione di Internet o dei social network. Frutto di questa logica è anche la politica dei bonus che cercano di intercettare il consenso delle singole fasce della società segmentandola con gli aiuti, senza però coglierne la complessità. Ma anche questa è una fase. Non si può governare un Paese per troppo tempo senza un ritorno al ragionamento di lungo periodo.

In tutto questo, però, come si inserisce il fatto che, dopotutto, i corpi intermedi non abbiano assistito ad un crollo dei propri iscritti?
Tutto sommato una tessera è sempre meglio averla in tasca. È questo il ragionamento di molti. Ma è un ragionamento pur sempre individualista. In questa fase, però, il rapporto tra peso politico e appartenenza associativa sono due fenomeni che metterei in collegamento.

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