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Quando scegliere un percorso di formazione post diploma in un Istituto Tecnico Superiore? Quando, invece, optare per la strada che porta verso la laurea? Una formula predefinita ovviamente non esiste. Ma ecco qualche consiglio di metodo ai ragazzi e alle ragazze su come maturare la propria decisione. Tra cuore e mente. Tra passioni e uno sguardo disincantato sulla realtà. L’importante è farsi le domande giuste  

‘‘Usate cuore e testa. Servono tutti e due, senza dare prevalenza all’uno o all’altra”. La scelta sul proprio futuro dopo aver ottenuto il diploma è una questione di equilibrio tra passione e realtà dei fatti. È questo il consiglio che dà ai ragazzi e alle ragazze in procinto di prendere la maturità Andrea Martone, Professore di Organizzazione Ambientale e Direttore del Centro di Ricerca in Strategic Management e Family Business alla LIUC – Università Cattaneo.
La scelta è sempre più complicata. Una volta c’era un semplice bivio: da una parte l’entrata nel mondo del lavoro, dall’altra il proseguimento della propria formazione all’Università. Oggi, a questa opzione di studio, si aggiunge quella degli Its. Ma quando scegliere l’una e quando l’altra? Laurea o diploma di tecnico superiore? Ovviamente una formula perfetta, dove inserire i dati per avere indietro un risultato predefinito, non esiste.  
“Il suggerimento che do – continua Martone – è di guardarsi allo specchio e capire quali siano le proprie passioni, ma farlo con una buona dose di realismo. Non basta chiedersi cosa ci piace fare. La domanda giusta è: tra le cose che mi piace fare qual è quella che può garantirmi un futuro professionale?” I sogni si devono confrontare, insomma, con il mondo reale. Perché è vero ciò che dice la massima di Confucio che ormai spopola su tutti i social: “Se ami quello che fai non sarà mai un lavoro”. Ma bisogna vedere se quello che ami può essere un lavoro. “Se scegli solo con il cuore – precisa il concetto il docente della LIUC – rischi la disoccupazione. Se lo fai solo con la testa rischi di fare una scelta contro te stesso che ti porterà solo insoddisfazioni”. L’importante è “non farsi influenzare da visioni datate, da aspirazioni del passato, magari più di mamma e papà, basate su vecchie convenzioni che portano a scelte obbligate di accettazione sociale”. Informarsi, informarsi, informarsi, dunque. “Soprattutto per capire cosa sia oggi il mondo moderno e reale”.
In questo senso gli Its offrono un’opportunità in più. Quanto meno per avere uno sguardo originale sull’entrata nel mondo del lavoro. La domanda, però, rimane. Per chi sceglie di continuare gli studi quando è meglio optare per l’Università e quando per un Its?

Un elemento in più su cui riflettere con dati alla mano lo fornisce il Vicepresidente di Confindustria per il Capitale Umano, Giovanni Brugnoli: “Uno studente universitario entra in contatto con il mondo dell’impresa solo al secondo semestre dell’ultimo anno del proprio percorso triennale. Uno studente che inizia un corso Its a settembre, a novembre è già in azienda a fare le prime esperienze sul campo”. Da una parte l’approccio accademico, dall’altra quello più tecnico-pratico con l’immediata messa a terra della conoscenza appresa in aula. 
“Questo, però, non vuol dire che negli Its si studi di meno, anzi. Lo studio è una parte importantissima e fondamentale”, avverte Monica Poggio, Presidente dell’Its Lombardia Meccatronica e Amministratore Delegato di Bayer Italia. La differenza vera non sta nelle ore passate sui libri. “Semmai – spiega Poggio – è da ricercare nello stile di apprendimento che negli Its è più applicativo, con la teoria che si affianca a molta pratica e con competenze che una volta fornite vengono dunque testate più velocemente dagli studenti nei laboratori e sul campo direttamente in azienda. Dall’altra c’è il fatto che il percorso di studio è più breve e lo sbocco sul mercato del lavoro più immediato”. Dopo due anni di studio negli Its, il lavoro è quasi sempre assicurato. Soprattutto in quei percorsi come quelli dell’Its di cui Monica Poggio è Presidente: l’Its Lombardia Meccatronica garantisce percentuali di occupazione ai ragazzi e alle ragazze che li frequentano del 95%, con il restante 5% che sceglie di proseguire ulteriormente gli studi all’Università. 
Perché anche questa è una scelta, come precisa il professore della LIUC – Università Cattaneo, Carlo Noè, delegato dal Rettore per tenere i rapporti con gli Its: “Chi opta per un Its non si preclude la strada per l’Università. Volendo, dopo la maturità e dopo aver scelto un Its, i ragazzi possono continuare con ulteriori studi all’Università con percorsi predefiniti come quelli che garantisce la LIUC agli studenti degli Its ai quali partecipiamo. Arriviamo a riconoscere a un diplomato Its anche 90 crediti formativi su un totale di 180 necessari per ottenere la laurea”. Non si riparte dunque da zero. 
Il consiglio di Noè è anche quello di non farsi influenzare dai luoghi comuni sui livelli retributivi: “In una recente visita in un colosso multinazionale che opera nel settore delle macchine utensili i responsabili dell’azienda sono stati molto chiari: tecnici specializzati che lavorano sui controlli numerici possono avere sia all’inizio della carriera sia in prospettiva buste paga più cospicue degli ingegneri”. Più che le prospettive di guadagno, dunque dovrebbero essere le aspirazioni di impiego a dettare le scelte: “La domanda in questo caso che un ragazzo o una ragazza dovrebbe farsi è: sono più portato, oppure, mi piace di più lavorare come ingegnere alla progettazione di una macchina o come tecnico specializzato al suo funzionamento e alla sua manutenzione?” Entrambe le figure per le imprese sono fondamentali. 
D’accordo sul punto Monica Poggio: “Il sistema si deve tenere nel complesso. C’è bisogno del giusto mix di competenze”. La fotografia che la Ceo di Bayer Italia scatta è impietosa: “Abbiamo un numero troppo basso di laureati, soprattutto in materie Stem (ossia scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche). E un numero bassissimo, soprattutto se rapportato ai nostri concorrenti europei, di diplomati Its”.
A dare la misura del gap è Brugnoli: “L’anno scorso alle imprese del nostro Paese sono mancati 240mila laureati Stem, 80mila diplomati Its e 320mila diplomati agli istituti tecnici e professionali”. 
Numeri che, tra cuore e mente, i ragazzi e le ragazze dovrebbero avere ben presenti quando, guardandosi allo specchio, pensano al proprio futuro.  

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