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Nell’opinione pubblica serpeggia la delusione per i risultati dei recenti vertici internazionali sul clima. E se le speranze riposte nei governi ora si spostassero sulle aziende? La manifattura ha di fronte a sé la sfida di diventare sempre più sostenibile, inclusiva delle diversità e socialmente impegnata. Un trend di sviluppo che porterà nei prossimi anni a nuovi prodotti e nuovi modelli di business. E a un riposizionamento dell’industria nella società 

‘‘Le persone vedono sempre più le aziende come gli attori più competenti per risolvere problemi globali, anche più delle organizzazioni non profit e dei governi”. Non solo business, dunque. E neanche più nemmeno un generico impegno per la responsabilità sociale d’impresa da affiancare al proprio brand. Lo scenario mondiale sta cambiando e i fenomeni tecnologici pongono la manifattura al centro di nuovi percorsi di crescita, certo, ma anche di un nuovo ruolo “rivolto al benessere delle comunità” e a “iniziative di impatto sociale” come motore di sviluppo e motivo stesso di esistenza. L’industria del futuro deve essere più attenta ai fenomeni sociali, all’impatto ambientale delle proprie attività, ad essere luogo di inclusione delle diversità. Oppure non sarà. Quella stessa opinione pubblica, delusa dai summit internazionali che non riescono a incidere a sufficienza sull’inquinamento del pianeta e sul surriscaldamento della Terra, chiede alle imprese di farsi parte attiva e supplire alle mancanze delle istituzioni. Dove non può il voto, arriverà la propensione ad un consumo più consapevole: “Secondo studi recenti, i consumatori hanno un terzo in più di probabilità di acquistare prodotti dalle purpose-driven companies”, ossia quelle aziende che sposano cause collettive sociali o ambientali.

È questa una delle principali dieci tendenze “che guideranno l’innovazione nel settore manifatturiero nel prossimo decennio”. A delinearle nell’ambito del World Manufacturing Forum 2021 di Cernobbio è stato il Paper dedicato ai temi emergenti per una resilienza di lungo termine nella manifattura: “Emerging topics for long-term resilience in manufacturing”. Un documento di studio e posizionamento per l’industria del 2030 curato dai ricercatori dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo di Castellanza, Fernando Alberti e Federica Belfanti. A loro il Wmf ha dato il ruolo di guidare un focus group di una decina di esperti tra docenti universitari e rappresentanti d’impresa di diversi Paesi. I dati come nuovo carburante di sistemi produttivi iperconnessi, ecosistemi sempre più “phygital” dove le tradizionali e lineari supply chain diventeranno sempre più connesse, intelligenti e scalabili; la centralità delle tecnologie di intelligenza artificiale e di apprendimento automatico delle macchine (machine learning): alla base di un documento che ha il compito di tracciare i trend di sviluppo dell’industria per i prossimi anni non può che esserci l’analisi dell’impatto crescente che la digitalizzazione avrà in ogni aspetto della manifattura. Ma ciò che emerge con sorprendente lucidità è come proprio queste tecnologie siano abilitanti non solo di sviluppo, e quindi maggiore produttività, ma anche di progresso sociale e di un riposizionamento stesso dell’impresa nella società.

Di fronte alla delusione dei recenti vertici internazionali sul clima, come la Cop26 in Scozia, è come se il mondo ora si affidasse alle imprese per raggiungere quegli obiettivi che i governi non hanno avuto l’ambizione di porsi. Ecco, dunque, spiegato il perché del fatto che nel documento stilato dai ricercatori della LIUC, Alberti e Belfanti, si parli apertamente, non solo di neutralità carbonica o emissioni zero. Per le imprese di un futuro molto più vicino a noi, rispetto alle tempistiche bibliche che si sono concesse gli Stati per dar vita a economie più sostenibili, l’obiettivo deve essere quello di trasformarsi in realtà a emissioni negative, sottozero: “È ormai chiaro che compensare le emissioni per diventare neutrali a livello di emissioni di carbonio non è più sufficiente. ‘Negativo’ deve prendere il posto di ‘neutrale’, i brand devono sforzarsi di rimuovere più emissioni di carbonio di quante ne emettano”. Ciò vuol dire ragionare in termini di filiera anche dal punto di vista della sostenibilità, andare oltre i propri cancelli: “Le aziende devono calcolare non solo le emissioni di carbonio delle loro operazioni ma anche le emissioni indirette e quelle dell’intera catena del valore dei propri prodotti o servizi. Ossia le emissioni di fornitori, clienti e partner. Ciò richiederà collaborazioni e partnership tra più attori, nonché innovazioni tecnologiche che consentano modi nuovi ed efficienti di raccogliere, condividere e utilizzare i dati lungo tutta la catena di approvvigionamento”. 

Ma non è solo questione di sostenibilità ambientale. Un altro trend che caratterizzerà la manifattura è anche quello dell’inclusività: “Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità – si legge nel rapporto – più di un miliardo di persone vive con una qualche forma di disabilità, rappresentando il più grande gruppo sotto-servito al mondo. La consapevolezza globale della diversità e dell’inclusione aumenterà, determinando una spinta sociale al cambiamento”. Un fenomeno a cui le imprese devono prestare attenzione: “Le aziende - è il suggerimento degli esperti del Wmf, Alberti e Belfanti - dovranno fare dell’inclusione e della diversità una parte integrante della loro strategia e dei loro modelli di business”. Si aprono enormi opportunità “di innovazione, specialmente nelle aree di progettazione del prodotto”. Il modello fin qui dominante verrà ribaltato. Servizi e beni non verranno più pensati per la maggioranza ed eventualmente riadattati, bensì sulle esigenze dei gruppi più piccoli e svantaggiati. Sui bisogni di quelle minoranze, che se soddisfatti permetteranno al prodotto di essere utile al 100% della popolazione. È così che sono nati i “mattoncini Braille” della Lego, le guide ai trasporti pubblici con Qr-Codes pixellati iper-reattivi per la metropolitana di Barcellona o il deodorante adattivo progettato da Unilever’s per l’uso con una sola mano. 

Altro trend che guida la manifattura resiliente del futuro è quello dei modelli basati sul cosiddetto “purpose-driven”, ossia i business che sposano cause collettive o sociali: “Questa tendenza sbloccherà opportunità di innovazione di prodotto in quanto consentirà alle aziende di indentificare nuove soluzioni che colleghino i bisogni sociali non soddisfatti e il valore aziendale, attraverso pratiche di valore condiviso”. Un esempio per tutti è quello del colosso Basf che si è imposto dal 1994 il proprio “corporate purpose-driven” di dar vita ad una chimica per un futuro eco-sostenibile e che da allora sta ripensando i propri prodotti a questo scopo. Non stupisca dunque che un colosso come Amazon, sotto le feste di Natale, ponga al centro della campagna pubblicitaria in Italia, non tanto il proprio servizio di e-commerce, ma le persone che lavorano in azienda. Come dire: i valori prima del business, il business per i valori.  

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