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Il 19,1% delle imprese varesine intervistate dall’Ufficio Studi Univa ha già dovuto ridurre i propri livelli produttivi. Questo uno dei principali effetti che il conflitto russo-ucraino sta avendo su un sistema produttivo fortemente internazionalizzato come quello all’ombra delle Prealpi. Aumento dei costi dell’energia, rincari e difficoltà di approvvigionamento sul fronte delle materie prime, problemi logistici con ritardi nelle consegne. Sassolini, a volte macigni, nell’ingranaggio dell’industria del Varesotto, che rischiano di creare nei prossimi mesi ulteriori stop produttivi nel 34% delle aziende

È del 19,1% la quota di imprese manifatturiere della provincia di Varese, intervistate dall’Unione Industriali, che a fine marzo aveva già dovuto ridurre la propria produzione. A frenare l’industria all’ombra delle Prealpi sono sia l’aumento dei costi energetici, sia i rincari e le difficoltà di approvvigionamento sul fronte delle materie prime e dei semilavorati, aggravati dalle crescenti tensioni internazionali. Questa la prima conseguenza che il conflitto russo-ucraino sta avendo sull’economia locale. Il dato emerge da un’elaborazione dell’Ufficio Studi Univa basata sullo spaccato dei dati raccolti tra le aziende del territorio che, tra il 15 e il 24 marzo, hanno partecipato alla survey lanciata a livello nazionale da Confindustria proprio per sondare gli effetti che lo scoppio della guerra sta avendo sul sistema produttivo italiano. La precisazione preliminare dell’Ufficio Studi di Univa per i cultori delle rilevazioni statistiche e per una giusta interpretazione dei dati è d’obbligo: il campione sondato (110 imprese), si legge nelle slide che sintetizzano i risultati, “essendo l’indagine a risposta volontaria, non è statisticamente rappresentativo dell’universo delle imprese varesine, ma ha una buona numerosità di risposte per categorie di imprese e per settori esposti agli effetti economici del conflitto”.

Risultato, appunto: il 19,1% ha già dovuto limitare la propria produzione. Di queste imprese il 52,4% ha contratto i livelli entro la soglia del 20%. Il 38,1% ha subito contrazioni tra il 21 e il 40%, mentre il 9,5% ha dovuto mettere in atto stop produttivi per oltre il 40%. E questo rischia di essere solo l’inizio. Se la guerra continuerà, le conseguenti tensioni sui mercati delle commodity e dell’energia, anche nel restante 80,9% delle imprese che ad oggi non si sono ancora fermate, rischiano di causare ulteriori cali nei ritmi di produzione. Il 34,1% prevede una riduzione o interruzione della produzione entro i prossimi 3 mesi. Il 28,4% ha una visione che arriva al massimo ad un anno, dopo di che dovrà intervenire con una diminuzione del lavoro. L’11,4% ha ossigeno per almeno due anni. Mentre solo il 26,1% potrebbe continuare con questa situazione all’infinito, senza colpo ferire sulla propria produzione.

Nella quasi totalità delle imprese varesine sondate (97,3%) il problema ritenuto “importante” o “molto importante” è l’aumento del costo dell’energia. Il 95,5% subisce gravi conseguenze anche a livello di incrementi dei prezzi delle materie prime. Alta la percentuale delle aziende che ha difficoltà di approvvigionamento: 82,7%. Fin qui le problematiche più diffuse che riguardano quasi l’intero panorama produttivo varesino. Minori, ma comunque molto elevate, anche le quote di imprese che registrano forti aumenti di prezzo sul fronte dei semilavorati (50,9%) e ingranaggi che si intoppano nel loro reperimento (42,7%). Fin qui la situazione dell’input, ossia nel rifornimento di tutti quei fattori necessari alla produzione. Qualche problema, però, si registra anche nell’accesso al mercato, se è vero che il 42,7% delle imprese segnala diminuzioni o, comunque, ostacoli alle esportazioni. A cui bisogna aggiungere il 40% di aziende che ha dovuto affrontare problemi (anche valutari) nell’incasso o nel pagamento nei confronti dell’estero. Le materie prime sulle quali le imprese varesine hanno più problemi di reperimento o di aumento dei costi sono acciaio, rame e nickel. Quelle, appunto, le cui principali fonti di provenienza sono Russia e Ucraina. Seguono, più a distanza, cotone, minerale di ferro, compensato, stagno, polpa di legno. A testimoniare come lo scenario coinvolga trasversalmente tutti i settori produttivi, non solo il metalmeccanico più esposto con le forniture ad Est.

Cambiano dunque i mercati di approvvigionamento, con le imprese che, nel 48% dei casi, provano a modificare la geografia delle proprie forniture. Nelle realtà protagoniste di questo rimescolamento il 43,2% delle aziende cerca in Cina ciò che non trova più dai propri classici partner internazionali. Il 34,1% sta provando ad accorciare la catena rivolgendosi al mercato interno italiano. Il 20,5% volge lo sguardo alla Germania. Il 18,2% sta cominciando a sondare l’India e il 13,6% la Turchia. Le catene globali del valore sono in subbuglio anche viste da Varese, dunque. Non senza problemi logistici da affrontare. “Il conflitto – si legge nel report dell’Ufficio Studi di Univa – ha aggravato le difficoltà logistiche globali che avevano già rallentato la ripartenza delle filiere internazionali di produzione nel 2021, in termini sia di ritardi, sia di aumenti nei costi”. Problematiche che si riscontrano nel 53,6% delle realtà produttive varesine sondate. In particolare, il 47,3% sta subendo incrementi nei costi dei trasporti, mentre il 40% denuncia allungamenti dei tempi di consegna. Solo il 2,7% ha dovuto fare i conti con vere e proprie interruzioni totali di fornitura.

“L’impatto sulla logistica internazionale – spiega ancora l’Ufficio Studi Univa – non si esaurisce, quindi, nella chiusura parziale o totale, dei mercati di origine e destinazione. Riguarda anche il passaggio delle merci in transito da e verso altri Paesi: un aspetto particolarmente rilevante perché la Russia è attraversata dalle rotte, via terra, che collegano l’Europa all’Asia e, in particolare, alla Cina”. Lo scenario è dunque sempre più complesso. Ma le imprese non stanno con le mani in mano. Ognuna sta cercando di sperimentare un mix di azioni per far fronte alle difficoltà. Nell’88% dei casi provano a rivedere i prezzi di vendita per salvaguardare almeno in parte le proprie marginalità. Il 31% si appoggia a finanziamenti agevolati. Il 28% sta sperimentando una rimodulazione dei turni di lavoro. Mentre sul fronte dello sbocco sul mercato, il 24% del sistema produttivo varesino sta andando alla ricerca di nuovi mercati di destinazione alternativi. “Non siamo in un’economia di guerra, ma dobbiamo prepararci”, aveva dichiarato non poche settimane fa il Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Le imprese varesine lo stanno già facendo. 

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