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Tutte le rivoluzioni hanno dei padri. In genere sono persone che individuano una via in modo chiaro, la teorizzano e la indicano agli altri. Le definizioni arrivano dopo, con calma, quando la realtà è già stata plasmata. Nel caso della Fabbrica 4.0, simbolo della quarta rivoluzione industriale, sono stati i tedeschi a coniare quella definizione, precisamente nel 2011 alla fiera di Hannover, appuntamento scelto dal governo per annunciare il programma di sostegno all’ingresso dell’alta tecnologia nell’industria.

Dal laboratorio di fabbricazione digitale della LIUC – Università Cattaneo, SmartUp, alle esperienze di aziende come BTicino e Rancilio, tutti sono d’accordo: l’Internet delle Cose non finirà di stupire. Siamo solo agli inizi. Di una rivoluzione?

Qualcun altro però dieci anni prima aveva gettato le basi per la realizzazione di quel modello spingendo il desiderio creativo dell’uomo in una direzione quasi senza limiti. Questo qualcuno risponde al nome di Neil Gershenfeld, professore del Mit di Boston, che, durante il corso “How to make (almost) anything”, cioè “Come fare (quasi) qualsiasi cosa”, invitò i suoi studenti a trasformare i bit in atomi, aprendo così la via alla produzione di oggetti intelligenti, connessi a Internet, capaci di comunicare tra loro e interagire con il contesto.
La Fabbrica 4.0 è uno sguardo aperto sul futuro, dove robot, anzi, i co-bot, ovvero i robot collaborativi, lavorano al fianco delle persone e grazie all’interpretazione e all’utilizzo coerente dei big data, cioè la massa di dati che arriva dalle piattaforme tecnologiche (smartphone, computer, Internet delle cose e social network), le imprese possono trasformare la complessità della realtà in informazioni strategiche. Non c’è più una centralità della produzione perché non sono più i prodotti a viaggiare, bensì le conoscenze. Si crea dunque dove si consuma.


“La tecnologia - spiega Luca Mari, direttore di Smartup - Laboratorio Fabbricazione Digitale della LIUC – Università Cattaneo - è solo un abilitatore. La convergenza tra materia, energia e informazione apre scenari diversi dove prodotti e sistemi di produzione saranno sempre più connessi, accessibili e individuati, quindi interoperabili, capaci di elaborare dati e dotati di una propria identità”.
Mari prova a spingere più in là il concetto di Fabbrica 4.0 e con una semplice domanda stronca sul nascere le velleità di quelli che negano la rivoluzione in atto: “In pochi anni stiamo cercando di fare quello che l’evoluzione ha realizzato biologicamente in milioni di anni?” Una suggestione notevole che sembra trovare una conferma da parte di chi l’innovazione la pratica in azienda quotidianamente. “Non abbiamo ancora visto nulla di quello che succederà - dice Ernesto Santini, responsabile dell’innovazione del gruppo BTicino-Legrand -. Nella fabbrica 4.0 il problema non è la tecnologia ma sono i linguaggi perché l’interoperabilità è possibile solo se si condivide lo stesso linguaggio”.


In un mondo sempre più interconnesso, dove la tecnologia ha costi bassissimi, la parola d’ordine è aprirsi e per farlo, secondo il manager di BTicino, occorre condividere i contenuti. Per esempio, il linguaggio open source elaborato dal gruppo francese per la domotica, viene utilizzato da una comunità di 15mila persone che realizza così applicazioni creative non previste in origine dalla casa madre.

La provocazione di Luca Mari, direttore di SmartUp: “In pochi anni stiamo cercando di fare quello che l’evoluzione ha realizzato biologicamente in milioni di anni?”

“Se parliamo di linguaggio - aggiunge Giorgio Rancilio, Past President e Ceo nell’omonimo gruppo che produce macchine da caffè - noi abbiamo scelto le icone perché è ciò che tutti portano in tasca, grazie agli smartphone e ai tablet”. Rancilio, che si definisce ironicamente “un metalmeccanico di provincia”, facendo procedere la produzione dal basso verso l’alto, ha colto al volo quello che gli economisti chiamano “cambio di paradigma”.


Il ruolo del decisore pubblico e del sistema di rappresentanza in questo processo di cambiamento sono fondamentali. “Il nostro Paese - spiega Marco De Battista, Coordinatore delle Aree Economiche dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese - non può più rinviare un disegno di sviluppo di lungo periodo e una strategia coerente di politica industriale che incorpori l’approccio industria 4.0 e che sia in grado non solo di sostenere la nostra vocazione manifatturiera, ma anche di governare le trasformazioni della società". De Battista non indica azioni generiche ma elenca fatti precisi che già sostengono il processo di cambiamento sul territorio, come SmartUp, “creattivatore” di conoscenza digitale della LIUC e, all’interno della stessa, il Lean Club e lo ìEC (Institute for Entrepreneurship and Competitiveness). Tutti centri di ricerca sorti a Castellanza per trasferire informazioni e formazione alle imprese. E ancora, le missioni imprenditoriali organizzate da Univa nella Silicon Valley, il format “Le frontiere dell’innovazione”, per presentare i risultati di alcuni progetti di ricerca a livello europeo con il coinvolgimento delle imprese locali, e la collaborazione con Afil, il cluster lombardo della fabbrica intelligente.
Nella Fabbrica 4.0 cambia l’organizzazione del lavoro e il ruolo della rappresentanza e si afferma un nuovo modello partecipativo che riduce la distanza collaborativa tra i vari livelli rappresentati da manager, ingegneri e operai, impegnati tutti insieme nel processo innovativo e nella creazione di valore aggiunto. Sono loro, come direbbe Luciano Pero del Politecnico di Milano, i veri protagonisti di una nuova e grande stagione per l’umanità.

Ma la Fabbrica 4.0 sta cambiando anche il mondo delle Università. A questo proposito ecco un'intervista video al Rettore della LIUC - Università Cattaneo, Federico Visconti:

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