In questa fase storica ci sono tre transizioni epocali in atto nelle nostre imprese. La transizione digitale, quella ecologica e quella sociale. Un riposizionamento del sistema produttivo su diversi fronti di impegno che darà vita ad un sistema economico diverso. Più tecnologico, non solo in ottica di industria 4.0, ma anche nell’impiego dell’Intelligenza Artificiale in vari ambiti aziendali: produttivo, di servizio e organizzativo interno. Più ecologico e ambientalmente più sostenibile. E in cui l’impresa giocherà un ruolo sempre più cruciale nelle comunità di riferimento e nella società, anche a livello di iniziative non solo benefiche, ma anche culturali, sportive, artistiche, formative. Uso il futuro perché il risultato finale del quadro in composizione è ancora tutto da disegnare. Ma il fenomeno è già in corso. Varesefocus, in questo scenario, si è da tempo dato il compito di raccontare questa onda lunga di un cambiamento fatto di dati statistici, certo, ma anche di numerose storie che è giusto far emergere per comprendere il contesto che ci circonda e in cui l’industria riveste da sempre, soprattutto nella nostra provincia, un ruolo fondamentale di sviluppo. In ogni senso. È quello che facciamo anche con questo nuovo numero. Nelle pagine di economia, ad esempio, potrete leggere un’interessante analisi del giornalista Antonio Calabrò, Direttore di Fondazione Pirelli e anche componente del Cda della LIUC – Università Cattaneo. La sua è un’attenta interpretazione del posizionamento dell’impresa italiana proprio sul fronte delle transizioni in atto e sul ruolo che territori di provincia fortemente manifatturieri, come Varese, stanno e possono giocare in quello che il sociologo Aldo Bonomi ha ribattezzato il “capitalismo delle reti” o, se preferite, “la metamorfosi delle città medie”. Ne emerge una fotografia che va controcorrente rispetto ad uno strisciante pessimismo sul peso che il made in Italy ha sulle dinamiche internazionali. Ma a stupirsi può essere solo chi poco conosce il nostro sistema manifatturiero. Chi, invece, come Calabrò, ne rappresenta un accorto interprete sa bene, quanto quella italiana rappresenti una “cartina economica di intrecci imprenditoriali, culturali e sociali che hanno retto bene le crisi contemporanee e che stanno rispondendo alle sfide poste dalla cosiddetta “Twin Transition”.
Detta in altri termini, oggi più che mai l’impresa italiana, e con lei quella varesina, emergono come cerniere tra il possibile e la realtà, tra i sogni di sostenibilità e la loro realizzazione, tra la scoperta tecnologica e la sua reale applicazione nei prodotti e nei servizi. Non c’è sviluppo senza imprese. Un esempio concreto che forniamo, sempre in questo numero, è nel focus di apertura dedicato al tema dell’idrogeno verde, quale nuovo vettore energetico da applicare nei processi produttivi, così come nel sistema dei trasporti, compresi quelli aerei, in ottica di decarbonizzare la nostra economia. Anche qui la sfida può essere vinta solo se l’impresa saprà essere cerniera tra progetti e sostanziale applicazione degli stessi nella quotidianità. È questione di industrializzare processi, di creare una filiera produttiva (anche locale), di far evolvere una domanda di mercato. Senza impresa tutto questo sarà impossibile. Non è solo un fatto di risorse a disposizione e di capacità tecnologiche. L’impresa, nella costruzione di un mondo più sostenibile, ha anche il compito e la naturale predisposizione di garantire che il cambiamento avvenga nell’ambito di una giustizia sociale, le cui basi stanno prima di tutto nella creazione di valore e benessere e, poi, nella loro distribuzione nella comunità. Ciò si chiama progresso.
Tutto, però, rischia oggi di essere messo in discussione da un equilibrio internazionale sempre più incerto, uno scenario geopolitico meno pacifico, relazioni tra Stati prive di chiavi di lettura precostituite a cui aggrapparci e che rischiano di riportarci indietro nel tempo. Ma in questo salto nel buio, il ruolo di cerniera tra auspicabile e reale, tra guerra e pace, è di un solo e unico elemento in grado di fare la differenza: l’uomo.