Nelle parole di Mauro Magatti, professore ordinario di sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano, sociologo ed economista, ci sono tutte quelle sfumature che dicono del possibile. Se c’è una cosa che per ognuno di noi è fin troppo evidente con questa pandemia, è che indietro non si torna. E allora le strade che si aprono sono tutte da scoprire o meglio da costruire, nei rapporti umani come nell’economia, nella geopolitica come nell’informazione. Si può fare l’esercizio di declinare alcune parole, dentro e fuori l’emergenza o, come dice Magatti, sul crinale dove oggi ci troviamo.

Parole sul crinale

Vulnerabilità, ad esempio: “Per quanto la nostra società sia avanzata, resta vulnerabile: vulnerabili sono le persone anziane, in un mondo dove l’età media si è alzata molto e dove chiaramente abbiamo una fetta di popolazione con molte patologie. Ma il virus è stato in grado di inceppare il sistema in cui vivevamo, senza che noi fossimo pronti o capaci di reagire, quindi vulnerabili”. Un sistema, quello che si è inceppato, fatto di una grandissima interdipendenza, un’altra parola che ha una connotazione ambivalente poiché si esplica nel bene come nel male. “Anche in questo ambito non sappiamo cosa succederà. Per una lunga fase possiamo immaginare che le relazioni saranno più chiuse, non sarà possibile tornare subito alle abitudini di prima. Molto dipenderà anche dalla scoperta di un vaccino, ma la chiusura non sarà solo quella delle relazioni di tutti i giorni. Ce lo dice già ora la geopolitica: questa pandemia mette la parola fine ad un modello di globalizzazione che abbiamo conosciuto fino a ieri e spinge in una direzione di chiusura, anche sul piano dei rapporti tra i Paesi”. Anche la parola libertà è tra quelle che sono state messe a nudo da questa pandemia, poiché ciascuno si è sentito “meno libero” nella sua possibilità di muoversi. A poco a poco abbiamo chiuso le porte, siamo scesi da treni ed aerei che solo una manciata di mesi fa rappresentavano una via di fuga, una modalità di lavoro, una espressione del desiderio di conoscere. “Libertà è una parola che induce a molti equivoci”, così riprende Magatti, autore tra l’altro di “Non avere paura di cadere” (Mondadori 2019), sottotitolo “La libertà al tempo dell’insicurezza”. “Pensiamo a Nelson Mandela, un uomo che è stato in carcere per anni senza mai perdere la sua libertà. Libertà non è fare ciò che si vuole, ma significa fare scelte con responsabilità. La nostra libertà si pone in relazione con gli altri e lo stare a casa significa esattamente questo: stando a casa ci stiamo assumendo la responsabilità del bene di altri. Non una libertà che soddisfa un nostro desiderio, ma una libertà che crea legami”. E anche i legami sono messi alla prova in questo momento, che ha fatto emergere tanto gli slanci di solidarietà, altruismo ed empatia, quanto la voglia di trovare un responsabile, un untore da additare come causa del dilagare della pandemia. “Possiamo dire che siamo in un momento di crisi, intesa nel significato etimologico, che è quello di stare su di un crinale: non torneremo come prima, ma potremo diventare migliori se sarà fatto un balzo in avanti, oppure peggiori se si sceglierà un atteggiamento di chiusura e radicalizzazione”.  

Un nuovo capitolo per l'economia

C’è poi un capitolo che per Magatti non può non essere affrontato ed è quello dell’economia che, dopo la crisi del 2008, attraversa un periodo di cambiamento che riguarda anche società e politica. “L’economia non ripartirà solo perché ci metteremo a correre, non basterà questo. Occorreranno risorse da allocare in modo sensato, avendo in mente un disegno e sapendo dove vogliamo andare e quali sono gli obiettivi dello sviluppo futuro”. Possiamo pensare che i modelli che abbiamo conosciuto fino ad ora hanno risposto a due prerogative: c’è l’economia del bisogno, quella che risponde appunto ad un bisogno di approvvigionamento dell’uomo. Poi abbiamo l’economia del desiderio, dove la spinta è differente e dettata appunto dal soddisfacimento di qualcosa di diverso dal mero bisogno, più legato invece alla sfera dei nostri desideri. “Ora i tempi ci dicono che si pone un cambio del paradigma economico, verso il modello della generatività sociale, dove ognuno è chiamato a generare bene comune”. Il riferimento è all’idea di una modalità di produrre beni, servizi, cultura, informazione, indossando occhiali nuovi che ci mostrino la cura degli altri come motore dell’azione. Qui dentro stanno i temi della sostenibilità, dell’ambiente, della circolarità dell’economia ovvero tutto ciò che chiama ad una visione ampia di benessere comune. “Ciascuno non è più solo consumatore, ma partecipa a produrre un valore che è comune e per tutti”. Ancora una volta nessuno si salverà da solo: in questo momento del “possibile”, stanno dentro scelte e responsabilità che ci permetteranno di arrivare a definire nuove regole e a pronunciare le stesse parole di prima, ma dando ad esse un significato nuovo.

 

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