La sostenuta ripresa della manifattura del 2021 si è accompagnata ad un forte rincaro di tutte le materie prime e tra queste di benzina e gasolio, del gas e dell’energia elettrica. Guardando all’energia che dimensione hanno i maggiori costi legati a questi rincari? Non c’è dubbio che siamo in presenza della più grave crisi energetica che l’Europa si sia trovata ad affrontare, dopo il primo shock petrolifero del 1973. Per l’Italia abbiamo un inasprimento della bolletta energetica stimabile sui 25 miliardi di euro per il 2021 e grosso modo dello stesso importo anche per il 2022, un aggravio non indifferente sia per le imprese, sia per le famiglie.

Come si è sviluppata questa impennata dei prezzi? Ripercorriamo brevemente i passaggi salienti di questa tempesta perfetta o, se preferite, di questo tsunami. Con il graduale superamento della pandemia e la ripresa dei consumi energetici, a partire da gennaio i prezzi delle diverse commodity incominciano a lievitare. Ai primi del 2021 il Brent è sui 50 dollari al barile, il gas sul TTF (l’hub europeo di riferimento) quota 19 euro a MWh ed il PUN (Prezzo Unico Nazionale) è a 60 euro a MWh. Inizialmente a salire è soprattutto il greggio, che ai primi di giugno segna un +40% su gennaio e tocca i 70 dollari al barile e su questo livello le quotazioni si stabilizzano, dopo una puntata sui 75 dollari, sino a fine settembre, per poi salire nuovamente in ottobre sopra gli 80 dollari. Tenendo conto della ripresa della domanda, soprattutto nel Far East asiatico, sono aumenti comprensibili e da tempo si considerano i 70 dollari al
barile come il prezzo “ragionevole” dell’oil, adeguato a garantire nuovi investimenti di ricerca. Il gas accompagna la curva ascendente del greggio a qualche distanza ed in un primo tempo con aumenti relativamente limitati: i 19 euro a MWh di gennaio diventano 25 a inizio giugno e l’energia all’ingrosso (il PUN per intenderci) sale da 60 a 73 euro a MWh, un aumento percentualmente rilevante, ma non sconvolgente. Da giugno in poi le cose cambiano. Il greggio ha terminato la sua corsa ed inizia quella del gas che a fine luglio raddoppia le quotazioni di gennaio, con 40 euro a MWh, che salgono a 50 in un mese dopo e con un exploit eccezionale di settembre arrivano al 6 ottobre a 114 euro a MWh, quasi 6 volte il prezzo di inizio anno. L’energia elettrica ovviamente ha seguito il corso del gas, con una aggravante, data dal contemporaneo aumento del costo dei diritti di emissione, gli EU ETS, che nel corso del 2021 è venuto a raddoppiare passando dai 30 euro a tonnellata di gennaio ai 60 attuali, un risultato voluto per stimolare le politiche di decarbonizzazione, ma raggiunto nel momento meno opportuno. Il PUN ha così superato i 100 euro a MWh a fine giugno e con agosto è arrivato sui 140 euro per poi letteralmente esplodere a fine settembre, sfondando la barriera dei 200 euro per raggiungere con il 7 ottobre i 307 euro.

Le domande che ruotano intorno alla spirale dei prezzi nelle forniture di energia elettrica e gas sono molte. Una su tutte, però, domina il dibattito e non fa dormire sonni tranquilli a imprese, famiglie ed istituzioni: chi c’è dietro questi rincari da record storico? E siccome a giustificare una tale impennata non è lo squilibrio tra domanda e offerta, il dubbio è che dietro il sipario delle quotazioni delle materie prime si stiano muovendo meccanismi più geopolitici che economici. Ed ecco che lo sguardo va verso la Russia

Questa fiammata non ha investito in particolare il mercato italiano: in contemporanea sulla borsa tedesca il base load è stato di 303 euro a MWh e su quella francese di 298 euro. Anche dopo la correzione intervenuta con
l’annuncio di più consistenti forniture da parte di Gazprom (un 8% in più attraverso il gasdotto via Ucraina), le quotazioni del gas rimangono a livelli a dir poco anomali e mantengono quindi altrettanto elevati i valori dell’energia elettrica. Il prezzo medio del base load nella seconda settimana di ottobre è stato così di 200 euro/MWh in Francia, di 188 euro/MWh in Germania e di 221 euro/MWh in Italia. A conferma di una situazione a dir poco eccezionale, il mese di ottobre si è chiuso con il gas sul TTF a 89,44 euro/MWh ed il PUN a 217,63 euro/MWh. Ma quali sono le ragioni di fondo di questa spirale di rincari? Difficile
rispondere a questa domanda e dobbiamo confessare che ad oggi nessuno ha ancora fornito una spiegazione convincente e soprattutto basata su elementi certi dell’improvviso esplodere di questa crisi. Pura vicenda congiunturale o espressione di distorsioni strutturali? Fallimento del mercato o manovra politica? Prodotto della speculazione finanziaria o espressione di squilibri geopolitici? Uno degli aspetti più inquietanti della turbolenza che sta scuotendo i mercati è proprio la mancanza di una solida risposta sulle radici della crisi. Sul rincaro generali delle commodity, dall’acciaio al grano, ha pesato certamente, ma non più di tanto, la ripresa dopo il lockdown, in specie il rilancio dell’economia cinese, anche, nel nostro caso per l’integrazione dei mercati del gas liquefatto, che un tempo erano rigidamente segmentati in aree separate e che oggi sono cresciuti di dimensione ed esprimono un prezzo comune. Sempre guardando alla domanda c’è stato certamente un aumento dei consumi nell’Europa continentale, anche perché l’inverno del 2021 è stato particolarmente rigido ed ha ridotto le scorte, ma se ovviamente siamo sopra ai livelli del 2020, quando i consumi energetici sono scesi a seconda dei paesi tra il 5 ed il10%, ci stiamo pur sempre appena avvicinando ai ben più alti livelli del 2019. In buona sostanza è difficile attribuire lo squilibrio tra domanda ed offerta ad una crescita abnorme dei consumi. Dobbiamo allora guardare all’altro piatto della bilancia, quello dell’offerta e lo sguardo va subito verso Mosca ed a San Pietroburgo (la nuova
sede di Gazprom), perché è fuori discussione che si siano ridotti i flussi di esportazione dalla Russia verso l’Europa Continentale (parzialmente compensati da maggiori forniture verso i Balcani e l’Europa Centrale).

L’interrogativo di fondo a questo punto riguarda le ragioni per cui Gazprom ha ridotto le sue esportazioni. Problemi di produzione nella penisola di Yamal o invece criticità nella rete di gasdotti, come sostengono altri? Spericolata scelta commerciale o mossa politica per contrattare maggiori forniture con riduzioni delle sanzioni occidentali? Volontà di dimostrare quanto fosse necessario il Nord Stream 2, il nuovo gasdotto sottomarino nel Baltico tanto osteggiato dagli USA, come da molti paesi europei (non ultima l’Italia)? Tutto conduce ad una domanda che un po’ tutti si stanno oggi ponendo: non si poteva prevedere per tempo il precipitare di questa tempesta? In qualche misura dall’inizio dell’anno si riteneva che vi sarebbe stata una lievitazione dei prezzi, ma non certamente in questa misura. Basti dire che ancora alla fine di marzo, quindi non molti mesi fa, i forward (che non sono previsioni, ma contratti chiusi) per il 2021 davano il PUN - allora a 60 euro/MWh - a non più di 64 euro/MWh, mentre oggi si stima una media annua di 113 euro/MWh. Così il base load tedesco per il 2021 era dato a 54 euro/MWh, mentre ora si avvia a chiudere l’anno a 88 euro/MWh. I mercati insomma sono stati presi di sorpresa, in specie dalle fiammate di settembre ed ottobre e questo ha spiazzato non solo i clienti, ma non meno gli operatori, in specie quelli meno solidi sotto il profilo finanziario, alle prese con una parallela esplosione del circolante, per i più elevati costi delle coperture, come delle garanzie verso fornitori, Terna e distributori. Fin quando non saremo in grado di rispondere alle tante domande che ruotano intorno a questa spirale dei prezzi ci sarà difficile disegnare una strategia adeguata a gestire la crisi ed infatti le proposte che vengono in questi giorni da Bruxelles sono estremamente deboli sul piano strutturale. Come dicevamo la chiave per decifrare questo intreccio di problemi e di ipotesi si trova tra Mosca e San Pietroburgo, ma per venirne a capo non servono tanto analisi di politica energetica, quanto iniziative di politica estera, ma proprio la politica estera purtroppo è il tallone d’Achille dell’Unione Europea.

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