I rincari energetici stanno mettendo in ginocchio le società che riforniscono imprese e singoli cittadini di energia elettrica e gas metano. È l’altra faccia della medaglia della crisi delle materie prime. Quella che non vede ancora nessuno, se non gli operatori di settore, ma che sta mettendo a rischio la tenuta dei rivenditori di energia, soprattutto quelli di media e piccola dimensione, e di migliaia di posti di lavoro. Chi, infatti, pensa che l’aumento dei costi stia facendo sfregare le mani a chi l’energia la commercia e la vende all’utente finale si deve ricredere. “Se qualcuno ci sta guadagnando non siamo sicuramente noi”, spiega Diego Pellegrino portavoce di Arte – Associazione Reseller e Trader di Energia che rappresenta 110 operatori che danno lavoro a 4mila addetti, per un fatturato aggregato di 4 miliardi di euro e 1 milione di contatori riforniti. “Certo le nostre imprese stanno fatturando di più, ma l’aumento dei prezzi della borsa per noi è asettico. Il margine è sempre quello, anzi in termini percentuali la nostra marginalità sta diminuendo, in compenso stanno esplodendo gli oneri finanziari. È questo che ci sta mettendo in crisi e che sta portando molti operatori alla chiusura”.

In pratica se un rivenditore fatturava ad un contatore di una famiglia 60 euro al mese, con un margine di 2 euro, oggi che ne fattura 105 per via dell’esplosione dei costi del gas, il margine è sempre 2. Ma il guadagno non è lo stesso. Il problema sta nelle regole che fanno funzionare il mercato. “Soffriamo di retaggi dell’ex regime di monopolio”, accusa Pellegrino. Mercato libero, dunque, ma fino ad un certo punto. Il portavoce di Arte prende in mano una calcolatrice per spiegare bene il vortice nel quale sono finiti i rivenditori di energia: “Un’impresa nostra associata ha un fatturato medio di 15 milioni di euro e vende tra i 70 e gli 80 Gigawattora all’anno. Ciò vuol dire che acquista mediamente 5 Gigawattora al mese, ossia 161 Megawattora che ogni giorno devono essere comprati. Con un PUN (Prezzo Unico Nazionale) a 55 euro vuol dire 8.855 euro che versa oggi al Gme (Gestore dei Mercati Energetici) per l’acquisto in borsa. Più di 8mila euro, dunque, che quotidianamente un rivenditore anticipa cash o tramite fideiussione, che fatturerà, però tra un mese e che incasserà tra due”. Fin qui i conti a prezzi normali. Oggi, però, di normale, con un PUN oltre i 200 euro non c’è nulla. “Quegli 8.855 euro che il rivenditore anticipava solo qualche mese fa, oggi, se va bene, sono diventati 32.000. I suoi margini rimangono, dunque, gli stessi, ma gli oneri finanziari stanno esplodendo”. Chiedere una fideiussione per un valore assoluto superiore di 23mila ha costi ben diversi, “sempre che l’azienda trovi una banca disposta a rilasciarla”. È un problema di oneri finanziari, di accesso al credito “ma anche di liquidità”, precisa Pellegrino: “Oggi la stessa impresa tipo di cui stiamo parlando anticipa ogni mese 1 milione di euro. Chi può avere in cassa una tale cifra? Sfido chiunque a trovare un istituto bancario pronto a quadruplicare in un sol colpo il credito. Unica soluzione sarebbe dare a Gme un deposito, ma non abbiamo liquidità. Si sta creando un cortocircuito”.

È l’altra faccia della medaglia dei prezzi impazziti sui mercati. Per le realtà che riforniscono di gas ed elettricità famiglie e imprese si stanno aprendo le porte del baratro per via dell’esplosione degli oneri finanziari che devono sostenere per ottenere quelle fideiussioni necessarie per comprare l’energia da rivendere. Un vortice senza fine che sta portando ad un cortocircuito del sistema. Con rischio di chiusure di molti operatori, peraltro già in atto, di ulteriori rincari (soprattutto per le imprese) e di perdite di posti di lavoro

Da qui l’appello del portavoce di Arte al Governo: “Perché il sistema chiede a noi operatori di fare quello che è poi alla fine un vero e proprio credito al consumo? Noi non siamo una banca”. La risposta per Pellegrino è che si è di fronte a “regole contro il mercato”. L’esempio potrebbe essere dunque quello della Gran Bretagna dove “ogni contatore ha una scheda prepagata, la fatturazione va sul conto, se non paghi viene staccata la spina”. Un po’ come avviene oggi con la telefonia. “C’è poi una soluzione ponte da adottare. Questo scenario di prezzi durerà ancora 5/6 mesi secondo le previsioni. In questa fascia di tempo perché non pensare di sostenere l’accesso al credito degli operatori con un intervento di controgaranzie di Sace, come fatto nel periodo del lockdown per tutte le imprese?” Anche perché una volta pagata dal cliente la fattura il tema fideiussioni per i rivenditori, comunque, rimane. Quando avviene il pagamento, infatti, il rivenditore incassa anche  quote non spettanti a lui e che verserà in un secondo momento sia al distributore di energia (colui che gestisce il trasporto), sia all’erario (ossia le accise). Realtà, però, che nel frattempo chiedono al rivenditore il rilascio di fideiussioni, visto che maneggia i loro soldi. Ma come detto, con livelli di fatturazione come quelli attuali, gli oneri finanziari stanno esplodendo “Sembra assurdo, ma molti operatori per cercare di salvarsi devono fatturare di meno cedendo clienti ad altri”, spiega Claudio Zumerle Presidente del Cda di Neos Energy Solutions, società di consulenza per i trader di energia. Meno fatturato, meno ricorso alle banche, abbassamento degli oneri finanziari. Ma anche meno lavoro. E se nonostante questo il trader fallisce? Cosa succede all’impresa o alla famiglia cliente? “Finisce nel regime di tutela o di salvaguardia a seconda della realtà”, spiega Zumerle. La fornitura di energia viene comunque garantita, ma a costi differenti. “Le aziende con più di 50 dipendenti e più di 10 milioni di fatturato, ad esempio, finiscono in regime di salvaguardia e qui i costi sono molto più alti, anche perché è in questo bacino che finiscono le utenze dei morosi”. A perderci sono tutti. A confermare il rischio di numerose chiusure di operatori, peraltro già in atto, è anche Massimo Bello, Presidente di Aiget – Associazione Italiana Grossisti di Energia e Trader: “I primi fenomeni si sono registrati in Gran Bretagna dove i prezzi avevano raggiunto i 1.000 euro a Megawattora. Ma ora anche in Italia e Francia si assiste ad un aumento dei trader che si dicono impossibilitati a continuare la fornitura. Il peggio, però, non lo abbiamo ancora visto. La parte difficile sarà tra gennaio e aprile 2022 quando arriveranno le fatture sugli attuali costi di fornitura e con l’inevitabile incremento degli insoluti”. Per Massimo Bello le cose potrebbero migliorare in primavera: “Le previsioni ci dicono che dopo marzo i costi potrebbero tornare sui 100 euro a Megawattora. Sempre tanto rispetto ai livelli di inizio di quest’anno ma comunque al di sotto degli attuali punti stratosferici sopra i 250 euro. Paghiamo i ritardi nella realizzazione del nostro gasdotto e di relazioni internazionali tese tra Ue e Russia. La normalizzazione delle quotazioni passa da qui”.

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