Tra 4 anni o poco più l’Italia potrebbe tornare sulla Luna, come parte del programma americano Artemis che ha come scopo abitare il satellite terrestre, per arrivare poi in futuro fino al Pianeta Rosso. Tra dichiarazioni
d’intenti, partnership riconfermate e progetti tecnologici, ecco come il genius italico si prepara a compiere l’impresa

Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”. Questa la storica frase pronunciata dall’astronauta Neil Armstrong, il primo uomo sulla Luna, il 20 luglio 1969. Potrebbe sembrare scontato come attacco per un articolo in cui si indagano le nuove frontiere spaziali e i percorsi che il comparto aerospaziale lombardo sta battendo per tornare là, dove tutto ha avuto inizio. Eppure, da qualche parte bisogna pur cominciare. E se da quel luglio di oltre 50 anni fa di passi da gigante ne sono stati compiuti molti, l’avventura che attende gli ingegneri e gli astronauti nostrani non è certo da meno. Ma partiamo con ordine.

Perché si torna a parlare dell’uomo sulla Luna e perché proprio ora? Il tutto ha avuto inizio con la firma di un Joint Statement tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo spazio, Riccardo Fraccaro e l’Amministratore Delegato della NASA, Jim Bridenstine, avvenuta sul finire dello scorso anno. Questa dichiarazione d’intenti getta le basi per la partecipazione italiana al programma americano Artemis, pensato per abitare stabilmente l’unico satellite della Terra, come base da cui partire per tentare l’esplorazione del Pianeta Rosso.

L’Italia è il terzo Paese, dopo Canada e Giappone, ad aver siglato una dichiarazione congiunta di questo tipo: un primo significativo passo che, se confermato da specifici implementing agreements, definirà il contributo dello stivale italiano al programma spaziale made in Usa. “Non si tratta di una sorpresa. I legami di collaborazione tra l’Italia e la NASA sono storicamente molto saldi: è del 1962 l’accordo di cooperazione che permise il lancio dagli Stati Uniti, 2 anni più tardi, del satellite San Marco, primo oggetto italiano ad entrare in orbita. Più recente, invece, l’accordo Italia-Usa sulla fornitura dei moduli pressurizzati per lo Space Shuttle e la Stazione Spaziale Internazionale. Per questo motivo non mi sorprendono i contatti avviati tra le due realtà, specialmente nell’ottica dei percorsi intrapresi in passato” — spiega Angelo Vallerani, Presidente del Lombardia Aerospace Cluster, l’aggregatore delle eccellenze scientifiche ed industriali del settore aerospaziale della regione lombarda.

La firma di un Joint Statement tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo spazio, Riccardo Fraccaro, e l’Amministratore Delegato della Nasa, Jim Bridenstine, getta le basi per la partecipazione italiana al programma americano Artemis

Ma il genius italico, su cosa sarebbe chiamato ad esprimersi in questa missione verso la Luna? Sono 3 i focus di cooperazione individuati: moduli pressurizzati, telecomunicazioni lunari e tecnologie abilitanti. Il che comprende, in altre parole, la realizzazione delle navicelle di atterraggio, dei moduli abitativi per ospitare gli astronauti e dei servizi di comunicazione con la Terra: tutti ambiti in cui l’Italia vanta eccellenze industriali e tecnologiche, con cui è pronta a contribuire fattivamente alla buona riuscita del programma Artemis.

E le ricadute economiche previste per il Bel Paese lasciano intendere un coinvolgimento massivo delle forze aerospaziali italiche: è infatti di circa 1,2 miliardi di euro l’ammontare stimato nei primi anni del programma (fino al 2024-2025), con un’ulteriore prospettiva di aumento considerata la durata preventivata della missione nel suo complesso (comprendendo quindi le future esplorazioni di Marte). “Anche se il beneficiario principale di Artemis, in termini di commesse, sarà Thales Alenia Space Italia — precisa di nuovo Vallerani —, è facile prevedere il peso che avrà l’indotto generato in un Paese come il nostro che sul proprio territorio ha la filiera completa dell’industria spaziale, composta anche da centinaia di pmi che lavorano nel campo. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano siglato una dichiarazione d’intenti proprio con l’Italia, ricordiamolo unico Paese europeo ad aver confermato l’intesa spaziale con gli States dopo Giappone, Australia e Canada, dà la misura del riconoscimento delle competenze delle imprese italiane nei confronti degli americani”.

A dare lustro alle skill aerospaziali italiane, tra le molte imprese, sarà anche OHB Italia, una filiale del gruppo aerospaziale e tecnologico di Bremen OHB SE, operante nel comparto dei satelliti e dei payloads scientifici. Come spiega ancora Angelo Vallerani, che in OHB Italia ricopre il ruolo di Head of Business Development. “Nell’ambito delle attività legate alla cosiddetta In- Situ Resource Utilization (ISRU), ovvero quella serie di tecnologie e applicazioni che permettono lo sfruttamento delle risorse disponibili in loco, in questo caso sulla Luna, OHB Italia è impegnata da diversi anni nello sviluppo di molteplici progetti in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea. È stata infatti capofila in uno studio, che ha coinvolto tra gli altri anche il Politecnico di Milano, sulla fattibilità di una missione dimostrativa sulla Luna con lo scopo di verificare le tecnologie ed i processi di estrazione di ossigeno ed acqua dalla polvere lunare (regolite)”.

Tra i progetti di OHB Italia c’è, inoltre, quello di realizzare un impianto di dimostrazione di terra per uno dei processi chimici candidati (chiamato “carbotermico”), che ne verificherà l’efficacia. L’impresa con sede a Milano è anche impegnata come coordinatrice di un piano per la creazione di una valvola adatta alle applicazioni ISRU, in grado di funzionare nelle condizioni di lavoro estremamente sfavorevoli in cui questi processi avvengono. “Per poter separare l’ossigeno dai metalli sono necessarie temperature elevatissime, anche superiori ai 1.000 gradi e ambienti saturi di gas o vapori di diverse specie chimiche. Inoltre, la presenza di polvere di regolite rende questo tipo di meccanismi, che devono garantire tenute a gas per lungo tempo, estremamente difficili da realizzare, poiché soggetti a facile usura meccanica” — conclude Vallerani.

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