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Da una parte lo sviluppo dell’industria sulla scia delle trasformazioni ambientale, digitale e sociale che posizionano il made in Italy nel mondo come capofiliera di sofisticate catene di valore. Dall’altra le province manifatturiere che in questo scacchiere geoeconomico in ricomposizione giocano un ruolo da protagoniste e alla ricerca di nuovi rapporti con le aree metropolitane. Breve guida pratica per interpretare il nuovo “capitalismo delle reti”. In cui anche realtà come Varese possono dire la loro  

‘‘Si sta/ come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”, scriveva Giuseppe Ungaretti. Stagione di passaggio, appunto, l’autunno. Tempo di incertezze. Anche per l’economia italiana, soprattutto quest’anno. La crescita rallenta, più del previsto, anche se nessuno si aspetta che si vada in recessione. La Germania, nostro principale partner commerciale, è ferma, con effetti su parecchie supply chain. La Cina, tradizionale motore economico internazionale, arranca. L’inflazione resta alta e i tassi potrebbero ancora continuare a salire, per i timori di Fed e Bce. Il quadro geopolitico generale segnala squilibri e conflitti drammatici. E la più generale twin transition, ambientale e digitale, sta sottoponendo a vere e proprie turbolente riorganizzazioni tutti i cicli di produzione, distribuzione e consumo. L’età delle incertezze, si sa, non fa bene all’economia, almeno nel breve periodo. E per quanto positiva sia, in generale, la stagione del cambiamento, nell’immediato ne paghiamo i costi, economici e sociali, cercando comunque di costruire tempi migliori. 

Ma come stanno le cose, in prospettiva? Staccando lo sguardo dalla contingenza e provando a ragionare sui dati di fondo, vale la pena ricordare che, al di là della congiuntura tutt’altro che brillante, l’economia italiana, trainata dal settore industriale, nel corso della lunga stagione successiva alla grande crisi finanziaria del 2008, ha costruito solide basi di sviluppo. Su cui ha fatto leva per la ripresa post-Covid e su cui continuare a insistere anche adesso, per intravedere la via d’uscita dal rallentamento e fare scelte d’investimento e di crescita lungimiranti. Che basi? Un radicale rinnovamento tecnologico, sia per i prodotti che per i meccanismi di produzione, grazie a robusti investimenti stimolati da ben costruiti stimoli fiscali. Una maggiore attenzione alla qualità. Uno sguardo ampio verso i mercati internazionali, soprattutto nelle nicchie a maggior valore aggiunto. Un’originale capacità di definire nuovi processi capaci di tenere insieme manifattura, servizi e ricerca high tech, nel “cambio di paradigma” digitale dell’impresa data driven. E una responsabile attenzione alla sostenibilità, sia ambientale che sociale, considerata non come un semplice elemento di comunicazione e di marketing, un furbo green washing, ma come un vero e proprio asset di competitività, come una caratteristica essenziale che connoti il miglior made in Italy (le analisi di Symbola e la presenza di parecchie imprese italiane ai vertici degli indici internazionali di sostenibilità ne sono ben documentata conferma).

La parte tecnologicamente più avanzata dell’impresa italiana ha vissuto con profonda convinzione questa svolta (su cui anche il cambio generazionale ha avuto un peso rilevante). È cresciuta. Ha fatto da capofiliera di sofisticate catene del valore internazionali e oggi può giocare con successo la partita del re-shoring, del ritorno a produrre in Europa come grande piattaforma manifatturiera di qualità. Ha intessuto migliori relazioni con le Università, per usare bene le leve della “economia della conoscenza” e dell’impiego degli strumenti offerti dall’Intelligenza Artificiale. E adesso può rilanciare il ruolo di motore di sviluppo di lungo periodo, in una serie di settori produttivi d’eccellenza: meccanica e meccatronica, chimica e farmaceutica, life sciences e industria agroalimentare, automotive e gomma, aerospazio e cantieristica, sistemi di trasporto ed edilizia, arredamento e tessile-abbigliamento.

L’impresa italiana ha avuto la capacità di tessere relazioni con le Università, per usare bene le leve della “economia della conoscenza” e dell’impiego degli strumenti offerti dall’Intelligenza Artificiale

Sono questi i punti di forza essenziali, in una rete integrata di relazioni. Sono le garanzie che, al di là dei momenti congiunturali di difficoltà, l’impresa italiana ha un futuro e può continuare a determinare la crescita del Paese. Ma l’impresa, naturalmente, non può fare tutto da sola. Servono scelte politiche, atti di governo, a livello nazionale ed europeo. Politiche industriali di respiro, ben diverse dalle tentazioni stataliste e protezioniste. Politiche fiscali mirate all’innovazione e non certo al premio di corporazioni elettoralmente influenti. Politica per la sicurezza, legata all’energia e alle forniture di materie prime strategiche. Un percorso ben definito per la conoscenza e la formazione di lungo periodo. E quelle riforme (pubblica amministrazione, giustizia, scuola, mercato del lavoro) di cui si parla da tempo, ma senza effetti concreti. Il Pnrr è stato individuato come strumento, politico sia per gli investimenti sia per le infrastrutture e le riforme. Non usarlo a pieno sarebbe un grave errore. L’Europa resta il nostro essenziale punto di riferimento. In sintesi: per poter ragionare con senso di responsabilità sul futuro dell’economia italiana (e dunque su quello delle nuove generazioni), vale la pena tenere a mente la sintesi fatta da Il Sole 24 Ore (il 31 agosto) per una lunga inchiesta sulle imprese innovative: “Il genio italiano esiste. Ma senza ricerca, manager e struttura finanziaria è destinato a fare poca strada”.

C’è un territorio, in particolare, cui fare riferimento, nella necessaria riscrittura delle nuove mappe geoeconomiche, guardando, per esempio, alle integrazioni in corso tra sistemi produttivi, nel senso ampio del termine. È la mega-regione A1-A4 che prende idealmente nome dalle autostrade che la attraversano e che va dal Nord Ovest di Piemonte e Liguria al Nord Est, includendo Milano, la Lombardia e l’Emilia-Romagna della media impresa “multinazionale tascabile”, le fitte reti delle filiere produttive dell’industria con solidi legami europei e internazionali, ma anche quelle delle attività finanziarie, delle Università e dei centri di ricerca e formazione, della logistica e di una complessa serie di servizi high tech. È una mappa economica di intrecci imprenditoriali, culturali e sociali, che hanno retto bene le crisi contemporanee, hanno reagito e rispondono anche alle sfide poste dalla cosiddetta twin transition, ambientale e digitale, dando così un contributo essenziale alla crescita del Pil dell’Italia, la migliore nella Ue, dal ‘22 a oggi. Un intreccio, ancora, in cui sottolineare le relazioni tra grandi e prestigiose Università metropolitane (gli atenei e i Politecnici di Torino e Milano) e Università ricche di competenze formative e di ricerca diffuse nella dinamica provincia, come l’ateneo di Bologna, la LIUC a Castellanza e la Muner (Motorvehicle University of Emilia-Romagna), per fare solo alcuni di tanti esempi possibili. O i rapporti sociali e culturali, tra solidarietà e competitività, di cui le Fondazioni di origine bancaria, in relazione con le strutture e le associazioni del Terzo Settore, sono protagoniste di grande importanza.   

Qual è la caratteristica di questa mappa? Mostrare la tenuta dei rapporti tra le aree metropolitane, le città medie e le province produttive (Varese ne è ottima testimonianza), segnando anche quella che Aldo Bonomi, sociologo attento alle evoluzioni urbane, chiama “la metamorfosi della città medie”, tra “neo-municipalismo” e “capitalismo delle reti” e agevolando le tendenze di una crescita industriale che nel tempo rapido dalle nuove ragioni della competitività internazionale, conquista spazi e credibilità nel mondo. Quella di cui stiamo parlando, insomma, è la mappa di una condizione originale in Europa. E analizzarla attentamente può aiutare i decisori politici, nazionali e locali, nel definire e attuare scelte chiare e lungimiranti, nell’interesse del sistema Paese e delle nuove generazioni. Per scrivere una migliore “storia al futuro”.  
 



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