Il codice delle ATtività ECOnomiche è diventato famoso durante il lockdown nelle settimane dei Dpcm che regolavano aperture e chiusure dei settori e delle imprese. Ma è ancora in grado di essere uno strumento capace di descrivere e interpretare l’industria e le catene di fornitura internazionali?

Ateco, una parola che tutti abbiamo imparato a conoscere in questi mesi di lockdown. Quando, nel giro di poche ore, questi codici sono diventati la chiave con cui spegnere o tenere aperte le attività produttive di questo Paese. Si è allora improvvisamente accesa la curiosità di tutti coloro che nell’emergenza si sono trovati a fare i conti con altrettanti problemi applicativi. Primo problema: considerata l’emergenza si sono utilizzati in chiave di “politica industriale” latu sensu dei codici alfanumerici, sviluppati per tutt’altri scopi. Gli Ateco nascono infatti per riclassificare le ATtività ECOnomiche, quindi più con una logica statistico – amministrativa. L’uso che ne è stato fatto in tempi di virus presenta quindi un primo tipo di problema: l’adeguatezza allo scopo. Secondo problema: i codici amministrativi sono nati per ragionare su un’unica dimensione della produzione: quella del prodotto. Descrivono molto analiticamente cosa faccio, ma non sono strutturati per capire come lo faccio, con chi lo faccio. 
Manca insomma la dimensione della filiera. 

Si bypassa totalmente la questione dei rapporti tra le imprese. Non si coglie la concatenazione delle stesse. È troppo cambiato nel tempo il modello di produzione per poter pensare di raggiungere l’effetto di chiusure selettive guardando solo al singolo prodotto. L’impresa verticalizzata che fa tutto al proprio interno è una realtà ormai rarissima da trovare, tanto più in Italia dove il modello produttivo di distretto è così radicato e diffuso e le Pmi costituiscono oltre il 90% del sistema produttivo. Il modello vigente è un modello basato sulla specializzazione e sulla collaborazione: le supply chain oggi sono troppo articolate ed interconnesse per poter intervenire con chiusure selettive senza compromettere il risultato finale. Inoltre, le catene del valore negli ultimi anni si sono allungate all’infinito internazionalizzandosi. E nei mesi scorsi se ne è avuta la prova provata. Poteva capitare, ed è capitato, che bloccando la produzione di una piccola impresa iperspecializzata che realizza stampi per particolari plastici, nascosta nelle valli del luinese, si rischiasse di bloccare la produzione di multinazionali dell’elettrodomestico in Polonia e Turchia. Potenza dell’interconnessione.

Primo problema: considerata l’emergenza si sono utilizzati in chiave di “politica industriale” latu sensu dei codici alfanumerici, sviluppati per tutt’altri scopi. Gli Ateco nascono infatti per riclassificare le ATtività ECOnomiche, quindi più con una logica statistico – amministrativa 

Una criticità che è emersa in maniera evidente quando, complice l’emergenza sanitaria eccezionale e pandemica, si è dovuto scegliere chi poteva continuare a produrre e chi invece doveva chiudere. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 22 marzo ed i successivi hanno utilizzato ampiamente lo strumento dei codici Ateco, ragionando prevalentemente per chiusure verticali ed improvvise, ma hanno anche dovuto inserire dei correttivi per tener conto di un’organizzazione della produzione operante in filiere complesse e correlate. Sono state così previste delle deroghe, da comunicare alla Prefettura, per assicurare che le produzioni giudicate strategiche potessero essere portare a termine. Ne è uscita una mappa reale delle relazioni di filiera che potrebbe raccontare molto agli economisti. L’esperienza di questi mesi che ha visto operare chiusure sulla base di codici Ateco ha insegnato, dolorosamente, qualcosa. Che la codificazione rigida non sempre vale per agire sulla realtà e che i codici Ateco vanno mantenuti ed utilizzati per quello che possono dare e per cui sono nati.  

Facciamone tesoro ed attrezziamoci diversamente per il futuro: naturalmente con l’augurio di non doverne più fare uso per ipotizzare chiusure di intere attività economiche a causa di una pandemia e per contrastare un nemico invisibile che, oltre ad aver causato drammi, lutti, dolori, ora mette a repentaglio la tenuta economico-sociale di interi territori e Paesi. In conclusione, un piccolo dubbio che contiene un suggerimento di metodo. Scegliere lo strumento giusto per ottenere il risultato può metterci al riparo da tanti danni secondari. Se il problema era evitare gli assembramenti e mantenere il distanziamento tra le persone nei luoghi di lavoro, non sarebbe stato più razionale, almeno per il settore industriale, ragionare sul tipo di layout produttivo (cioè su parametri di distanziamento fisico tra le macchine e gli operatori) piuttosto che categorie Ateco? A volte la scelta dello strumento può fare la differenza. 



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