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Gelata sulla ripresa Per uscire dallo stallo dell'economia la strada da seguire non può essere quella di alimentare la spirale salari-prezzi, né quella di interrompere il risanamento della finanza pubblica. Negli USA Greenspan ha ulteriormente tagliato il tasso di sconto. In Europa il suo collega Duisenberg non lo ha seguito, evidentemente per il solito spauracchio dell'inflazione. La diversità della scelta - pur tenendo conto delle differenze esistenti tra le due banche centrali sul piano istituzionale e, quindi, dei rispettivi obiettivi - non è una novità, ma quella compiuta dal governatore della BCE rende purtroppo ancora una volta evidente il paradosso che sta vivendo l'economia del nostro continente, preso nella morsa, da un lato, della crisi economica e, dall'altro, del timore che una politica espansiva possa provocare danni maggiori di quelli causati dalla recessione. E' evidentemente il segnale che qualcosa non funziona nella dinamica del libero mercato europeo, che ci sono fattori tali per cui, come in un organismo malato, l'assunzione di una medicina abbia l'effetto di scatenare effetti collaterali all'ennesima potenza. Ci sarebbe molto da riflettere sulle ragioni di questo paradosso e sul perché l'Europa non riesca ad uscire da sola dalla fase recessiva e sembri destinata ad essere sempre al traino della locomotiva americana. L'interdipendenza legata alla mondializzazione delle economie è una ragione importante, ma di sicuro influiscono anche elementi di carattere interno come gli alti costi che gravano sulle imprese e la riduzione della capacità di spesa dei consumatori dovuta alla forte pressione fiscale. Fattori entrambi dipendenti dalla necessità di sostenere finanziariamente una spesa pubblica generalmente al di sopra delle possibilità. All'interno di questo quadro, riferito all'insieme dei paesi europei, l'Italia vive una situazione di particolare sofferenza. Nell'ultima classifica del "World Economic Forum", l'organismo organizzatore del Forum di Davos, nel 2002 l'Italia è precipitata dal 26esimo al 30esimo posto nella classifica mondiale della competitività scontando il peso delle tasse sulle attività produttive, del cattivo andamento dei conti pubblici, della scarsa flessibilità nel mondo del lavoro, ma anche della criminalità. Le imprese fanno di tutto per recuperare margini di competitività: nei primi nove mesi di quest'anno i prezzi alla produzione sono aumentati meno dello 0,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, a fronte di un andamento inflattivo del 2,7% e preoccupa che il presidente della Confcommercio Sergio Billé, incontrando il premier Silvio Berlusconi per discutere della Finanziaria, abbia dichiarato che la corsa dei prezzi è destinata a bruciare tutto lo sgravio Irpef concesso a partire dal 2003. Sembra infatti di rintracciare in tale affermazione un duplice approccio contraddittorio: da un lato, il chiamarsi fuori rispetto alla dinamica dell'inflazione; dall'altro, chiedere ulteriori misure a carico della finanza pubblica per sostenere i consumi. E' il medesimo approccio di chi prospetta aumenti salariali oltre il tasso di inflazione programmata, con la differenza che nel primo caso si metterebbe in ulteriore difficoltà il fisco e, nel secondo, il sistema produttivo. La strada da seguire non può essere quella di alimentare la spirale salari-prezzi, né quella di interrompere il risanamento della finanza pubblica. Occorrono misure strutturali in grado, seppure gradualmente, di ridare competitività al sistema Italia e, in tal modo, allargare la base produttiva e far crescere i consumi. In mancanza, continueremo a sopravvivere, tra autunno e inverno, con una mezza-influenza che potrebbe però sfociare a primavera in una seria broncopolmonite. | ||||||||
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