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Politica industriale per la Lombardia

Un documento di Confindustria Lombardia consegnato all'assessore regionale all'Industria, Massimo Zanello

Analizzando la situazione italiana, si nota come in 15 province su 100 l'industria garantisce oltre il 40% del reddito e dell'occupazione. Le province in questione sono: Biella, Novara, Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Varese, Belluno, Treviso, Vicenza, Pordenone, Modena, Reggio Emilia, Prato e Ancona. Ben 5 delle 15 province più industrializzate appartengono alla Lombardia, che continua a caratterizzarsi come una grande regione industriale, nonostante il peso crescente delle attività terziarie.
Qui esistono tutte le competenze umane, manageriali e tecnologiche di cui un'impresa ha bisogno; qui esiste una rete di produttori conto terzi in ogni ramo di attività economica. E tutto questo in un territorio relativamente concentrato. E' evidente che questo crea un vantaggio localizzato, che non esiste praticamente in nessun'altra parte del paese e che va difeso ad ogni costo. E' questa la premessa di una ricerca commissionata da Confindustria Lombardia, la federazione regionale delle associazioni industriali lombarde, con l'obiettivo di contribuire alla reazione di un ambiente economico fertile per lo sviluppo delle imprese. La ricerca, condotta da Enzo Pontarollo, docente di economia industriale all'Università Cattolica di Milano, è stata consegnata all'assessore regionale all'industria, Massimo Zanello, dal vicepresidente della stessa Confindustria Lombardia Marino Vago, già presidente dell'Unione Industriali varesina dal '90 al '93.
Dallo studio emerge un sistema industriale lombardo tuttora forte, ma che sta affrontando problemi difficili, come la carenza strutturale di risorse umane, la scarsità di infrastrutture, la mancanza di spazi, che mettono in dubbio l'essenza stessa della competitività lombarda. Per fronteggiare queste minacce occorre una risposta "di sistema", che non si traduca in un semplice intervento di erogazione o agevolazione a favore delle imprese, di settori o fattori produttivi, ma in un'azione di forza che agisca sui nodi che permettono di difendere la competitività. Innovando dunque rispetto all'approccio tradizionale, di tipo sostanzialmente erogatorio, la ricerca si conclude con suggerimenti per una politica industriale regionale articolata su tre filoni di intervento. Il primo di questi riguarda il rafforzamento patrimoniale delle imprese, per sostenerne la crescita dimensionale: rafforzare l'equity e lo sviluppo di esperienze di partenariato di filiera per aprirsi a nuovi mercati, attuare processi di acquisizione, investire in ricerca e capitale fisso, acquisire competenze professionali per sostenere la crescita aziendale. Il secondo attiene la promozione dello spirito imprenditoriale, per il quale occorrono strumenti di carattere fiscale, amministrativo, finanziario e organizzativo che favoriscano lo start-up delle imprese, il consolidamento, la crescita e il passaggio generazionale. Il terzo e ultimo filone è quello dello sviluppo delle infrastrutture. La Lombardia - si osserva nella ricerca - è attraversata da 1/3 di tutte le merci che circolano su gomma in Italia. L'incremento annuo del traffico fra l'area milanese e l'Adda è pari al 2,5%, quello fra l'Adda e il confine regionale orientale, cioè le province di Bergamo e Brescia, è addirittura del 4%. E' molto importante che il tema delle infrastrutture si collochi al primo posto tra le priorità del governo regionale, dato che è proprio sulla dotazione, la qualità e l'efficienza delle proprie reti infrastrutturali che il sistema industriale gioca molto del suo futuro. I più importanti vantaggi competitivi dei prossimi anni dipenderanno da un profondo riadeguamento strutturale e funzionale del sostrato fisico del sistema di attività aziendale. L'economia reale non può più accontentarsi di un'efficienza limitata alla sfera dei processi produttivi e distributivi, ma necessita di condizioni di efficienza globale intersistemica fra sistema economico, sistema sociale e sistema fisico. Secondo le più recenti stime comunitarie, posta pari a 100 la dotazione complessiva della UE, il livello italiano delle infrastrutture è di appena 88,8%, collocandosi all'undicesimo posto rispetto all'aggregato comunitario. Il ritardo che affligge il nostro paese appare assai più evidente e preoccupante se lo si confronta con il livello dei paesi meglio infrastrutturati. Il numero indice è pari al 129,9 per l'Olanda, 126 per Francia e Germania, 108 per Gran Bretagna. Solo Spagna, Irlanda e Portogallo mostrano indici peggiori del nostro.
Un miglioramento dell'efficienza delle infrastrutture lombarde del 10% comporterebbe una diminuzione media dei costi industriali dello 0,7%. Ciò che è indispensabile, allora, è una decisa volontà politica che spinga parlamento, governo, regioni e sistemi locali a muoversi in questa direzione, evitando quel continuo gioco di autorizzazioni e rinvii che mina la credibilità delle istituzioni, ma che soprattutto rende il processo di infrastrutturazione una sorta di tela di Penelope.


DOTAZIONE DI INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO:
Media Unione Europea 100
Olanda 129,9
Francia, Germania 126
Gran Bretagna 108
Italia 88,8

02/19/2004

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