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Emery e la Caduta della parola

Al Camelot di Gallarate un omaggio all'artista Emery, gallaratese d'adozione.

Immagine con figure, 1999 - Tecnica mista su carta"Dipingevamo insieme, in un clima di amicizia serena e di reciprocità di esperienze. Si parlava d'arte e si visitavano le mostre milanesi. Emery aveva una lettura piuttosto sottile e comunque composta della pittura". Alberto Montrasio, compagno d'arte, collezionista e gallerista, così ricorda gli anni di frequentazione con Amleto Emery (1923-2001), pittore e amico di famiglia, legato alla cerchia degli artisti monzesi a metà degli anni Cinquanta e gallaratese di adozione dal 1965, quando debuttò in loco con la galleria "L'Arnetta". Racconta di lui nel catalogo che s'accompagna alla rassegna 28 opere dal ciclo "La caduta della parola" - dedicata ad Emery negli spazi del laboratorio artistico della istituzione gallaratese Camelot -, sottolineando di ravvisare nell'Emery poi ritrovato un tratto estroverso, molto deciso, aperto e senza remore, proiettato verso una ricerca di alto livello qualitativo che cresceva e si rinnovava giorno per giorno. Tanto che opere dell'artista sono oggi collocate presso musei e collezioni pubbliche private a Parigi, Johannesburg, Chicago. Camelot, che si distingue da tempo, oltre che per l'attività assistenziale, per la sua funzione di aggregazione sociale e di attenzione al mondo dell'arte e agli artisti del territorio - di cui Emery rimane ragguardevole esponente - propone fino all'11 dicembre un gruppo di recenti opere (dal 1999 al 2000), che ben inquadrano lo smarrimento dell'uomo contemporaneo di fronte alla svalutazione della parola e della comunicazione. Emery le ha concepite e realizzate alla stregua di manifesti: un'ampia serie di manifesti simili a quelli pubblicitari, che lanciano le loro voci dai muri delle città. Ma dai manifesti di Emery le lettere dell'alfabeto s'affacciano mute, sinistramente affollate come le croci nei cimiteri, solitarie come le finestre dei palazzi delle metropoli, quasi tante piccole esistenze vicine ma incapaci di costruire e scambiarsi parole. Sono forse stati gli anni di malattia di Emery (quelli in cui il suo linguaggio pittorico si fa "segno dell'anima"), o la solitudine della metropoli, o l'amore di uomo colto innamorato della parola scritta (molte sue opere portano sul retro versi poetici) a suggerirgli questi manifesti dell'incomunicabilità - sterili incubatoi di parole abortite prima di nascere. Certo è che la denuncia di Emery, quanto mai attuale, trova oggi ancor più facile visibilità in un universo mediatico narciso, specchio di se stesso. Che, mentre fa superbo sfoggio tecnologico di sempre crescenti potenzialità, tocca miseramente la deriva umana di un raccontare di superficie. Dove le parole suonano vuote.
Ma, come sottolinea Ettore Ceriani, curatore della mostra con Claudio Calzavacca e Achille Ghidoni, "mentre un simbolo della società moderna si usura, si consuma facilmente, decade fino all'orlo della scomparizione o della consuetudine, l'artista se ne impadronisce, lo reinventa, gli ridà possibilità comunicative e, riscattandolo dalla sua originaria funzione, lo rende a immagine della sua esperienza esistenziale".

Amleto Emery. 28 Opere dal ciclo
"La caduta della parola" - Laboratorio di Merlino
20 novembre - 11 dicembre 2005
Camelot - Via P. Sottocorno, 5 - Ronchi di Gallarate
Dal lunedì alla domenica: ore 9.00-12.00/15.00-18.00
Tel. 0331 322311

11/18/2005

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