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Vi siete mai chiesti se le vostre fotografie, scattate senza pensieri, contengano dati sensibili vostri o di altri? Dall’ultima moda social diffusa tra gli adolescenti agli scambi di richieste con ChatGPT, il passo è breve e ricco di analogie. Nuovi panorami della comunicazione e tutela della privacy: rette parallele che non si incontreranno mai?

Se in casa vostra abita un adolescente, vi sarà senz’altro capitato di sentire: “Corri, è l’ora del BeReal!” Una delle più recenti trovate social consiste in uno scatto giornaliero da condividere con gli amici. Dovunque siate, in qualsiasi situazione vi troviate. Tra scherzi e (edulcorata) autenticità, quello che dovrebbe uscirne è un ritratto personale. Originale, certo, ma come tutti i progetti di condivisione, qualche dubbio lo fa sorgere: vi siete mai chiesti ad esempio se le vostre fotografie, scattate senza pensieri, contengano dati sensibili vostri o di altri? Il problema dei dati è che non solo sono sensibili, ma la consapevolezza sugli stessi dipende dalla sensibilità. Di ciascuno. E non sempre è sufficiente. Ad esempio, vi è sicuramente capitato in coda alla cassa di un negozio di vedere qualcuno tentennare davanti alla scelta di aderire a un programma fedeltà, neanche fosse un testamento. Ma siamo pronti a scommettere che non vi sarà mai capitato di confrontarvi con qualcuno sulla policy di un social network. Perché semplicemente nessuno le legge, nonostante siano contratti a tutti gli effetti.

L’avvocato Ernesto Belisario, uno dei massimi esperti di privacy, ha sollevato qualche lecito interrogativo su ChatGPT. In particolare, la questione più spinosa è come vengano trattate le informazioni fornite dagli utenti nelle conversazioni (che al momento sono per lo più di sperimentazione) con la Chatbot. In parte è dato saperlo, leggendo quella fantomatica policy (che certamente avrete studiato!), in parte è nebulosa. Un bel rompicapo per il legislatore del futuro, se si pensa che i dati incamerati, serviranno a raffinare l’Intelligenza artificiale, ma anche un grande dilemma per il comunicatore, per professione e per diletto, di oggi.

La domanda è sempre la stessa: nel pubblicare un’opinione su Facebook o nel rispondere a un sondaggio su Instagram o giocando con ChatGPT, come fosse un videogame, sapete che state condividendo i vostri dati? Il problema è complesso, la soluzione – ahinoi – non esiste, ma è comunque bene ribadirlo. Per affrontare il futuro della comunicazione servirà un mix tra una sana consapevolezza e quel “so di non sapere” di socratica memoria che sta bene con tutto. E, così, magari, la prossima volta che accederemo ad un sistema di Chatbot ne leggeremo i termini e le condizioni (o almeno correremo a riordinare casa all’ora del BeReal).   



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