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“Dobbiamo pensare oggi alla progettazione di batterie da poter riciclare al termine della loro vita. Se non lo facciamo la mobilità elettrica non avrà futuro per assenza di materia prima. Non c’è abbastanza litio in natura per avere solo auto elettriche”. È questa una delle sfide della ricerca applicata all’industria (in questo caso automotive) dei prossimi anni. L’ultimo giorno della #TechMission di Confindustria Lombardia, organizzata in Silicon Valley da Confindustria Varese, (che Varesefocus ha seguito passo passo con un reportage) è stato come un viaggio nel futuro dei nuovi materiali e della nuova mobilità. La porta sul domani è la Stanford University che ha ospitato la delegazione di imprenditori e manager lombardi (e non solo). Tra le guide, un professore italiano che da tempo lavora nel prestigioso ateneo di Palo Alto: Alberto Salleo, professore di scienza dei materiali.

L’ultima tappa della #TechMission di Confindustria Lombardia in Silicon Valley è stata la Stanford University

“Quando una Tesla si guiderà veramente da sola – ha spiegato Salleo – consumerà più energia per alimentare la guida autonoma che non quella necessaria per la trazione. Questo è un altro dei grandi temi per l’abbandono dei motori a scoppio: l’efficienza energetica”. È il tema di fare ricerca sul fronte della sostenibilità andando oltre i luoghi comuni. Non è un caso che proprio un’Università come Stanford, che alimenta un giro di affari di 6 miliardi di euro annui, abbia voluto ad esempio inaugurare proprio un anno fa la sua prima facoltà interamente dedicata alla sostenibilità. Con dipartimenti non solo scientifici o tecnologici, ma anche di scienze sociali. “La sostenibilità – conferma Salleo – è uno dei megatrend della Silicon Valley e sui cui Stanford sta lavorando”.

Proprio qui dove sono nati chip, transistor e tutto il mondo tech della West Coast che ha cambiato il mondo, si sta studiando come rendere possibile e, per l’appunto sostenibile, il passaggio dalla mobilità a carburanti a quella elettrica. Tra i ricercatori che stanno lavorando a questa transizione, un’altra professoressa italiana: Simona Onori che insegna Energy Science Engineering. “Secondo le stime di Bloomberg entro il 2040 il 50% del parco macchine statunitense sarà elettrico. Questo lancia una sfida”. Anche perché “il settore dei trasporti consuma da solo più petrolio di tutti gli altri settori messi insieme”. Svoltare qui, vuol dire svoltare a livello generale sul fronte della riduzione dell’utilizzo di carburanti fossili. Le potenzialità dell’auto elettrica sono già oggi buone. Su più fronti. Primo fra tutti in termini di utilizzo del mezzo: “L’80% degli automobilisti – ha snocciolato le statistiche Onori – fa ogni giorno viaggi di 40 miglia (poco più di 64 chilometri). Per un’auto elettrica è più che sufficiente”. Anche l’efficienza del consumo del motore non ha paragoni: “Secondo i nostri studi è più vantaggioso a livello di costi dell’80%, anche 90% rispetto a quelli tradizionali. Un motore a scoppio per raggiungere la stessa efficienza di un motore elettrico dovrebbe consumare 1 gallone (3,7 litri ndr) ogni 100 miglia (160 chilometri)”. Sfida impari. Ma allora perché il motore elettrico non sfonda? Il problema sono le batterie. È sullo sviluppo della loro durata e della capacità di accumulo di queste ultime che si gioca la partita finale. Come spiega in questa intervista video rilasciata in inglese a Varesefocus durante la #TechMission la docente Simona Onori:

“Ma quella delle batterie è anche questione di controllo della materia”, ha spiegato Alberto Salleo tracciando di fronte alla delegazione della #TechMission anche le altre tendenze tecnologiche su cui Stanford sta investendo risorse e energie. Come sui chip: “Mettere sempre più transistor nei chip per aumentare la capacità di calcolo è stata la tendenza di questi anni. È anche per questo che oggi esistono sulla terra più transistor che granelli di sabbia. Ma nel futuro il trend non sarà quello di aumentare le potenze di calcolo dei nostri iPhone, ma di far parlare i nostri device con più oggetti possibili”. Quello che si chiama IoT, Internet of Things. Dalla concentrazione della capacità di calcolo, alla distribuzione della sua potenza. Questa la sfida del futuro.

Altro megatrend su cui lavorano i ricercatori di Stanford è quella che Salleo ha definito “la confluenza in uniche soluzioni di ingegneria, scienza della vita, intelligenza artificiale, data science”. Gli esempi sono concreti. Il primo: “Le nanoparticelle che riescono a iniettare i medicinali direttamente e solo nelle cellule tumorali malate. Bombardamenti chirurgici, invece di quelli a tappeto delle chemioterapie”. Il ritorno al futuro della materia, spiega il professore di Stanford, passa anche “dai nuovi materiali plastici in grado di misurare le onde celebrali in modo di prevenire gli attacchi epilettici”. In pratica, bioelettronica.

Altra ultima frontiera è quella dell’ottogenetica, ossia, come spiegato da Salleo “il controllo dei neuroni con dei led. Ciò permetterà di capire meglio come funziona il cervello, raccogliere migliaia di dati e processarli in poco tempo con una capacità di calcolo che oggi il data science permette di avere”. Con applicazioni molto concrete: “Come la possibilità di dare a persone mutilate o immobilizzate la capacità di controllare arti artificiali”.

Un futuro troppo lontano anche solo per immaginarlo? Qualcuno in Silicon Valley, a Palo Alto, lo sta già facendo. Spesso, come hanno potuto constatare gli imprenditori della #TechMission, i protagonisti di queste ricerche sono italiani. Come Alberto Salleo e Simona Onori, appunto. E l’approccio è molto chiaro. Per scaricare a terra queste idee “serve lavorare a stretto contatto con l’industria”, come ha spiegato Onori. “Noi a Stanford lo abbiamo come forma mentis”. In due parole: ricerca applicata. Il futuro della materia passa da qui.

 

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