Si chiama Isru (“In situ resource utilisation”) il progetto dell’azienda aerospaziale lombarda OHB Italia e del Politecnico di Milano che permetterà nei prossimi anni alle missioni lunari (e un giorno anche a quelle su Marte) di essere autosufficienti in termini di ossigeno e acqua dai rifornimenti dalla Terra. Quando la realtà supera la fantascienza: la sperimentazione dell’impianto è ormai in fase molto avanzata 

Tra poco meno di 5 anni la NASA, con la collaborazione di altre agenzie spaziali e società private, ritornerà sulla Luna per portarvi la prima donna e il tredicesimo uomo. Questo ritorno però, non vedrà gli astronauti rimanere per poche ore o pochi giorni, bensì fermarsi per settimane se non mesi al fine di costruire una vera e propria base permanente. A quel punto l’uomo dovrà imparare a vivere di ciò che la Luna (e in futuro Marte) potrà offrire loro, staccandosi sempre più dai rifornimenti che inizialmente arriveranno da Terra. Dovrà così imparare a vivere con i prodotti che potrà ottenere dal suolo lunare a partire dal cibo, dovrà imparare ad utilizzare il suolo lunare per costruire edifici e non ultimo dovrà estrarre ossigeno dalle rocce lunari che da un lato gli permetterà di respirare e dall’altro di ottenere acqua facendolo reagire con l’idrogeno. E se è vero che in un primo tempo l’acqua potrebbe essere estratta direttamente dal ghiaccio che si trova sul fondo di alcuni crateri vicino al Polo Sud, dove la luce del Sole non arriva mai e dove verrà costruita la prima base, è anche vero che di ghiaccio non ce n’è in abbondanza e che se si dovranno creare anche altre basi in altri luoghi strategici della Luna la si dovrà necessariamente produrre in loco. 

L’azienda milanese aderente al Lombardia Aerospace Cluster, OHB Italia, e il Politecnico di Milano stanno collaborando insieme, sostenuti dall’Agenzia Spaziale Italiana e dell’ESA, per mettere a punto un sistema, per il momento ancora dimostrativo, ma che nei prossimi anni diventerà pienamente operativo, per produrre ossigeno e acqua direttamente sul nostro satellite naturale. “È una tecnologia fondamentale per l’esplorazione spaziale, in quanto se vogliamo permetterci di mandare esseri umani su altri pianeti dovremo essere in grado di padroneggiarla senza problemi”, spiega Roberto Aceti, Amministratore Delegato di OHB Italia. “L’Italia si posiziona sull’ultima frontiera, è avanti rispetto ad altri Paesi su queste tematiche e noi siamo confidenti che nei prossimi anni riusciremo a raggiungere il risultato sperato su cui stiamo lavorando”.

Ma come funziona questo sistema? “Il primo passo è quello di riuscire ad estrarre ossigeno dalla sabbia lunare”, spiega Michéle Lavagna, del Politecnico di Milano, responsabile scientifica del progetto. “Il sistema, infatti, non estrae direttamente acqua dal suolo, bensì ossigeno, che successivamente viene fatto accoppiare con l’idrogeno (inizialmente portato da Terra) a formare acqua”. Come è composto l’impianto? “Il suolo lunare viene fatto entrare in un forno ad alta temperatura – continua la professoressa – il quale ha all’interno una fornace in grado di mantenere la temperatura molto elevata, necessaria affinché avvenga una serie di reazioni chimiche dove l’ossigeno presente negli ossidi delle rocce vada ad ‘attaccarsi’ a particelle di carbonio. Si produce così anidride carbonica che, essendo un gas, viene facilmente estratta nella parte superiore del forno. Una volta che il gas esce ad alta temperatura viene portato in un secondo contenitore, dove vi è sempre una temperatura elevata, seppur più bassa della precedente, dove l’ossigeno, ‘viene obbligato a trasferirsi’ all’idrogeno, dando origine ad acqua sotto forma di vapore.

L’azienda milanese aderente al Lombardia Aerospace Cluster, OHB Italia, e il Politecnico di Milano stanno collaborando insieme, sostenuti dall’Agenzia Spaziale Italiana e dall’ESA, per mettere a punto un sistema, per il momento ancora dimostrativo, ma che nei prossimi anni diventerà pienamente operativo, per produrre ossigeno e acqua direttamente sul nostro satellite naturale

Un terzo sistema, in pratica un frigorifero, ne abbassa la temperatura fino a trasformarla in ghiaccio”. Si tratta di un impianto che pur articolato è relativamente semplice e dove si realizza un processo ben assodato. Il tutto occupa poco spazio e il risultato è alquanto soddisfacente. L’impianto in fase di studio viene alimentato con sabbia con caratteristiche simili a quelle del suolo lunare e produce con continuità il quantitativo di acqua atteso. Il progetto, chiamato Isru, acronimo di “In situ resource utilisation”, è ormai in una fase molto avanzata e giorno dopo giorno conferma quelli che sono gli obiettivi del Politecnico e di OHB.

La necessità di ottenere ossigeno direttamente su corpi celesti (per poi ottenere acqua) è dimostrato anche dall’impegno della NASA in questo settore, tant’è che a bordo di Perseverance, l’ultimo rover portato su Marte, vi è uno strumento, chiamato Moxie, grande come un tostapane che sulla Terra pesa 17 chilogrammi, il quale sta estraendo ossigeno direttamente dall’anidride carbonica dell’atmosfera del Pianeta Rosso. La prima prova è riuscita pienamente, in quanto ha estratto 5,4 grammi di ossigeno (tale da permettere ad una persona di respirare per circa 10 minuti), ma ora dovrà ripetere l’esperimento più e più volte per avere la conferma della bontà di Moxie. Lo farà in condizioni ambientali diverse con l’obiettivo di estrarre 10 grammi di ossigeno all’ora. Anche Moxie lavora a temperature molto alte, ossia attorno agli 800°C, che raggiunge in circa due ore di riscaldamento. Una volta a regime assorbe l’anidride carbonica dall’aria marziana, la porta ad una atmosfera di pressione e poi, attraverso il passaggio di corrente elettrica, la scinde in ossigeno e ossido di carbonio. Quest’ultimo viene rilasciato nell’aria, mentre l’ossigeno viene recuperato per essere unito all’idrogeno e ottenere acqua oppure, più semplicemente, per far respirare i futuri astronauti.  



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