Non-smart-ma-connessa

Come sarà l’università dopo Covid-19? Il mondo della didattica, così fortemente messo alla prova dall’emergenza sociosanitaria, come sta reagendo al repentino cambio di ritmo degli ultimi mesi? Lo abbiamo chiesto ad Aurelio Ravarini della LUC – Università Cattaneo

Al bando l’aggettivo smart, utilizzato (ed abusato) in epoca digital fin troppo spesso. A maggior ragione durante un isolamento forzato che ha portato, volenti o nolenti, le persone, i dispositivi ed i processi a diventare più “intelligenti”. Si è parlato tanto di “smartitudine”, a partire ovviamente dallo smart working per arrivare agli oggetti e al pensiero, anch’essi costretti quasi improvvisamente a diventare smart. A causa (o grazie) all’emergenza sanitaria da Coronavirus sono stati molti i settori e gli ambiti a subire, e in alcuni casi a cavalcare, una spinta in avanti che ha portato, in breve tempo, all’attuazione di progettualità solamente ipotizzate. E tra i comparti più messi alla prova non è difficile trovare quello della didattica. Aurelio Ravarini, Delegato del Rettore all’Innovazione Didattica della LIUC – Università Cattaneo, ci ha aperto uno spiraglio sul mondo universitario al tempo di Covid-19.

Come sta cambiando l’università con il Coronavirus?

All’orizzonte vedo molti scenari e diverse ipotesi possibili: dipenderà tutto da quanto ancora durerà questa situazione e quando si tornerà alla normalità. Il cambiamento riguarderà tutto il mondo, non solo la LIUC o le università italiane. Da 10 anni ormai si parla di come l’istituto dell’università e l’alta formazione in generale siano in crisi. È in atto da tempo una riflessione nelle cosiddette business school, quelle che formano i manager del futuro. Una riflessione sul ruolo che l’alta formazione dovrebbe generare, rispetto al risultato che attualmente raggiunge, ovvero immettere nel mondo del lavoro manager capaci di ottenere risultati per le aziende e per la società. Nelle odierne dinamiche tra docenti e studenti, osservo che quello che sta succedendo sta portando sempre più ad una forte accelerazione di fenomeni che già erano in atto. Non abbiamo avuto il tempo di imparare a controllare questa nuova velocità. Il dubbio sull’adeguatezza dell’università nella formazione efficace dei manager del futuro, ci sta dunque portando a fare delle riflessioni più rapide.

Quindi l’emergenza ha affrettato processi di innovazione nella didattica che erano già in embrione?

Già da tempo si parlava dell’importanza di fare formazione a distanza, ma lo si faceva non senza qualche reticenza. Covid-19 ha solo dato un’accelerata: non ci siamo inventati nulla di nuovo. Se questo periodo durerà abbastanza, credo che non si potrà più tornare indietro. Il mondo universitario avrà caratteristiche significativamente diverse: avrà dimostrato che esistono modi efficaci di fare formazione anche a distanza. Non sono convinto che le due modalità didattiche, quella classica in aula e quella a distanza, possano l’una sostituire totalmente l’altra. La tecnologia continuerà ad essere utilizzata solo se garantirà risultati migliori. Le lezioni in presenza rimarranno, a mio avviso, incomparabili a livello esperienziale. Quando l’emergenza sarà rientrata, ci saremo resi conto sulla nostra pelle che esistono forme intermedie tra dinamiche fatte in presenza e in assenza totale. Il che genererà, ne sono certo, cambiamenti permanenti.

Si può, quindi, definire positivo questo repentino stravolgimento?

Una scossa penso servisse. L’economia e la società hanno sempre viaggiato ad una velocità molto alta e il mondo universitario faticava a tenere il passo. Ora è quasi il contrario, la tendenza si è invertita. Se c’è una cosa buona (a me piace trovare il lato positivo anche nelle situazioni di crisi) è questa: se la scossa verrà ben interpretata, sarà in grado di agevolare un cambiamento. Chi guiderà il cambiamento e in che posizione lo porterà? Questo non lo possiamo sapere, ma di sicuro avremo un maggiore ed estremo utilizzo della tecnologia per aumentare la collaborazione tra imprese e professionisti di settori diversi. Il che porterà a nuove forme di relazione tra le aziende. Si potrà, forse, iniziare a superare la competizione e parlare di coopetizione, molto difficile da realizzare se si pensa al territorio italiano fatto di piccole e medie imprese.

Come sarà l’università quando tutto sarà finito?

Ci troveremo, inevitabilmente, ad affrontare una grave crisi economica e la variabile costo sarà ancora più chiave nelle decisioni delle persone, degli studenti e delle famiglie. Varieranno le logiche di business degli atenei: bisognerà ripensare al modo di essere sul mercato delle università. Anche questo, di sicuro, sarà un aspetto da tenere in considerazione. Io credo che l’università sarà più a fianco delle evoluzioni dei fenomeni socioeconomici. Questo periodo ci ha obbligati a riallinearci. Potremmo dire che l’università sarà più connessa e interconnessa con questa realtà in evoluzione e sfrutterà più efficacemente le possibilità di interazione, indipendentemente da tempo e distanza. Proprio come stiamo sperimentando ora. Ho sempre immaginato l’università come un hub, una piazza in cui le persone si incontrano e scambiano competenze. Credo che d’ora in poi questa piazza sarà più vicina alle persone e quindi più facilmente raggiungibile da tutti.



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