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L’ipotermia e l’ipertermia, le pratiche di soccorso dopo una valanga, la gestione dei traumi e degli infortuni sulle piste da sci. La montagna, sempre più frequentata, ha bisogno di operatori sanitari specializzati. Come quelli che forma il Master in Mountain Emergency Medicine dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese. Professionisti nell’ambito del soccorso alpino che si fanno le ossa in aula, sul campo e in condizioni estreme (Alaska e Grand Canyon). Con un appuntamento dietro l’angolo: i Giochi Invernali 2026 di Milano Cortina  

Lo scioglimento dei ghiacciai, le temperature sempre più elevate, il turismo che si evolve, le discipline sportive che diventano sempre più estreme. E la montagna che, nel frattempo, cambia: da un lato, richiede sempre più attenzioni e, dall’altro, diventa sempre più affascinante e frequentata, grazie alle strutture ricettive e agli impianti sciistici all’avanguardia. Questi i motivi che stanno alla base del Master in Mountain Emergency Medicine dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese. Un progetto congiunto con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, in collaborazione con Eurac-Bolzano, Air Zermatt e altri enti, accademici e del soccorso, europei e americani, attivi nella formazione sanitaria di alto livello, nel campo dell’emergenza in montagna e in terreno impervio.

Più precisamente, si tratta di un percorso della durata di due anni che ha mosso i suoi primi passi già nel 2011 e che si è affinato sempre di più diventando ciò che è oggi: una specializzazione totalmente in lingua inglese, erogata tramite l’insegnamento di professori, esperti del contesto alpino e della medicina di emergenza, anche di fama mondiale. Dagli alpinisti italiani Simone Moro, Matteo Della Bordella e Silvio Mondinelli, fino all’austriaco Peter Habeler: il primo uomo che ha scalato senza ossigeno, insieme a Reinhold Messner, la vetta più alta del mondo, l’Everest. Senza dimenticare le varie collaborazioni con docenti universitari di tutto il mondo: dalla Sorbona di Parigi all’Università del New Mexico, ad esempio, ma anche dagli Istituti della Danimarca, della Norvegia o, ancora, del Colorado e di Seattle. Sono questi i nomi che vanta il percorso di alta formazione, riconosciuto, non a caso, dalle maggiori realtà internazionali di medicina di montagna come, ad esempio, la Federazione Uiaa Medcom, la Commissione Cisa - Ikar e la Società Ismm. 

La malattia d’alta quota, l’ipotermia e l’ipertermia, le pratiche di soccorso in valanga, la gestione dei traumi in ambiente alpino, le nuove tecnologie e le varie pratiche sportive in montagna. Questi, invece, gli ambiti che il Master si propone di approfondire per adeguare e rendere sempre più aggiornate le metodologie del soccorso. L’obiettivo finale: creare una rete tra le varie Università del mondo, in grado di influenzarsi, scambiarsi nozioni ed esperienze e, infine, acquisire quelle competenze necessarie per affrontare le situazioni sempre più complesse e pericolose, che, in futuro, potrà presentare l’ambiente montano. Qualunque esso sia: nazionale o estero. “L’idea è che gli allievi si possano, così, confrontare con strutture differenti in diversi Paesi dato che ciascuna nazione ha delle sue metodiche di soccorso precise. Conoscerle tutte significa poter interagire nella maniera ottimale in qualsiasi situazione e territorio. Il nostro Master è attualmente l’unico corso a livello mondiale che si propone di formare il personale in questo modo – tiene a sottolineare il Direttore Didattico Luigi Festi –. La figura che ne esce è un medico con capacità di gestire l’alta quota e, dunque, con l’autorevolezza per essere un leader nelle operazioni di soccorso, in grado di salvaguardare sia l’operatore sanitario, sia l’infortunato”.

A garantire una preparazione completa sono le caratteristiche didattiche del Master. A lato delle lezioni teoriche, infatti, ci sono quelle pratiche che avvengono attraverso vere e proprie simulazioni sul campo. Non uno qualsiasi, ma luoghi scelti ad hoc per effettuare ricerche e sperimentazioni. Dall’immensa gola dell’Arizona, il Grand Canyon, al campo base sul maestoso Monte Denali in Alaska. Queste, ad esempio, alcune delle terre in cui gli specializzandi vanno a toccare con mano le situazioni più complesse e i rischi estremi. Tra le esperienze dirette, anche quelle presso organizzazioni che collaborano nel programma, come, ad esempio, l’Università di Grenoble oppure quella del New Mexico o, ancora, l’Ospedale di Chamonix, il centro Eurac Research a Bolzano dove gli allievi testano fisicamente i climi estremi tramite “terraXcube” e il simulatore delle operazioni in volo in Germania.

Lo scopo, in quest’ultimo caso, è quello di formare dei medici che, tramite la competenza acquisita, possano portare anche ad un risparmio in termini di equipaggio sull’elicottero. Un vantaggio che significa, di conseguenza, maggiore spazio a bordo e maggiore leggerezza. “L’obiettivo è quello di formare delle figure che possano essere dei punti di riferimento, in giro per il mondo, nella cultura del soccorso alpino – sottolinea il Direttore del Master Giulio Carcano –. Ma non solo. Il Master vuole essere anche il contributo dell’Università alla preparazione di un prossimo grande evento sul territorio, in cui verremo chiamati a mettere in campo la nostra maturità sul fronte della medicina di montagna”. Ciò di cui parla il Professor Carcano sono le Olimpiadi e Paralimpiadi di Milano Cortina 2026: Giochi che vedranno la sinergia di diversi attori, pubblici e privati, impegnati in un’unica occasione di rilancio economico, in cui il territorio non solo potrà dimostrare di essere all’avanguardia sotto il profilo tecnologico, infrastrutturale e della mobilità, ma anche di essere un’eccellenza europea nel soccorso, nella medicina, nella ricerca e nella sperimentazione. 

Leonardo, l’eccellenza del soccorso in volo

I primati varesini del soccorso, non sono solo medici, ma anche industriali e tecnologici. Sono più di 700 gli elicotteri di Leonardo con compiti di ricerca, soccorso e assistenza sanitaria che salvano vite ogni giorno in più di 50 Paesi. Un settore, quello dell’elisoccorso, in cui la Divisione Elicotteri di Leonardo, con cuore pulsante nel Varesotto, fa la parte del leone detenendo quasi un quarto del mercato globale composto da circa 2.700 elicotteri dedicati a missioni Hems (eliambulanze) e operazioni Sar (ricerca e soccorso). Il sistema antighiaccio, il record di distanza su missioni di ricerca e soccorso di lungo raggio, la certificazione sulle barelle per il trasporto dei pazienti in biocontenimento, gli standard in termini di prestazioni, il sillabo addestrativo più completo per la formazione di piloti, personale medico in cabina, verricellisti e manutentori, addetti alle missioni di soccorso: questi i fronti su cui Leonardo vanta primati tecnologici indiscussi a livello mondiale. Senza dimenticare quello nel posizionamento di mercato con gli Aw139 e Aw189: due elicotteri per le missioni di elisoccorso, dotati dell’esclusivo sistema Fips che consente voli in qualsiasi condizione atmosferica, comprese quelle con temperature estreme e formazione di ghiaccio. A completare la flotta, i modelli Aw119, Aw169 e Aw101. In attesa del futuro: il convertiplano Aw609.  



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