La sede di Confindustria a Roma.jpg

Rilancio degli investimenti pubblici e privati a sostegno del recupero tecnologico e dell’efficienza dello stato sociale. Piano di riduzione del debito pubblico. Difesa della democrazia liberale (“oggi a rischio”) attraverso la valorizzazione dei corpi intermedi. Nel libro “Italia 2030”, le premesse e gli obiettivi del Piano strategico di medio-lungo periodo che il Presidente degli industriali, Carlo Bonomi, presenterà in autunno per rilanciare il Paese nei prossimi 10 anni

Immaginate un Paese emarginato dall’Europa che conta e schiacciato da un debito pubblico ingovernabile. Dove ogni pezzo della società si concentra solo, perché non gli è rimasto altro, “sulla salvaguardia dei suoi residui, ma sempre più miseri, privilegi economici”. Con l’unico obiettivo di vivere di rendita. Almeno finché dura. Di fronte a questo scenario, da una parte gli anziani cercano di mettere al sicuro le proprie ricchezze, senza investire sul futuro di un Paese in cui non credono più, dall’altra i giovani di talento, per lo stesso motivo, se la danno a gambe, fuggendo. In mezzo le imprese che “si troverebbero così ad operare in un ambiente economico-sociale sempre più problematico sia in termini di sbocchi di mercato”, sia di assenza delle necessarie risorse umane per affrontare le sfide della modernità. Sullo sfondo, un sistema politico e istituzionale sempre più inefficiente che spingerebbe gli elettori verso la tentazione di “ricorrere a un leader politico, a cui affidare velleitarie speranze di protezione e di sicurezza”. Un salvatore della patria improbabile che come priorità avrebbe quella della cancellazione del ruolo “dei corpi intermedi”. È questo che ci aspetta? È questo ciò che è destinata a diventare l’Italia tra 10 anni? Siamo condannati alla “frantumazione della società italiana”? Alla “cancellazione di ogni coesione sociale”? Non è detto. Ma il rischio c’è. A delinearlo e a spiegare i possibili percorsi che potrebbero portarci a questo declino è il libro “Italia 2030 – Proposte per lo sviluppo”. Un volume edito da Assolombarda, con prefazione del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che rappresenta una sorta di manifesto sulla visione di Viale dell’Astronomia. In realtà, le 368 pagine di analisi e proposte scritte con il contributo di 10 tra i più autorevoli economisti e sociologi italiani, il coordinamento scientifico di Marcello Messori e un Comitato di garanti composto da nomi del calibro di Giuliano Amato (giudice costituzionale), Luca Bressan (vicario episcopale), Elio Franzini (Rettore dell’Università degli Studi di Milano), non suonano il de profundis per l’Italia. Anzi proprio “i punti di forza del nostro Paese” e “le capacità di reazione della popolazione”, è la chiosa del libro, permettono all’economia e alla società italiana “di accettare la sfida” di un futuro fatto di un ritorno alla crescita “nella convinzione di poterla vincere”.

Ad un patto però: che in autunno venga avviato subito un piano di politica economica e sociale che contenga proposte “realistiche ma al contempo radicali”. Il libro lo definisce “un disegno strategico e sistematico” da varare subito. Come dire: la fotografia di un Paese in declino non è stata ancora sviluppata. Ci sono margini di tempo, strettissimi, per lavorare in camera oscura e cambiare l’immagine del rullino e ridare al Paese un’istantanea più coerente con le proprie potenzialità. Scrive Bonomi nella prefazione: “Ogni tentativo di perseguire soluzioni nel breve periodo attraverso bonus a tempo, interventi a margine nel sistema fiscale o nuova spesa sociale con improvvisati nuovi strumenti che si sommano confusamente alla congerie esistenti, si è rilevata un’illusione negli anni alle spalle. Ed è un’illusione ancor più temibile oggi”. Serve un piano di lungo periodo secondo il Presidente di Confindustria.

“È forte la nostra convinzione che sia del tutto errata la volontà politica di affrontare la voragine della crisi senza darsi un’immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riduzione del debito entro medie europee”

Ma da dove partire? Dopo aver analizzato nei vari capitoli i temi dei processi di innovazione, della sostenibilità, gli aspetti economico-sociali dello sviluppo e gli assetti istituzionali del Paese, nelle conclusioni, Marcello Messori, indica 3 direttrici su cui l’Italia deve concentrare le risorse per tornare a crescere. La prima è il rafforzamento dell’educazione e della formazione, finalizzato ad “arricchire le risorse umane” e a sconfiggere la disoccupazione giovanile. La seconda è la ripresa degli investimenti pubblici e di quelli privati. Bando agli sprechi. Gli obiettivi devono essere pochi e mirati: recuperare il ritardo tecnologico e organizzativo del sistema produttivo, rendere più efficiente lo stato sociale. La terza direttrice è, invece, quella di una più equa redistribuzione della ricchezza, ridando centralità ai redditi da lavoro “a scapito delle posizioni di rendita”.

Le risorse sono centellinate e anche quelle, storiche per consistenza e modalità di finanziamento, che arriveranno dall’Europa devono concentrarsi sull’aumento della spesa pubblica in pochi e precisi investimenti di medio-lungo periodo. Basta con le leadership politiche interessate solo a perseguire “obiettivi di brevissimo periodo che sacrificano l’interesse pubblico”. Serve investire su punti dal basso grado di consenso politico, ma dall’elevata capacità di creare condizioni di crescita diffusa: educazione e ricerca universitaria applicata, infrastrutture materiali e immateriali, riduzione dei divari produttivi e sociali, riassestamento idrogeologico dei territori, sviluppo delle città digitali, riorganizzazione e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, riforma della giustizia civile. Tutti settori della società in cui negli ultimi anni “lo Stato italiano ha speso poco e/o male”. Perdendo di vista sempre e sistematicamente, tra l’altro, la vera zavorra al nostro sviluppo: l’abnorme debito pubblico. Nessuno si è mai prefissato di ridimensionarlo. Troppo impopolare. Su questo, invece, Bonomi non lascia margini di manovra: “È forte la nostra convinzione che sia del tutto errata la volontà politica di affrontare la voragine della crisi senza darsi un’immediata ma credibile prospettiva pluriennale di riduzione del debito entro medie europee”. Il Paese, su questo, deve darsi un orizzonte decennale fatto di “avanzi primari sostenibili”, pari al 2,5% all’anno fra il 2023 e il 2037, per arrivare così ad un rapporto debito/Pil del 100%, scendendo dunque drasticamente dai livelli che presto raggiungerà, superando quota 160% a fine 2020.

Riforma della spesa pubblica, individuazione di vere priorità, piano di rientro del debito pubblico, ma non solo. Per evitare il declino occorre intervenire anche sul lato delle riforme istituzionali. Qui il pensiero di Confindustria proposto da Bonomi è radicale, è una presa di posizione a difesa della democrazia liberale, oggi minacciata e del ruolo dei corpi intermedi: “C’è bisogno di ciò che in questo volume viene descritto come ‘una democrazia negoziale’, costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privata su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. La “ricostruzione nazionale” passa anche da qui. Per evitare che la politica della disintermediazione “costruita su leadership personali e partiti carismatici”, come li definisce Bonomi, sfoci nel rischio che Messori delinea nelle conclusioni dello “sbocco finale a qualche forma di populismo autoritario” e la conseguente “cancellazione di ogni coesione sociale e la progressiva imposizione di nuove norme da rispettare senza essere discusse e condivise”. In pratica: “La frantumazione della società italiana”.

Tanti rischi, un’unica certezza: il libro “Italia 2030” è solo una premessa necessaria. Il primo tassello che imprime una visione, quella di Confindustria. A cui, in autunno, seguirà la vera e propria presentazione di quello che Bonomi nello stesso libro annuncia come “un Piano strategico 2030-2050 da condividere con tutte le forze vive della società italiana, per definire un quadro volto a riorientare l’intero Paese verso crescita del lavoro, del reddito, della produttività e dell’innovazione”. Capace di recuperare in un paio di anni anche ciò che a livello produttivo non era stato ancora riguadagnato dalla perdita della crisi del 2008. Ed incamminarsi così su un percorso che ci porti entro il 2030 verso un decennio di sviluppo sostenibile.

    

Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria     



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