Grani antichi, come la segale di Vergiate. E poi ancora le mele “poppine” di Orino, la birra di castagne Parco del Ticino, il formaggio Capracanta, il vino muffato di Angera.  Non solo, dunque, asparagi di Cantello e pesche di Monate. Ci sono tanti altri piccoli prodotti alimentari varesini che Slow Food sta cercando di rilanciare sul territorio 

Un filone d’oro di ghiottonerie. L’ha scoperto Slow Food con le piccole produzioni alimentari varesine, golosità dimenticate fino a ieri, praticamente sconosciute e ora sotto osservazione dei delegati di Carlin Petrini come il mais rostrato di Cantello, le mele “poppine” di Orino, il grano tenero selezionato durante il Ventennio a Cuirone, la segale tradizionale di Vergiate e altro ancora. Alberto Senaldi, 66 anni, membro del direttivo di Slow Food Varese dal 2013, è un appassionato cultore delle antiche pratiche agricole. Studia la reintroduzione delle tecniche tradizionali per la coltivazione del mais, del frumento e del farro con sementi e metodi di una volta, coltiva segale e grano tenero, possiede un piccolo vigneto e si dedica al recupero di vecchi forni a legna in disuso. Come quello di Cuirone. Ai primi dell‘800 il forno serviva tutto il paese e oggi rinasce nelle sagre sfornando pane e “bruséla ai fichi” per fini didattici e beneficenza. Il piano di cottura ha un diametro interno di oltre due metri e cuoce quaranta pani per volta. 

“La nostra campagna ha perso le caratteristiche originarie – spiega Senaldi –. L’agricoltura moderna, invasiva e alla ricerca esasperata di maggiori rese produttive, ha gradualmente sostituito molte varietà di cereali con monocolture intensive, meccanizzate e ibride che utilizzano prodotti chimici, fertilizzanti e pesticidi. La condotta provinciale di Slow Food incoraggia il recupero della frutta, degli ortaggi e dei cereali coltivati con metodo biologico ed ecosostenibile, tracciabile e potenzialmente redditizio per l’agricoltore”. 

Come per miracolo ecco allora ricomparire il mais rostrato di Cantello (il granello ha la forma appuntita) e quelli di Besnate e Albizzate, due varietà prelevate dalla terra negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso che le aziende agricole sono tornate a coltivare dal 2014.  “È mais di ottime qualità organolettiche, macinato a pietra e raccomandato per la polenta, i dolci e il pane – assicura l’esperto di Slow Food –. Altri prodotti sotto osservazione sono la segale di Vergiate adatta alla panificazione e due tipi di frumento tradizionale. Il Gold Korn degli anni ‘40 si coltiva a Cimbro di Vergiate e prende il nome dal colore dorato delle spighe in maturazione. Il grano tenero ‘autarchico’ di Cuirone risale invece ai tempi della battaglia del grano fascista, quando il regime puntava all’autosufficienza produttiva del frumento, a diffonderne la coltivazione e incentivare gli agronomi genetisti a creare nuove varietà resistenti alle malattie”. Negli anni, aggiungiamo noi, in cui il movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti predicava “l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana, che libererà il Paese dal costoso grano straniero favorendo l’industria italiana del riso”.  

“La condotta provinciale di Slow Food incoraggia il recupero della frutta, degli ortaggi e dei cereali coltivati con metodo biologico ed ecosostenibile, tracciabile e potenzialmente redditizio per l’agricoltore”

Senaldi segue il progetto Nutrire la Lombardia che censisce le produzioni agricole, cura i progetti educativi per le scuole e tiene conferenze pubbliche sui cereali e la biodiversità. Le sue ricerche sugli antichi documenti lo hanno portato fino al monastero delle romite di Santa Maria del Monte da cui dipendevano nel ‘700 numerosi mulini ad acqua sul torrente Strona e sulle rogge limitrofe. I corsi d’acqua alimentavano le attività agricole e a fine ‘800 pare ce ne fossero undici nel Basso Varesotto, di cui quattro nei dintorni di Somma. I mulini Colombara e Prada, a Cimbro, erano utilizzati per la macina del grano e la pilatura del riso, il primo già segnalato nel catasto teresiano del 1722 e nel catalogo nazionale dei mulini storici.

“Le famiglie agiate li donavano al monastero e le monache vivevano di rendita riscuotendo gli affitti e le tasse dai contadini che lavoravano la terra – spiega Senaldi –. Il nostro auspicio è che si possa tornare a coltivare quelle risorse naturali. Con il boom della Green Revolution ad alta resa e il massiccio uso delle sementi ibride, è a rischio la biodiversità. Noi lavoriamo per reintrodurre le sementi tradizionali che il contadino è in grado di riprodurre, come il grano tenero rosso Olona di cui coltivo qualche pianta, diffuso nell’Alto Milanese ad inizio ‘900”.

Grani antichi a parte, l’elenco delle piccole specialità alimentari in via di riscoperta è ancora lungo. Le mele “poppine” di Orino, diffuse nell’800 nell’Alto Varesotto, hanno pezzatura media e polpa bianca aromatica, maturano tardi e si conservano fino a marzo. Il progetto è partito anni fa per iniziativa dell’amministrazione con un vivaio comunale e una simpatica filosofia, una pianta per ogni bambino nato in paese. Nel 2017 i cinghiali, i caprioli e altri ungulati selvatici hanno danneggiato il terreno e ritardato la produzione inducendo il Comune a tutelarlo con barriere elettriche di protezione. L’azienda di Carlo Quadrelli ricava farina da polenta integrale macinando a pietra il mais a Besnate. E nella selva castanile di un ettaro e mezzo ad Arsago Seprio ottiene la materia prima per produrre la birra di castagne del Parco del Ticino. L’azienda produce anche vino Igt, mele da sidro e frutti di bosco.

Godono delle attenzioni di Slow Food alcuni tipi di latticini “nati” di recente sotto l’egida della Regione Lombardia. Il delegato Fabio Ponti ha tenuto a battesimo un anno fa il formaggio Capracanta prodotto da quattro caseifici varesini, Elleboro sul monte Martica, Il Vallone a Cuveglio, Pian dul Lares a Veddasca, Green Fantasy a Montegrino. Dice il delegato: “L’etichetta spiega con che latte lo fanno, come viene munto e caseificato, come sono allevati gli animali, che cosa mangiano e dove vanno al pascolo. Le modalità di produzione si rifanno all’antica cultura del latte non pastorizzato, trattato con fermenti autoctoni. Un secondo tipo di formaggio si chiama Appena Munto e in questo caso è latte di vacca. Si procede alla cagliata subito dopo la mungitura in modo che il latte non debba essere riscaldato”.

Che prospettive commerciali hanno questi piccoli tesori alimentari? “Maggiori di quanto si creda – risponde Ponti –. I clienti li cercano ai mercatini, nelle sagre paesane o al ristorante e Slow Food affianca i produttori con tante iniziative, anche se le tome e i caprini non sfoceranno nei presìdi Slow Food. Chi li compra apprezza il rapporto diretto con il produttore, s’informa e sa come il contadino lavora. La diversità è un valore aggiunto, non la trovi nella grande distribuzione e sei disposto a pagarla più del prodotto standardizzato. Il nostro obiettivo è mantenerla viva”. 

Altre leccornie. La cantina Cascina Piano di Franco Berrini produce ad Angera l’acquavite d’uva Chiossa da vinacce e mosto locali e il muffato Mott Carrè a base di malvasia aromatica di Candia, un vino da dessert (e da meditazione) paragonato al Sauternes francese. Con la vendemmia 2003, poco prima che Varese ottenesse il riconoscimento della Igt Ronchi Varesini, la distilleria Rossi è tornata a produrre grappa di vinacce locali. Il prototipo si chiama Acqua d’Angera, 43° gradi, distillato di una cuvée d’uve con sentori floreali. Le bottiglie numerate arricchiscono gli scaffali di enoteche e ristoranti. Tra i fornitori delle vinacce figurano la Cascina Piano di Angera e la Cascina Ronchetto di Morazzone, un verdeggiante paesone a due passi da Varese celebre per la battaglia garibaldina del 1848. 



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