Dopo un lungo periodo di oblio, l'inflazione è tornata improvvisamente ad essere un tema dominante per i mercati finanziari. L'attenzione degli investitori si è in particolar modo focalizzata sull'andamento dell'indice dei prezzi degli Stati Uniti che, nel corso del mese di aprile, ha registrato un incremento su base annua del +4,2%, il valore più elevato segnato dall'ormai lontano 2008. Molti analisti temono che le Banche Centrali siano presto costrette a reagire, innalzando il costo del denaro, in un momento in cui l'economia sta mostrando cauti segni di ripresa, dopo il crollo causato dalla pandemia.  Autorevoli commentatori, tra cui Bill Dudley, ex presidente della Federal Reserve di New York, hanno predetto un prossimo ritorno dei titoli decennali del Tesoro americano su valori prossimi al 3%, rispetto all'attuale 1,6%, circostanza che comporterebbe perdite elevate per gli investitori obbligazionari. Sarebbe paradossale che, dopo aver lungamente combattuto la deflazione - facendo anche ricorso allo strumento dei tassi negativi, come nel caso dell'Eurozona - le autorità monetarie si trovassero ora impreparate a gestire una spirale inflazionistica che le obbligherebbe a scegliere tra l'adesione al mandato istituzionale di controllo dei prezzi ed il significativo danno al ciclo economico ed ai valori delle attività finanziarie che comporterebbe un rialzo dei tassi di interesse. E' difficile pensare che la pandemia possa aver invertito un andamento strutturale, che dura da alcuni decenni, di riduzione dei prezzi a seguito della globalizzazione della produzione ed all'evoluzione tecnologica; fattori che hanno aumentato la produttività e ridotto l'uso della manodopera. E' molto probabile, invece, che l'attuale aumento dell'inflazione negli Stati Uniti sia solo temporaneo e legato a fenomeni di dislocazione delle risorse, a causa di  una ripresa parziale e non omogenea dell'attività economica. Va inoltre considerato il cosiddetto “effetto base”, ovvero l'effetto distorsivo provocato dal confronto con i livelli dei prezzi dello scorso anno che, in piena prima ondata della pandemia, avevano registrato anche variazioni negative a seguito del crollo della domanda. L'attuale dinamica dei mercati ci offre però una importante chiave interpretativa per la comprensione dei movimenti futuri: un rialzo dei rendimenti obbligazionari viene mal sopportato dai mercati azionari, la cui soglia di tolleranza, a fronte di un rialzo dei tassi di lungo periodo, si è molto ridotta nel corso del tempo. Dopo la crisi del 2008, le Banche Centrali sono intervenute attivamente acquistando titoli di stato ed inondando il sistema di liquidità. Questo ha comportato una forte riduzione dei tassi di interesse e favorito la crescita dei corsi azionari, visti come alternativa al basso rendimento offerto dalle obbligazioni. La maggior parte della liquidità immessa dagli Istituti Centrali non è stata investita nell'economia reale, ma piuttosto in valori mobiliari, che si sono apprezzati consistentemente. La crescita dei prezzi ha interessato più il valore delle attività finanziare che quello dei servizi e dei beni di consumo. In questa fase dobbiamo prestare molta attenzione all'andamento dei mercati obbligazionari per comprendere la direzione dei mercati azionari. Un rialzo significativo dei rendimenti di lungo periodo comporterebbe un costo elevato anche per l'investitore azionario. Ma siamo prossimi a questa fase di mercato? Molto probabilmente no. L'attuale livello dei rendimenti obbligazionari, che hanno visto un moderato rialzo dall'inizio dell'anno, ha già scontato, con tutta probabilità, gli effetti della ripresa economica post-Covid, che non sarà né facile né lineare. I corsi delle obbligazioni decennali americane legate all'inflazione scontano già un significativo incremento dell'indice dei prezzi, superiore probabilmente a quanto effettivamente si verificherà nel prossimo futuro. Come possiamo vedere nel grafico sottostante il tasso di inflazione medio decennale incorporato nei titoli inflation-linked del tesoro USA è già ritornato su livelli molto elevati, incorporando uno scenario di ripresa sostenuta. E l'Europa?  Anche nell”Eurozona nel mese di aprile si è registrato un rialzo dell'indice annuale dei prezzi, che è salito all'1,6%.  Le previsioni di Banca Centrale Europea, pubblicate nell'ultimo bollettino economico, vedono però l'inflazione media annua non superare l'1.5% nel corso del 2021, per poi tornare a scendere all'1.2% il prossimo anno. Non vi è quindi al momento alcuna necessità per le Banche Centrali di cambiare direzione alla politica monetaria che continuerà a rimanere molto espansiva. In ogni caso, tuttavia, non perdiamo di vista il livello dei rendimenti obbligazionari che rimangono il miglior termometro per misurare la febbre dei mercati.

 Fig. 1 – Tasso medio di inflazione decennale espresso dai titoli di stato americani indicizzati all'inflazione. (Fonte: Bloomberg)



Articolo precedente Articolo successivo
Edit