La-Varese-del-Duomo

Da Michelino da Besozzo ai Bertini, da Jacopo da Tradate al Pogliaghi, fino agli interventi dei Mascioni di Cuvio sull’organo. Facciata, portone, vetrate, dipinti, mosaici. Quanta arte di varesini c’è nella cattedrale milanese simbolo del gotico in tutto il mondo?  

‘‘La cattedrale è l’affermazione solenne della concezione teocentrica della vita, e altra non è ammissibile. E perciò il Medioevo, che ci tramanda le sue cattedrali, non ci fa eredi di un patrimonio inutile ai nostri tempi, ma di una sapienza eterna, che la nostra età avrebbe il torto a non fare propria”. Queste le parole - ricordate dall’arcivescovo cardinale di Milano, Carlo Maria Martini - pronunciate dal suo predecessore Giovanni Battista Montini, il pontefice Paolo VI, allorché ricopriva lo stesso incarico di pastore della diocesi ambrosiana. 
L’occasione dello scritto di Martini “Il vero ritratto di un’anima”, era dato dalla realizzazione dell’opera dell’artista varesino Floriano Bodini, il monumento in marmo di Candoglia dedicato allo stesso Paolo VI, per la galleria dei pontefici del Duomo milanese. Della scultura di Bodini, realizzata nello stesso marmo usato per la cattedrale, Martini sottolineava la gravità dell’impianto espositivo e plastico, ma anche “la forte caratterizzazione fisionomica, vero ritratto di un’anima...”. Che fissa l’immagine del pontefice “mentre prega intensamente, rivolto verso l’altare, ma anche in atteggiamento di accoglienza e di invito verso i fedeli e i visitatori, quasi a trasmettere loro il suo amore e il suo attaccamento alla cattedrale...”.

L’amore per il Duomo milanese è un amore condiviso da sempre e, possiamo dire, in modo universale. Per gli artisti, che hanno ornato della loro bella arte ogni suo spazio e superficie, è stato anche straordinario luogo di lavoro, supportato dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, regolamentata da Gian Galeazzo Visconti il 16 ottobre 1387. Se Bodini è tra le più recenti presenze d’artista, possiamo con fierezza dire che altre, provenienti dalle nostre terre, si sono succedute lì nei secoli. A partire dal varesino Carlo Buzzi (1585-1658), architetto e autore del rifacimento della facciata, a metà del diciassettesimo secolo. Tra i primi pittori fu senza dubbio Michelino da Besozzo (Besozzo, 1370 circa- 1455 circa), pittore e miniatore, tra i più importanti esponenti del gotico internazionale, presente, in Italia, in Lombardia e in Veneto. È di fondamentale significato la sua opera Madonna dell’Idea, una piccola tavola cuspidata che rappresenta la Madonnina in trono da un lato e, dall’altro, la Presentazione di Gesù al tempio. 

È di fondamentale significato l’opera della Madonna dell’Idea di Michelino da Besozzo (1370-1455): una piccola tavola cuspidata che rappresenta la Madonnina in trono da un lato e, dall’altro, la Presentazione di Gesù al tempio

È tradizione che nella festa della giornata liturgica dedicata alla presentazione al tempio di Gesù, la “Candelora” o Festa della Luce - a quaranta giorni dal Natale - si svolga a Milano la processione che porta in corteo la Madonna attribuita a Michelino Da Besozzo. Anticamente la processione si svolgeva da Santa Maria Beltrade, una chiesa ormai scomparsa, fino alla chiesa che sorgeva al posto del Duomo, Santa Maria Maggiore. Quest’ultima - unica cattedrale - era ritenuta la basilica invernale, accanto a quella estiva di santa Tecla. La curiosa denominazione dell’opera può derivare, secondo gli studiosi, da un’antica tradizione pagana, poi cristianizzata, legata al culto di Cibele, la Magna Mater Idea, invocata per la “rinascita” primaverile. Oppure dalla parola greca che traduce il nostro vocabolo “immagine”.  Sempre suoi sono i dipinti per l’altare in Duomo dei santi Quirico e Giulitta e la vetrata per la stessa. Michelino da Besozzo è presente anche alla Bibiliothèque nationale de France - con l’opera miniata per l’Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti (1403) - e al Metropolitan Museum di New York con la pittura Sposalizio della vergine. Tra i primi scultori della veneranda Fabbrica fu Jacopino da Tradate, attivo nel corso del XV secolo nel cantiere del Duomo milanese, dove lasciò statue e rilievi. Nativo di Tradate, deceduto forse a Mantova nel 1465, si ispirò ai disegni di Michelino da Besozzo. Nel deambulatorio della cattedrale è presente un suo grande rilievo con la figura di Papa Martino V in trono, mentre al Castello Sforzesco è conservata una Madonna col Bambino. Si sa per certo che il figlio Samuele fu amico di Andrea Mantegna.

Due fondamentali cicli di Opere del Duomo milanese, importante nucleo pittorico del barocco lombardo legato alla Controriforma, sono dedicati rispettivamente alla Vita di San Carlo Borromeo (1602-1604) e ai Miracoli dello stesso (1610). 
Vi lavorarono con altri grandi, come Giulio Cesare Procaccini, due tra i migliori artisti provenienti dalle terre del Varesotto: erano il Morazzone, che operò col Landriani, e il Cerano. Pierfrancesco Mazzucchelli (1573-1626) originario di Morazzone, era artista dalla vita avventurosa, in parte simile a quella di Caravaggio. Che il nostro aveva probabilmente conosciuto nella bottega romana del Cavalier d’Arpino. Giovan Battista Crespi, nativo di Busto Arsizio (1573-1632) detto il Cerano, fu pittore, scultore e architetto. E, a sua volta, meraviglioso interprete delle richieste del cardinal Federico Borromeo - cugino di Carlo - che creò la Biblioteca Ambrosiana, poi la Pinacoteca e l’Accademia omonime. La loro presenza onora anche molte delle nostre chiese. In San Vittore di Varese, la bella basilica del capoluogo varesino - che mostra la facciata di Leopoldo Pollack sotto il campanile del Bernascone - sono presenti entrambi. Il Morazzone con la Maddalena trasportata in cielo (1611) - nella prima cappella della navata di sinistra - il Cerano con la Messa di San Gregorio (1615-1617) nella prospiciente cappella della navata di destra. Del primo è rimasta preziosa testimonianza di affreschi nella medesima chiesa e anche sulla via sacromontina. I Bertini, famiglia presente in Varese fin dal ‘500, saranno invece protagonisti in Duomo, dal 1827, nella realizzazione o nel restauro dei mosaici. I suoi rappresentanti furono Giovanni Battista, Giuseppe (1825-1898), e il fratello di questi, Pompeo- incaricato del riordino di alcune facciate. Giuseppe, allievo dell’Hayez, poi direttore della pinacoteca di Brera e del Poldi Pezzoli, fu il più varesino di tutti i Bertini. Vissuto non lontano dalla villa Ponti, che contribuì a decorare, realizzò tra l’altro il famoso affresco di Alessandro Volta, che presenta la pila a Napoleone e la statua bronzea dedicata a Dante Alighieri. A lui toccò la realizzazione dei tre imponenti finestroni “romani” di facciata del Duomo, con le vetrate di Sant’Ambrogio, San Carlo e San Michele. 

Era nato a Milano Lodovico Pogliaghi (1857- 1950). Ma fu poi varesino a tutti gli effetti, anzi sacromontino (dal 1910 circa), come attesta la casa-studio, oggi Museo Pogliaghi, costruita sulla via sacra. Artista e collezionista, nel 1894 fu richiesto dalla veneranda fabbrica per la realizzazione della porta centrale del Duomo, che lo avrebbe impegnato fino al 1908, illustrante, attraverso un ricercatissimo ed efficace gotico, la vita della Vergine. Dove seppe coniugare la preziosità dell’arte con le esigenze tecniche. Nel 1901 fu costretto a modificare il progetto iniziale dell’opera per adattarla al portale del Pellegrini. Copia in gesso della porta si trova nella casa museo sacromontina. L’arte varesina ci ha messo infine l’operosità e la faccia, ma soprattutto la competenza, anche per quanto riguarda lo splendido organo della cattedrale di Milano. Vi lavorarono per primi i Biroldi, capostipiti varesini di quell’arte organaria che importarono dalla Germania nel Settecento. In seguito, intervennero anche i Mascioni di Cuvio, era il 1938, che operarono con i Tamburini di Crema alla realizzazione del più grande organo su territorio italiano. Si può dunque dire che le note che salgono in Duomo, da uno dei più imponenti organi d’Europa e del mondo, siano in parte musica varesina. 

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