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Di nuovo "sotto"

Rieccoci. Sono bastate trenta-quaranta ore di pioggia, 300 millimetri di precipitazione - un episodio considerato non particolarmente eccezionale - per far tornare sott'acqua molti edifici, per interrompere strade e ferrovie, per creare devastazioni.
I commentatori intervenuti sulla stampa all'indomani del nubifragio del 3 maggio hanno messo in evidenza le cause di questo ennesimo disastro che ha colpito nuovamente la provincia di Varese:
- l'alternanza di periodi di siccità ad altri nei quali le precipitazioni si verificano in maniera violenta, con la conseguenza che il terreno, particolarmente quello in pendenza, resta esposto ai rischi di smottamento;
- l'eccessiva antropizzazione, che rende il suolo meno permeabile di un tempo. Sul banco degli imputati, la cementificazione o, in altri termini, la pianificazione urbanistica troppo "allegra" degli ultimi cinquant'anni almeno;
- la tendenza a far confluire nei corsi d'acqua anche masse idriche che non vi appartengono, come le acque depurate provenienti dai centri abitati e perfino le acque bianche, ingigantendo così a dismisura la portata di fiumi e torrenti fino a provocare la fuoriuscita dagli argini.
Sono tutte motivazioni fondate, che individuano cause probabilmente complementari tra di loro. Il problema è capire che cosa si può fare, partendo dall'individuazione di rimedi che siano "concretamente" attuabili. Sulle modificazioni del clima, infatti, è difficile intervenire. Difficile eppure non impossibile, se è vero che anche l'uomo ha una parte di responsabilità con i propri comportamenti, leggasi le emissioni in atmosfera. Ma difficile comunque, come dimostra la vicenda della ratifica dell'accordo internazionale di Kyoto. Per nulla agevole sembra anche affrontare la questione dell'eccessiva antropizzazione. Certo, si può agire sul futuro, ma è impensabile sul passato.
Resta la terza questione, quella della regolazione idraulica dei corsi d'acqua. Qui si può e si deve intervenire. Lo si può fare sul piano normativo, riconsiderando ad esempio quelle disposizioni che avevano previsto l'immissione nei corpi d'acqua più vicini degli scarichi civili e industriali depurati e delle acque di pioggia.
Poi, si possono completare le opere di rafforzamento degli argini che, a dire il vero, l'autorità pubblica ha realizzato, negli ultimi anni, lungo i corsi d'acqua più pericolosi che attraversano la nostra provincia. Ma non basterebbe. Il nubifragio del 3 maggio e quelli precedenti dimostrano che quando le precipitazioni sono intense i torrenti e i fiumi escono e "mettono sotto" tutto quello che trovano. E' accaduto anche quest'ultima volta, nelle vicinanze di corpi idrici già tristemente famosi ma anche in località solitamente non colpite.
E' l'ennesima riprova che i lavori fatti sugli argini, seppure importanti, non bastano e che occorre finalmente realizzare quegli interventi strutturali - progettati e finanziati da anni, con lavori iniziati e poi interrotti - finalizzati a controllare il deflusso e a regolare le piene. Quegli interventi "a monte" che prendono il nome di "casse di laminazione delle piene", di cui quella di Molini di Gurone avrebbe dovuto essere, ad esempio, la prima di tre lungo l'asta dell'Olona.
Le nuove amministrazioni pubbliche che usciranno dal voto del 26 e 27 maggio avranno anche questo importante compito: dare maggiore sicurezza ai cittadini di fronte alle avversità metereologiche facendo, subito, quello che si può "concretamente" fare. Senza aspettare un'altra alluvione.

05/09/2002

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