|
Guerre fuori e guerre dentro
L'attentato ai nostri soldati in Iraq ci ha fatto scoprire un paese migliore di come viene solitamente dipinto e di come noi stessi italiani ci dipingiamo.
Abbiamo scoperto la generosità verso il prossimo di cui molti di quei militari erano capaci, dentro e fuori i confini patrii.
Abbiamo assistito alla esemplare compostezza dei familiari che, più di ogni sondaggio, ha confermato il sentimento comune che la partecipazione delle nostre truppe alle missioni di pace, nel mondo, viene considerata una cosa buona e giusta. Anche il mondo politico, a parte qualche iniziale tentazione speculativa, ha dimostrato sostanziale compattezza, a questo proposito.
Abbiamo assistito ad una straordinaria, spontanea e sincera partecipazione della gente comune al dolore delle famiglie e - fatto, questo, da sottolineare - alle istituzioni, rappresentate in questo caso dalle Forze Armate.
Ci sono, in questi episodi, ingredienti che, senza retorica, portano a dire che siamo una grande nazione, un popolo forte.
E' un vero peccato, allora, dover constatare quanta debolezza procuriamo a noi stessi con l'essere sempre, dentro i confini della nostra patria, armati gli uni contro gli altri. Non mi riferisco, ovviamente, ai rapporti interpersonali, che appartengono alla sfera privata. Mi riferisco all'insieme delle relazioni che costituiscono la vita sociale e politica.
Nella sfera pubblica, siamo - è triste constatarlo - un Paese continuamente lacerato. Ed è di tutta evidenza che un Paese cui faccia difetto la compattezza non sia in grado di fare significativi passi in avanti.
Ci manca, indubbiamente, spirito di coesione e di concordia. Abbiamo invece, fin troppo, l'abitudine ad affrontare i problemi con un approccio ideologico, anziché pragmatico.
Un diverso atteggiamento, tuttavia, pur rivestendo molta importanza, non sarebbe di per sé sufficiente, come dimostrano del resto gli innumerevoli appelli delle più alte cariche dello Stato che cadono immancabilmente nel vuoto.
Il vero problema è di natura istituzionale. Abbiamo cioè creato un modello che, frammentando in misura pletorica il potere di decisione, fa sì che non si riesca più a prendere decisioni efficaci, tempestive, definitive, utili all'interesse generale.
La vicenda del Business Park da realizzare a Gallarate, lungo la superstrada 336 per Malpensa, rappresenta l'ennesimo episodio di quella confusione di poteri che sembra essere messa lì apposta per frenare ogni iniziativa.
Dalla scelta su dove localizzare impianti di produzione di energia o di smaltimento dei rifiuti, alla individuazione dei tracciati di nuove strade o ferrovie, fino alla posa della segnaletica stradale per indirizzare il traffico verso l'uno o l'altro quartiere di un medesimo comune (o di comuni vicini), tutto diventa materia per deliberazioni amministrative a difesa di interessi particolari, senza mai interrogarsi su quale sia l'interesse generale.
Quest'ultimo, in balia di poteri di veto che si incrociano e si elidono vicenda, resta l'eterna incompiuta di questo nostro Paese, che amiamo e che proprio per tale ragione, vorremmo fosse migliore, senza doverlo scoprire solo quando emergono, quasi sempre in tristi frangenti, i pregi e i valori personali dei suoi cittadini. Mauro Luoni
11/20/2003
|