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Sistema elettorale: opinioni a confronto

Varesefocus ha posto a due esperti politologi di opposti schieramenti, il professor Michele Salvati, ex deputato ulivista membro della commissione bicamerale per la Riforma Costituzionale, e il professor Giuliano Urbani ex ministro dei beni culturali e tra i fondatori della Casa delle Libertà, alcune domande riguardo al nostro sistema elettorale e un loro parere circa la necessità o meno di attuarne la riforma.

La crisi di Governo dello scorso 21 febbraio ha confermato che l’attuale sistema elettorale è debole e la sua riforma è tornata a essere considerata un’emergenza per il nostro paese. Condivide questo assunto o ritiene che il sistema elettorale non sia essenziale alla stabilità dei governi?
SALVATI - Sì, per il nostro paese la riforma è un’emergenza. La legge attuale è una “porcata” di per sé, secondo il riconoscimento esplicito del suo autore. Lo è a maggior ragione in un contesto di grande frammentazione dei partiti e di quasi equivalenza delle coalizioni. La riforma è essenziale e urgente.
URBANI - I sistemi elettorali hanno certamente notevole rilevanza sulla maggiore o minore stabilità politica di un Paese. Ma, se miriamo a una stabilità accompagnata da efficienza (che non sia quindi mera “staticità”), non dobbiamo nemmeno sopravvalutare la loro portata. Perché, prima delle regole elettorali, dobbiamo guardare ad almeno due fattori politico-culturali che contano ancor di più. Fattore numero uno: il grado di accettazione reciproca (o di reciproco rifiuto), fra i vari contendenti. Dove infatti l’accettazione reciproca è alta, si può avere stabilità politica anche con un solo voto di scarto in Parlamento. Dove questa è invece bassa o inesistente, non ci sarà mai alcun premio di maggioranza capace di tranquillizzare gli animi… Fattore numero due: la maggiore (o minore) unità di utenti, esistente all’interno della coalizione parlamentare di chi è chiamato a governare. E basta poi, purtroppo, per vedere come su entrambi i punti nel nostro Paese siamo messi maluccio da sempre. E allora, è proprio da questo che discende la nostra cronica “instabilità”, di fronte alla quale non esistono miracoli di sorta!

Il processo dal proporzionale al maggioritario non ha finora portato ai risultati sperati e c’è chi ritiene che sia il caso di tornare al proporzionale. Che ne pensa?
SALVATI - Sarebbe una iattura se si tornasse al proporzionale senza premi di coalizione, perché con questo sistema è difficile l’alternanza, il ricambio del ceto politico al governo. Un Governo che ha mal governato deve essere facilmente ricambiabile dai cittadini e questo è possibile con il sistema maggioritario, dunque con l’uninominale o con un proporzionale con premio di maggioranza. Tra molti politici e anche nel mondo degli affari è opinione diffusa che il proporzionale serva per disfarsi del potere di ricatto delle “ali” più estreme. Ci sono però altri modi per farlo e poi non è affatto detto che un grande centro, o un centro che si allea ora a destra e ora a sinistra, faccia le riforme liberali di cui abbiamo bisogno. A mio avviso è preferibile il maggioritario per ragioni di democrazia, ma anche di efficacia economica.
URBANI - Andare “avanti e indré” fra maggioritario e proporzionale non può risolvere molto. Dal ’92 in poi l’abbiamo fatto più volte, ma il risultato è sempre lo stesso: alti rischi di instabilità, causati sempre e puntualmente dalla eccessiva frammentazione in partiti, partitini e gruppetti di ogni tipo. In conclusione: o riduciamo questa frammentazione (e lo si può fare sia con sistemi maggioritari - Francia o Inghilterra - sia con sistemi proporzionali - Germania o Spagna, ma sempre e soltanto rispettando i due fattori appena ricordati), o la malattia resterà sempre la stessa.

Uno strumento classico e semplice per assicurare stabilità di governo è la quota di sbarramento. Tenendo conto delle esperienze di altri paesi democratici, quale pensa potrebbe essere, in astratto, una soglia utile allo scopo, ma che non comprima più di tanto l’esigenza di rappresentanza politica delle minoranze?
SALVATI - Il problema nostro è che è difficile far passare una soglia ragionevolmente alta. La Germania ha una soglia del 5% che ritengo adeguata. Ma le soglie di sbarramento servono a poco se non sono accompagnate da leggi che impediscono che le liste che si sono presentate alle elezioni unite non tornino poi a dividersi in Parlamento.
URBANI - In astratto, si dovrebbe pensare a una “soglia” (fra le mille varianti tecniche a disposizione…) che riduca i partiti in Parlamento a non più di cinque - sei unità.

Ritiene sia realistico pensare che nel nostro paese si possa adottare una soglia di sbarramento più alta di quella attuale?
SALVATI - Nelle attuali circostanze, la soglia del 2% è realistica ma non efficace. Quindi anche se è difficile far passare una soglia più alta di quella attuale, ad esempio il 4 o 5%, bisogna provarci. Sempre se si ha la forza di fare delle leggi che impediscano la successiva separazione in Parlamento dei partiti che si erano presentati uniti per superare la soglia.
URBANI - No, purtroppo, non lo ritengo affatto realistico. Se non a una condizione tanto precisa, quanto difficile da realizzare: che i partiti più grandi (più rappresentativi) si mettano d’accordo fra di loro per sfavorire quelli più piccoli (cioè meno rappresentativi). Premessa e giustificazione: che in Parlamento non si va per rappresentare interessi settoriali, ma tutto al contrario per l’esigenza di produrre beni pubblici (o collettivi o nazionali, che dir si voglia) per il Paese. Non i mille particolarismi d’ogni tipo, ma solo e soltanto gli autentici interessi nazionali più rilevanti.

Se è difficile innalzare la soglia di sbarramento, quali altri accorgimenti si possono adottare?
SALVATI - Ce ne sono tantissimi, tutto il ventaglio delle leggi elettorali. Ad esempio l’uninominale a un turno, che era la proposta del referendum del ’99 e che non raggiunse la metà degli aventi diritto per poche centinaia di migliaia di voti. Oppure l’uninominale a doppio turno: tutti e due i sistemi non esigono soglie e hanno forti effetti maggioritari. Anche un proporzionale alla spagnola, che funziona su circoscrizioni molto piccole e senza recupero dei resti, potrebbe andare: oltretutto la Lega lo tollererebbe e Mastella pure. Questo sistema ha buoni effetti maggioritari, senza bisogno di soglie, e consente di salvare partiti piccoli ma molto radicati in specifiche realtà territoriali. Ma i partiti piccoli e non radicati territorialmente si oppongono. I sistemi non mancano dunque: solo che i partiti piccoli non li vogliono e questi sono essenziali per la tenuta delle attuali coalizioni. C’è un’ulteriore difficoltà per fare un lavoro ben fatto. Occorrerebbe anche una revisione costituzionale su almeno un punto: l’eliminazione dell’attuale bicameralismo perfetto e la trasformazione del Senato in una Camera delle autonomie territoriali, spogliandolo del potere di concedere e revocare la fiducia al governo. Ma questo allungherebbe di molto l’iter parlamentare e l’opposizione non vuole concedere all’attuale governo tempi così lunghi.
URBANI - Anche in questo caso si potrebbero introdurre molte innovazioni utili, ma non le menziono nemmeno perché sono tutte ricomprese nell’ipotesi appena adombrata.

Se la riforma elettorale non dovesse essere fatta entro breve tempo e il governo Prodi dovesse andare ancora sotto su grossi problemi, cosa succederebbe secondo lei?
SALVATI - Se il governo Prodi non dovesse reggere, è probabile che Napolitano favorirebbe la formazione di un governo istituzionale con la missione di riformare la legge elettorale, perché sarebbe inconcepibile andare subito alle elezioni con questa. Ma alla legge elettorale sarebbe opportuno collegare una riforma costituzionale e allora i tempi si allungherebbero: il governo istituzionale dovrebbe anche fare la prossima finanziaria, se Prodi cadesse prima. Fare una finanziaria “bipartisan” non è però molto agevole, per usare un eufemismo. Insomma, l’intreccio si infittisce e fare previsioni diventa molto difficile.
URBANI - Certo, per un pieno rispetto dei patti elettorali, l’esistenza di regole coerenti e cogenti potrebbe aiutare non poco. Ma in politica (e soprattutto in democrazia) il primo e fondamentale “aiuto” dipende sempre dal rapporto di fiducia che si stabilisce con gli elettori. Infatti, quando un patto è realmente condiviso e apprezzato da costoro, finirà sempre per rappresentare un vincolo forte e vincolante per tutti. Altrimenti, comunque congegnato dal punto di vista giuridico, sarà ben presto condannato a finire in… carta per il cestino.

04/06/2007

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