Cosa manca alla Varese 4.0

L’Italia manifatturiera, e con essa i territori a maggiore vocazione industriale come la provincia di Varese, oggi sono schiacciati da due fronti competitivi. Da una parte l’obiettivo dell

L’Italia manifatturiera, e con essa i territori a maggiore vocazione industriale come la provincia di Varese, oggi sono schiacciati da due fronti competitivi. Da una parte l’obiettivo della Germania di preservare i propri primati produttivi facendo dello sviluppo dell’Industria 4.0 una priorità nazionale. Dall’altra c’è la terza forza manifatturiera d’Europa dopo lo Stivale, la Francia, che vorrebbe prendere il posto del nostro Paese al secondo gradino del podio, facendo leva sempre sulla digitalizzazione delle fabbriche.

Promossi nella copertura di banda larga, nei brevetti e nel numero di addetti medium e high tech. Bene, ma non benissimo, nella formazione scientifica e alla voce smart city. Bocciati nelle startup. Una pagella per capire dove il territorio deve migliorare per vincere la sfida digitale

Obiettivi dichiarati. Messi nero su bianco in piani di politica industriale già approvati dai governi di Berlino e Parigi. È anche su questi due fronti (francese e tedesco) che si gioca la costruzione di quello che il Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Riccardo Comerio, ha ribattezzato “Manifatturiero Contemporaneo”. Quel traghettamento del sistema produttivo varesino verso l’industrializzazione digitale. Un passaggio che non è solo tecnologico, ma prima di tutto culturale. Un passaggio che coinvolge più di un aspetto del fare impresa: le attività di innovazione e ricerca, certo. Ma anche quelle legate al mercato del lavoro, alla formazione, al commerciale. Industria 4.0 è un termine di moda, forse fin troppo abusato. E come frequentemente avviene le parole ripetute spesso, troppo spesso anche a vuoto, rischiano di perdere i precisi contorni del loro vero significato. Da qui l’esercizio che ha voluto fare Varesefocus: cercare di capire la distanza che divide Varese dagli attuali blocchi di partenza all’arrivo di un’industria e un territorio che possano definirsi 4.0. Come riuscirci? Per esempio analizzando alcuni dati raccolti dall’Ufficio Studi dell’Unione Industriali per dare il senso del posizionamento di Varese in questa competizione nazionale e continentale. Nessuna pretesa di analisi fatta con tutti i crismi econometrici. Semmai la voglia di mettere in ordine alcuni numeri che a volte sono stati rapportati alla media nazionale italiana e altre alla media tedesca presa come benchmark di riferimento per ambire alle posizioni più alte, da “Champions League” del manifatturiero europeo. Quelle a cui Varese si è giustamente sempre ispirata e rapportata essendo la nostra l’11esima area industriale del continente (come certifica Fondazione Edison).

BANDA LARGA – “Siamo da podio”. L’analisi parte da un primo dato fondamentale e positivo. Quello della diffusione della banda larga dove la provincia Varese risulta essere completamente coperta, tanto che a questa voce la classifica sulla qualità della vita de Il Sole 24 Ore ci ha posizionato al terzo posto, subito dietro Milano e Monza-Brianza. Ciò, anche grazie alla presenza sul territorio di un importante operatore come Eolo. Perché è anche il radicamento di aziende leader a fare la diffe-renza competitiva alle singole voci.

Varese conta 130,5 brevetti europei per milione di abitanti contro una media lombarda di 93,7 e quella nazionale di 60,2. Di 226,1 il dato tedesco

BREVETTI – “Leader in Italia, ma la Germania è ancora lontana”. Non di sola connessione vive però l’innovazione delle imprese. Altro parametro per misurare la tendenza al nuovo è quello dei brevetti europei. Varese ne conta 130,5 per milione di abitanti contro una media lombarda di 93,7 e quella nazionale di 60,2. Sul confronto nazionale siamo dunque ben piazzati, ma se il raffronto viene fatto con la Germania paghiamo uno scotto non indifferente. Le imprese tedesche, infatti, viaggiano ad una media di 226,1 brevetti europei per milioni di abitanti, quasi il doppio. Stesse proporzioni valgono per i brevetti legati ad applicazioni high-tech. Il dato varesino di 10,7 per milione di abitanti supera abbondantemente il dato lombardo di 7,6 e quello italiano di 4,9, ma è un terzo della media tedesca di 30.

ADDETTI HIGH E MEDIUM TECH – “Bene, ma dobbiamo meglio distribuire le competenze”. Meglio va il raffronto Varese-Germania per quanto riguarda la percentuale di addetti del sistema manifatturiero impiegati in settori medium e high-tegh. La percentuale varesina è pari al 42% del totale, contro il 36% lombardo, il 32% italiano e il 49% tedesco. Siamo indietro rispetto a Berlino, dunque. Ma di poco. Superiamo, invece, il dato tedesco se ci concentriamo sulla sola voce high-tech dove Varese impiega il 12% dei propri addetti manifatturieri contro la media della Germania del 7%. Il problema qui non è tanto la media, ma il grado di diffusione di questa capacità di lavoro in settori ad alto o medio contenuto tecnologico. Nel senso che il buon posizionamento varesino è frutto della concentrazione di molti addetti in poche grandi realtà aziendali di punta della nostra industria. Da qui la sfida di spalmare queste competenze anche nel tessuto delle piccole e medie imprese. Come? Per esempio attraverso i Cluster tecnologici e i progetti di formazione.

La percentuale varesina di lavoratori impiegati in settori medium e high tech è pari al 42% del totale, contro il 36% lombardo, il 32% italiano e il 49% tedesco

FORMAZIONE SCIENTIFICA – “Siamo in mezzo ad un guado”. E qui arriviamo proprio ai dati relativi al sistema scolastico ed universitario, bacino da cui le imprese possono attingere per accrescere il proprio know how. Negli ultimi anni il 33% dei neolaureati residenti sul territorio è uscito da facoltà scientifiche. In pratica lo stesso dato della media lombarda e appena superiore a quella nazionale del 31%. Rimane, però il fatto che in Lombardia scienziati ed ingegneri rappresentano il 4,7% della popolazione in età lavorativa, contro una media tedesca del 7,2%.

STARTUP – “Si può fare di più”. La voce startup è la più penalizzante per Varese. Quelle innovative iscritte e riconosciute come tali dal Registro imprese sono sul nostro territorio 31, ossia il 3% rispetto alla popolazione residente, contro il 15% lombardo e l’11% nazionale (impossibile fare un raffronto statisticamente valido di questa voce con la Germania che usa altri parametri di definizione). Varese, in pratica, su questa voce arriva 57esima nella classifica delle province italiane. Un dato negativo non tanto sul versante occupazionale. Non è con le startup che si recuperano posti di lavoro. Lo dimostrano alcuni recenti dati del Ministero dello Sviluppo Economico che evidenziano come ogni startup innovativa italiana occupi in media solo 3 persone. Il problema è semmai quello di una sensazione di perdita sul territorio di quella tensione all’intraprendenza e al nuovo, da parte soprattutto dei più giovani, a cui solo poche realtà in via di affermazione riescono a fare eccezione. Casi recenti di successo made in Varese, legati alla LIUC – Università Cattaneo, come ZzZleepandGo (i moduli per dormire in aeroporto) o Friendz (l’app che trasforma i singoli consumatori in testimonial social dei brand), rappresentano delle buone notizie, ma non bastano.

SMART CITY INDEX – “Manca capacità di pro-grammazione”. Ma la sfida digitale non coinvolge solo le imprese e il tessuto economico-imprenditoriale. Ad essere pre-so in carica è tutto il territorio e le sue città. Un territorio 4.0 non ha bisogno solo di fabbriche intelligenti. L’aumento dell’intelligenza digitale deve riguardare anche edifici, strade, parcheggi, viabilità e servizi di pubblica amministrazione. In due parole: smart cities. L’Internet of Things applicato alla vita di tutti i giorni, di tutti i cittadini. Anche su questo terreno si giocherà sempre di più in futuro la capacità attrattiva e competitiva dei territori. Come si piazza Varese in questa classifica? Bene, ma non benissimo secondo lo Smart City Index elaborato di recente dal Ernst & Young sulla base di alcune voci quali le infrastrutture di rete, la sensoristica, i servizi e la visione strategica di 116 capoluoghi italiani. Risultato per Varese: posizione medio-alta, 34esima (eravamo 42esimi nel 2014). Positivo è comunque il fatto che i ricercatori reputino Varese un comune di prima fascia in quasi tutte le voci che compongono l’indice generale. Negativo è invece il fatto che l’unica voce in cui Varese sia fuori dai primi della classe sia la “Visione strategica”, dove scivoliamo in seconda fascia. Manca una capacità di programmazione territoriale. Procediamo solo per singole fughe in avanti.

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