L’AI è una filiera industriale

Dietro agli sviluppatori dell’Intelligenza Artificiale come ChatGPT o Google esiste una vera e propria industria, quella che costruisce l’elemento fondamentale della rivoluzione che sta cambiando le nostre vite e in cui siamo sempre più immersi: i data center

‘‘La prima questione da inquadrare è che l’Intelligenza Artificiale è, prima di tutto, una filiera industriale, comandata a livello globale da un’azienda: Nvidia”. Alessandro Aresu è Consigliere scientifico di Limes, la Rivista Italiana di Geopolitica per la quale segue i temi della geotecnologia da ormai più di 10 anni. Tra il 2021 e il 2022 è stato anche consigliere del Premier Mario Draghi, ha un’esperienza di oltre 12 anni nelle istituzioni e ha recentemente pubblicato il libro “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”, giunto alla quinta edizione e finalista del Premio Strega Saggistica. Una pubblicazione che parte da una considerazione di base, come spiega lui stesso a Varesefocus, durante un’intervista in preparazione di un incontro con le imprese associate a Confindustria Varese: “La gente pensa che l’AI sia fatta da persone dietro un computer, che sviluppano dei programmi. La risposta a un tale stereotipo l’ha data qualche settimana fa Jensen Huang (co-fondatore, Presidente e Ceo di Nvidia, imprenditore statunitense di origine taiwanese, ndr) mostrando il server con cui viene sviluppata l’AI, costruito con 1,2 milioni di componenti e dal peso di 1.800 kg”.

Cosa significa questo?
Significa che stiamo sottovalutando quanto questa sia la fase storica dell’informatica a più alta intensità manifatturiera. Un qualcosa di mai visto prima. Ed è proprio per questo che la Cina e Taiwan sono così forti e in una posizione di vantaggio. Perché sono ecosistemi di manifattura avanzata.

La Cina nella gara dello sviluppo dell’AI è, dunque, favorita rispetto agli Stati Uniti?
Sì, ha un vantaggio competitivo sull’aspetto manifatturiero e sulle sue applicazioni, perché quello che è avvenuto in Cina negli ultimi anni in termini di formazione del capitale umano e crescita della capacità manifatturiera è un qualcosa di colossale. Però negli Usa ci sono i clienti delle aziende manifatturiere dell’AI. Basti pensare che le varie aziende taiwanesi hanno come loro principali clienti diretti realtà come Nvidia, Amd (Advanced Micro Devices), Apple, Qualcomm. E, indirettamente, Microsoft, Google, Amazon. Gli Usa hanno quei grandi capitali che poi si traducono nella capacità di attrazione di investimenti anche manifatturieri che stanno infatti avvenendo. In prevalenza proprio da parte di aziende di Taiwan o di quelle legate alla filiera di Nvidia.

Quindi stanno recuperando terreno.
Il problema però, per gli Stati Uniti, è rappresentato dalla forza lavoro manifatturiera. Il numero di persone che studiano materie ingegneristiche che servono alle operazioni manifatturiere o alle fabbriche (ingegneria meccanica, elettronica, chimica) è esiguo rispetto alle esigenze della filiera americana. Così come quello dei tecnici specializzati. Notoriamente la formazione professionale negli Stati Uniti non è al livello dei Paesi leader europei come Germania o Austria. Sono questioni di cui negli Usa si parla da molti anni, in modo costante dai tempi di Obama, senza mai risolverle. Da poco è uscito un libro che ha ulteriormente alimentato questo dibattito, si intitola “Apple in China”. Dove si cita il numero di lavoratori cinesi per cui Apple ha fatto formazione professionale dal lancio dell’iPhone. Sono 28 milioni. Poi ci sono i cinesi formati dai fornitori di Apple, di cui non conosciamo il numero esatto, ma stimabili in altri 22 milioni. Un totale, dunque, di 50 milioni di persone. Cifre talmente elevate da essere superiori all’intera forza lavoro dell’Italia. È difficile anche solo capire cosa siano diventate le supply chain elettroniche di queste potenze industriali, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Qual è?
La Cina è partita fabbricando gli iPhone, acquisendo quelle competenze con cui oggi è diventata leader mondiale delle auto elettriche e che adesso sta impiegando nell’Intelligenza Artificiale. Sono sempre gli stessi protagonisti. Pensiamo a Huawei o a Xiaomi.

E gli Usa stanno a guardare?
Gli Stati Uniti sono il più grande attrattore di capitale umano. Tra indiani e cinesi si contano 600mila studenti universitari in America. Anche in questo caso parliamo di un potenziale significativo, di ragazze e ragazzi che rappresentano i ricercatori del futuro delle aziende tecnologiche. Trump dovrebbe pensarci bene. Se le Università statunitensi decidono di non attrarre più questi studenti, avremo presto la risposta su chi, tra Stati Uniti e Cina, vincerà la gara per la supremazia tecnologica nel mondo.

Una lezione anche per l’Europa.
Oggi e domani le persone e i cervelli decideranno di stabilirsi in quelle aree dove è più facile fare impresa. È in questo che si deve investire. È un elemento decisivo su cui è essenziale che la Ue inverta la tendenza. Da ultimo sono le risorse umane a rappresentare le capacità delle aziende. I Ceo di Google o Microsoft non sono mica nati in Ohio, ma in India. Ci giochiamo moltissimo del nostro futuro sull’attrazione delle persone e sulla formazione continua.

Perché nel suo libro parla così tanto di Nvidia?
È una vicenda complessa. L’AI in termini scientifici esiste dagli anni ‘50, il termine è stato inventato nel 1955. Si parla di robotica, di programmi per il riconoscimento delle immagini e di generazione di testo da molto tempo. Ma non si era mai arrivati a prodotti attendibili e interessanti da un punto di vista commerciale. Negli ultimi anni, invece, realtà come Google e OpenAI sono riuscite, con i loro prodotti, a creare questi mercati. Lo sappiamo tutti e le conosciamo. Ma in realtà, dietro le quinte, esiste solo un’azienda che ha preparato, negli anni passati, quella filiera industriale pronta a scattare al momento giusto, quello in cui centinaia di milioni di persone sarebbero state disposte a pagare per avere un programma di generazione di testi. L’azienda che 15 anni fa ha capito e ha avuto questa lungimiranza è Nvidia. È questa l’unica azienda al mondo che ha saputo prevedere un decennio fa il mercato in cui viviamo da fine 2022. Ed è su questo che ha scommesso più di 10 anni fa, spostandosi dal suo business originale delle schede grafiche per i videogiochi e costruendo non un “chip” ma un “sistema”. Ora è il suo momento. È la capo filiera indiscussa dell’Intelligenza Artificiale. Comanda lei. Una storia imprenditoriale pazzesca, che continuerà a essere sfidata dai suoi clienti e concorrenti.

Quali sono i numeri di questo successo?
Il segmento dei data center rappresentava nel 2010 per Nvidia 20 milioni di ricavi, nel 2015 200 milioni, nel 2024 è arrivato a 100 miliardi. L’azienda esiste dal 1993, aveva già una sua identità precedente. Non si può capire fino in fondo l’Intelligenza Artificiale se non si studia con molta attenzione l’evoluzione di questa azienda, attraverso il mio libro che l’ha descritta in profondità e collocata dentro le tendenze economiche e politiche che contano per capire il mondo oggi. Poi certo, ci sono anche i contributi scientifici, il genio commerciale di ChatGPT. Ma tutto dipende dalla filiera industriale dei data center.

In questo scenario come si colloca L’Europa?
Non è messa bene, all’interno del declino generale di questi 25 anni del nuovo millennio. Le capacità in questo settore dipendono dalla presenza di ricercatori specializzati. Informatica, ingegneria chimica, ingegneria meccanica, ingegneria elettronica, se non hai competenze in queste discipline non puoi fare nulla con l’AI e non puoi dare vita alla filiera industriale necessaria per svilupparla nei modelli e nei prodotti finali. E noi questi ricercatori non li abbiamo e i pochi, una volta laureati, fuggono in America. Ciò sta creando un divario enorme di capitale umano. Oltre al fatto che spesso la regolamentazione europea colpisce l’industria chimica, su cui invece abbiamo ancora asset importanti. E poi sottovalutiamo un altro aspetto.

Quello delle risorse economiche?
C’è anche quello, ma a ciò si lega il fatto che per far funzionare i data center l’aspetto energetico è fondamentale. Non si possono alimentare a pannelli solari. Serve elettricità stabile 24 ore su 24. Chi è avvantaggiato oggi in Europa è chi ha l’energia nucleare ed è per questo che la maggior parte degli investimenti in data center viene fatto in Francia.

Il nostro Paese è già tagliato fuori?
L’Italia può competere su specifici sviluppi. Meno forse sugli LLM (Large Language Model), ma sulla robotica sicuramente sì. Nel nostro Paese abbiamo, per esempio, importanti capacità di calcolo. Il problema è che oggi non sono abbastanza a servizio delle imprese, rimangono ancora troppo dentro i centri di ricerca. Deve esserci uno sforzo comune pubblico-privato per una maggiore contaminazione e apertura a singole aziende o consorzi di imprese.

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