Non è solo questione di bontà. Quello del volontariato è un mondo in profonda trasformazione che solo in provincia di Varese conta almeno 2mila realtà tra organizzazioni di promozione sociale e attività sportive dilettantistiche

Buoni non solo a Natale: sono i volontari, spesso definiti “esercito” silenzioso, portato agli onori delle cronache quando scoppia un’emergenza, ma che lavora incessantemente tutti i giorni, nei più diversi contesti. Se questa è l’immagine che più facilmente viene alla mente, sentendo la parola volontario, bisogna poi fare i conti con un mondo molto più complesso per forme organizzative e finalità. Un mondo che, oltretutto, sta cambiando pelle.

Le cifre 
I numeri ci dicono che in Italia i volontari sono quasi 7 milioni, ovvero circa un italiano su otto svolge attività gratuite a favore di altri o della comunità in cui risiede. Per quanto riguarda la Lombardia, le cose vanno ancora meglio: un lombardo su sette è impegnato in attività di volontariato e uno su cinque versa finanziamenti ad associazioni che si occupano di sociale. La provincia di Varese non è da meno con oltre 2000 realtà (tra organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, realtà sportive dilettantistiche) iscritte ai diversi registri. Numeri che fanno i conti non solo con la mancanza di un censimento recente, ma anche con l’impossibilità di cogliere appieno il fenomeno. Non tutte le realtà, infatti, sono iscritte a un registro e non tutti i volontari sono a loro volta censiti o inseriti in apposite banche dati. Di certo il fenomeno è anche maggiore rispetto alle stime ufficiali e i numeri rappresentano solo una parte di un mondo più ampio. 

Si fa presto a dire volontariato  
Quel che colpisce, quando si parla di volontariato, è però la grande varietà di forme organizzative e di finalità che esso persegue: in tutti i casi i denominatori comuni sono gratuità e servizio. Poi ognuno sceglie la strada che più gli si addice. Ma diciamolo subito: i volontari non gradiscono essere chiamati “eroi” o “angeli” e non si riconoscono nell’eccezionalità, ma piuttosto in un modo di essere. 
Ci sono volontari all’interno di organizzazioni di volontariato, ma anche di associazioni di promozione sociale, di cooperative e fondazioni, persino dentro le cosiddette imprese sociali possono esserci volontari; poi ci sono coloro che operano a titolo gratuito al di fuori di contesti organizzati o in maniera trasversale rispetto ad essi, basti pensare alle parrocchie, ai grandi eventi sportivi o a manifestazioni come Expo. Solidarietà e sussidiarietà escono così dalla nostra Carta Costituzionale e si declinano nella vita di tutti i giorni: dai classici settori socio-sanitari e assistenziali, al prendersi cura delle fragilità degli anziani, fino ad arrivare all’aggregazione dei giovani e alle attività di tipo culturale. Ancora i numeri (dati: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) ci vengono in aiuto per dire che, se guardiamo al mondo delle organizzazioni ed associazioni, la fetta maggiore delle realtà opera nel settore dell’assistenza sociale (32%), seguita dalla sanità (25,3%), da cultura sport e ricreazione (14,1%), dalla protezione civile (8,4%) e dall’ambiente (7,9%), con un residuo di altri e vari settori (12,4%). Una composizione che possiamo ritenere identica anche a livello territoriale: assistenza sociale e sanità, infatti, la fanno da padroni nel dare risposte a quelli che da sempre sono i bisogni più urgenti espressi a livello sociale. E tuttavia cultura, sport, ricreazione prendono una discreta fetta accanto a “settori vari” in cui ricadono ad esempio tutti gli ambiti di tutela dei diritti ed advocacy. Questo dice che il volontariato che porta aiuto convive con quello che promuove partecipazione, aggregazione e cittadinanza. La somma di tutto ciò? Si chiama “coesione sociale” ovvero una specie di collante che quando c’è, come nel caso del Varesotto, si sente e fa la differenza anche nei momenti di crisi. 

I numeri ci dicono che in Italia i volontari sono quasi 7 milioni, ovvero circa un italiano su otto svolge attività gratuite a favore di altri o della comunità in cui risiede

Cambio di pelle e una marcia in più...
Quella che abbiamo di fronte è la galassia del non profit fatta di realtà aggregative differenti per natura giuridica e che dovremo abituarci a chiamare Ets (Enti di Terzo Settore) così come vuole la riforma varata l’anno scorso che, tra le altre cose, ha cancellato l’acronimo Onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) che per tanti anni abbiamo usato e sentito utilizzare per indicare, in maniera non proprio corretta, il volontariato. Di certo quello che gli Ets avranno in comune saranno due elementi: avere al loro interno dei volontari e perseguire finalità sociali. Ma a determinare il cambio di pelle non è solo quello che è scritto nella legge che, come spesso accade, ha colto un cambiamento in atto. Il volontariato inoltre oggi è sempre più un contesto dove ci si mette alla prova, si sperimenta e si acquisiscono competenze. I giovani, e non solo loro, attraverso una esperienza di volontariato acquisiscono capacità, sperimentano modalità simili a quelle lavorative, fanno i conti con relazioni complesse, imparano a gestire rapporti, tempo e anche denaro, quando hanno a che fare ad esempio con raccolte fondi o con l’organizzazione di eventi benefici. In questa direzione vanno le esperienze di volontariato sostenute dalle istituzioni non solo a livello nazionale (Servizio Civile Universale, anch’esso appena ridisegnato dalla riforma di luglio), ma anche a livello europeo. Non è un caso che la Commissione europea da decenni sostenga programmi come lo Sve (Servizio Volontario Europeo), chiamato da molti l’Erasmus del volontariato. Attraverso questo programma di mobilità internazionale i ragazzi possono compiere esperienze di volontariato all’estero, conoscendo nuove culture, ma anche vivendo un anno fuori casa immersi in un contesto in cui devono mettersi in gioco all’interno di organizzazioni che operano in diversi campi. 
Il volontariato, in altre parole, non è solo una occasione per dare aiuto, un modo per soddisfare bisogni o un contesto di attivazione della cittadinanza, ma è anche un “luogo” di crescita. Dove si imparerà sempre più, tra le altre cose, che per fare del bene oltre al cuore occorrono professionalità, conti in ordine e trasparenza. 

La riforma in pillole

La legge 106/2016 ha dettato le nuove regole per il non profit, mandando in pensione una serie di atti legislativi che si erano letteralmente accumulati nel corso degli anni, creando sicuramente un po’ di confusione. Al varo della legge di riforma hanno poi fatto seguito altri cinque provvedimenti dedicati al Servizio Civile Universale, al Cinque per Mille (che viene stabilizzato), all’Impresa Sociale, alla costituzione della Fondazione Italia Sociale e al cosiddetto Codice del Terzo Settore, che è il più corposo e ricco tra tutti i provvedimenti in questione. Vale la pena sottolineare che la normativa tocca molti aspetti come ad esempio quelli legati alla disciplina dei Centri di Servizio per il Volontariato (Csv) istituiti a livello territoriale. Si allarga l’insieme delle attività definite di interesse generale, ovvero di quelli che sono riconosciuti come ambiti di intervento accanto a quelli tradizionali. Si parla inoltre di Via (Valutazione di impatto ambientale), finanza etica, social bond e social lending.
Anche se mancano ancora diversi decreti attuativi per dare gambe a tutti i provvedimenti, una cosa è evidente: l’obiettivo è stato quello di mettere ordine e di garantire trasparenza, aiutando anche a sburocratizzare alcuni aspetti legati alla vita delle associazioni stesse. 

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