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“Il 40% dei viaggiatori internazionali che vengono in Italia per una motivazione di cultura, ha una spesa media una volta e mezzo superiore a quella di chi arriva in visita spinto da altre ragioni”

Con il temine “mecenatismo” si definisce il sostegno e la promozione di attività artistiche e culturali e, più nello specifico, degli stessi artisti coinvolti in suddette attività. Ma nel XXI secolo i moderni mecenati, a differenza dei predecessori romani del 60 a.C., non si “limitano” a promuovere, favorire e sovvenzionare “uomini di cultura”. Nel corso dei secoli, il mecenate ha finito per assumere aspetti e connotazioni differenti. Negli ultimi anni, si è sempre più identificato nella figura dell’imprenditore che sponsorizza eventi, manifestazioni e organizzazioni artistiche o culturali. Fino ad arrivare ai cosiddetti “mecenati d’impresa”, finanziatori di iniziative imprenditoriali con caratteristiche innovative e rischiose.
Chi sono, dunque, i moderni mecenati? Ma soprattutto quanto conta la cultura come volano per lo sviluppo di benessere? A dare un quadro dell’industria culturale italiana è Renzo Iorio, Presidente del Gruppo Tecnico Sviluppo e Cultura di Confindustria, che ha risposto ad alcune domande e a qualche piccola provocazione.

Quanto è importante la cultura come strumento di sviluppo e creazione di benessere?
Fondamentale. I dati che confermano questa percezione sono gli indicatori di consumo culturale nazionale, ovvero quanto la popolazione acquista libri, va a teatro, visita musei. Se confrontiamo le cifre italiane con la crescita del Pil, il principale indicatore dello sviluppo di un paese, notiamo una netta correlazione tra i valori di sviluppo e i consumi culturali. La capacità di innovare che un paese ha è figlia del livello culturale della popolazione che vi risiede. È anche vero che, in genere, i consumi culturali sono più forti ed accentuati dove queste risorse sono più scarsamente presenti. In altre parole: più un patrimonio è raro e più è apprezzato e, di conseguenza, valorizzato. Paesi come l’Italia, in cui la ricchezza culturale è diffusa ed è percepibile, finiscono per avere una minore consapevolezza diffusa di quanto questa sia importante. Soprattutto perché viene considerata come un dato di fatto e non una necessità da conquistare. Di contro vivere in mezzo alla cultura e assorbire questa creatività credo siano una parte estremamente importante del successo e della qualità del Made in Italy. 

“Tutti i prodotti del Made in Italy devono parte del loro successo sui mercati internazionali ad un contributo decisivo della cultura italiana e alla capacità di attrazione che essa ha nel mondo”

Quanto fa da traino la cultura in termini non solo di Pil ma di appeal per il made in Italy?
Credo che tutti i prodotti del made in Italy tradizionale, dall’arredo alla moda, debbano parte del loro successo sui mercati internazionali ad un contributo decisivo della cultura italiana. Nessuno si sogna di spostare dalla penisola italica e dai suoi elementi culturali, marchi e sedi produttive. Il nostro vantaggio è una cultura molto diffusa, nella quale anche paesaggio e cibo sono parte 
integrante di un ampio tessuto che rende l’Italia attrattiva. Questo è l’aspetto che fa da motore. Lo dimostra il fatto che il 40% dei viaggiatori internazionali che vengono nel nostro Paese per una motivazione di cultura, abbia una spesa media una volta e mezzo superiore a quella di chi viene in visita per altri motivi.

Quando la cultura diventa uno strumento di crescita e sviluppo economico del territorio? 
Quando è cultura originale, che ha radici in quel territorio e riesce ad esserne l’espressione e a rappresentarlo. Trovo interessante l’esempio del settore della moda, in cui inizialmente la fama di un marchio era legate allo stilista. Ora, dopo il fenomeno introdotto da Brunello Cucinelli (casa di moda italiana fondata dall’omonimo imprenditore, nota per la produzione di maglieria in cashmere, nata nel borgo di Solomeo ndr.), risulta essere più importante l’elemento del legame con il territorio. Lezione incoraggiante per un Paese come il nostro, che si deve porre il tema della prospettiva di crescita economica attraverso un modello diverso dall’industrializzazione post bellica. Oggi il modello di crescita è molto più diffuso sui territori. 

L’Italia investe abbastanza in cultura?
No, nel senso che ci sono scarsa consapevolezza e insufficienti consumi culturali. Questo è un dato oggettivo, reso noto dal Bilancio dello Stato dedicato alla cultura. Si tratta di valori in crescita, ma comunque bassi se paragonati ad altri paesi come la Francia. L’Italia è un territorio ricco di patrimonio artistico e culturale in senso lato, votato alla conservazione e alla valorizzazione, ma la creazione di cultura resta una chimera. Quindi oggi destinazioni che investono molto in creatività come Berlino o il Regno Unito risultano essere più interessanti e vive. La dimensione del creare è importante perché una cultura vitale è in grado di rendere la società più fertile, vivace ed attrattiva. 

Qual è il ruolo di imprenditori ed imprese in questo panorama? 
Più che ruolo si tratta di un dovere di consapevolezza. Chi fa impresa in Italia deve essere consapevole che un pezzo del suo successo è legato alla cultura di questo Paese. La chiave che spinge imprenditori e aziende a cercare di includere i valori di questa cultura nei propri prodotti. Non per forza adottando un monumento, ma, per esempio, armonizzando la propria impresa con il paesaggio circostante. Essere responsabili verso la cultura del territorio passa anche da operazioni di questo genere. Il Paese in assoluto credo dovrebbe avere maggior consapevolezza di quanto la cultura sia un elemento di competitività per i mercati mondiali.

Chi sono i moderni mecenati?
Sdoganerei la definizione classica di mecenate. D’altra parte l’intervento di un imprenditore sulla cultura non è per forza mecenatismo. Svincoliamo questa figura per tornare a concetti che stavano dietro ai veri mecenati. La funzionalità dell’investimento in cultura credo vada riconosciuta. Investire in cultura, conservazione e creazione del patrimonio culturale è qualcosa di cui andare fieri e rendere noto alla propria comunità di lavoratori di impresa. L’idea è superare il mecenatismo come pura donazione, in favore di una visione in cui il sostegno alla conservazione del patrimonio culturale possa essere, a pieno titolo, integrata nella produzione. 

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