Il Museo Agusta a Cascina Costa.jpg

Sono nati come dei semplici mausolei autocelebrativi, ma sempre di più gli spazi espositivi delle aziende si stanno trasformando in luoghi di partecipazione esperienziale e di condivisione di valori e storytelling in grado di coinvolgere i visitatori-consumatori nel corporate heritage

I primi musei aziendali aperti al pubblico vennero creati a inizio del Novecento negli Stati Uniti, un Paese che, per sua natura, identifica buona parte della propria storia con l’età industriale. In Europa, uno dei primi casi fu, nel 1906, quello del produttore di ceramiche inglese Josiah Wedgwood & Sons – attivo dalla metà del 1700 – e della casa automobilistica Daimler-Motoren-Gesellschaft, istituito nel 1911.

Per questi pionieri il museo aziendale sorgeva imitando il modello del tradizionale museo d’arte: questi ultimi erano nati dalle collezioni con cui famiglie aristocratiche o nazioni mostravano la propria grandezza, esponendo all’ammirazione del pubblico oggetti unici e straordinari. Allo stesso modo, le prime aziende che istituirono delle esposizioni museali intendevano mostrare cimeli (ad esempio oggetti appartenuti al fondatore), oppure dei propri prodotti ritenuti notevoli in quanto unici, rari o preziosi.

In questa prospettiva, le raccolte di manufatti industriali avevano un consistente svantaggio rispetto a quelle di opere d’arte, non solo per il maggior prestigio che a queste ultime veniva riconosciuto dalla cultura “alta”. In primo luogo, gli strumenti della produzione e i prodotti dell’industria diventano “vecchi” prima di diventare “antichi”, quindi è molto facile che vengano sostituiti e dimenticati, prima di iniziare a essere considerati qualcosa che sia rilevante conservare per le future generazioni. Inoltre l’industria crea, per sua natura, oggetti standardizzati, prodotti in serie: risulta quindi particolarmente difficile riconoscere in essi quei criteri di “unicità” che, nella prospettiva tradizionale, devono caratterizzare un oggetto degno di far parte di una raccolta museale.

Il corporate heritage è oggi visto dalle imprese come una risorsa da valorizzare e da trasformare in vantaggio competitivo, attraverso operazioni che uniscono finalità culturali ed economiche

Bisogna infine dire che gli oggetti industriali destinati alla produzione o al consumo, “tradiscono” in parte la loro natura, una volta che vengono posti su un piedistallo – talvolta letteralmente – per essere trasformati in monumento.
In anni recenti, tuttavia, la museologia ha adottato una prospettiva più complessa e oggi il museo è sempre meno un luogo in cui gli oggetti vengono semplicemente preservati ed esposti come se fossero “congelati” in una bacheca. Se laboratori, percorsi esperienziali, strumenti multimediali interattivi fanno ormai parte a pieno diritto dell’offerta dei musei che espongono manufatti artistici, è facile capire come questa maggiore ricchezza di strumenti e di linguaggi porti beneficio anche a entità meno convenzionali, come i musei industriali e d’impresa.

Oggi, inoltre, si è compreso che anche la dimensione della produzione e quella dell’impresa fanno parte dell’identità culturale di un Paese, quindi protagonista del museo non è più esclusivamente il manufatto eccezionale, ma l’intera vicenda di un’azienda o di un brand. Diventano così possibili musei che raccontano l’evoluzione storica di un marchio attraverso l’esposizione di oggetti fabbricati in serie e presenti anche nelle case dei visitatori (come il Museo Kartell), o addirittura che ruotano attorno a prodotti abitualmente disponibili nei supermercati (come nel caso della Galleria Campari); inoltre il percorso di visita al museo si integra con la visita all’impianto produttivo, oppure con eventi che radunano club di appassionati di un marchio o di un prodotto, come avviene – in realtà diversissime – nel caso del Museo Ducati e nel Museo della Grappa di Poli Distillerie. 

Laboratori, percorsi esperienziali, strumenti multimediali: il museo è sempre meno un luogo in cui gli oggetti vengono semplicemente preservati ed esposti come se fossero “congelati” in una bacheca

Se i linguaggi e le funzioni delle esposizioni museali sono maturati, è cambiata anche la sensibilità dell’impresa, che ha capito l’importanza di sostituire il paradigma del museo-mausoleo con quello della partecipazione esperienziale e dello storytelling condiviso con i consumatori-visitatori. Il corporate heritage – cioè l’eredità unica e non imitabile che ogni impresa riceve dal suo passato – è oggi visto come una risorsa da valorizzare e da trasformare in vantaggio competitivo, attraverso operazioni che uniscano finalità culturali ed economiche.

Questo cambio di prospettiva, tuttavia, richiede investimenti ingenti: recuperare cimeli della storia aziendale, creare uno spazio in cui esporli, renderlo accessibile al pubblico: questi sono solo i primi passi del processo, benché già di per sé molto costosi. Un museo aziendale deve infatti essere tenuto vivo, con la creazione di un archivio storico, un flusso costante di nuove ricerche e la promozione di eventi. Molte imprese si fermano ancora oggi alle prime fasi, accontentandosi di un museo-monumento tradizionale, un problema che affligge soprattutto le piccole e medie imprese che non dispongono di molte risorse da dedicare ad attività esterne al core business.

Fortunatamente la nuova sensibilità ha portato alla creazione e alla diffusione di realtà associative - come l’Associazione italiana per il patrimonio industriale (AIPAI), fondata nel 1997 e Museimpresa, creata nel 2001 - a un maggiore coinvolgimento del mondo dell’Università e della ricerca, così da gettare anche in Italia le basi per lo sviluppo di un approccio più maturo e diffuso al corporate heritage. 



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