Tra i fattori che agirono da incentivo al decollo industriale del Nordovest fra Otto e Novecento e che nel contempo ne furono il corollario, figura la notevole crescita della popolazione urbana. Nel 1881 quella residente nei Comuni con oltre 20.000 abitanti non costituiva nemmeno un quarto del totale e quella ospitata dalle maggiori città (Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova) rappresentava solo il 5 per cento. Trent’anni dopo la popolazione urbana era cresciuta dal 23,7 al 31,3 per cento e quella dei principali centri toccava quasi l’8 per cento. In particolare, tra la fine dell’Ottocento e i primi del nuovo secolo, città come Milano, Torino e Genova avevano cominciato a registrare sensibili incrementi per via dell’afflusso di parecchia gente da fuori.

Fin dal 1901 la popolazione residente entro la vecchia cinta del capoluogo ambrosiano superava di oltre il 50 per cento quella registrata vent’anni prima. Un fenomeno analogo stava avvenendo, sia pur in misura minore, a Torino e a Genova.

Milano, Torino, Genova. La storia dello sviluppo economico italiano tra Ottocento e Novecento si gioca tutta qui, in queste tre città cresciute insieme alla manifattura, mentre i Comuni si trasformavano, anch’essi, in aziende

Perciò furono questi gli anni in cui vennero inaugurati, dapprima, grandi piani di sviluppo edilizio e di risanamento urbano e, poi, vennero estese via via le cinte daziarie e le aree suburbane. Tant’è che, in seguito alla crescente insufficienza di abitazioni e di servizi, e quindi al rincaro degli affitti, si avvertì la necessità di nuove misure e normative che valessero a contrastare la speculazione, calmierassero i prezzi e provvedessero alla realizzazione di nuove opere pubbliche. A questi obiettivi intendeva corrispondere la legge presentata dal governo Giolitti nel 1904 con cui, ridefinita l’imposta sulle aree fabbricabili, si stabilì il principio dello svincolo degli espropri dal valore commerciale dei terreni e vennero disposti vari stanziamenti per lo sviluppo dei primi Istituti per le case popolari.

Alla crescita della popolazione nei centri industriali del Nordovest concorse soprattutto l’esodo verso le città di gente dalle vallate alpine. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e poi sempre più intensamente nel decennio successivo, all’emigrazione stagionale andò sostituendosi man mano un movimento di esodo definitivo: in parte, verso altri paesi europei e le Americhe; in parte, verso le tre città dell’incipiente “triangolo industriale” dove si potevano mettere a frutto certe tradizionali esperienze nella lavorazione dei metalli, dei manufatti tessili, del vetro e del cuoio, e di altri materiali.

Alla crescita della popolazione nei centri industriali del Nordovest concorse soprattutto l’esodo verso le città di gente dalle vallate alpine

Ad alimentare le più folte correnti migratorie furono, in Piemonte, le zone della bassa montagna della Val di Susa, di Lanzo, del Cervo e del Sesia, che videro lo spostamento di centinaia di nuclei famigliari verso Torino, i circondari di Pinerolo e Lanzo, di Biella e del Verbano. In Lombardia l’emigrazione dalle Prealpi e da altre zone di fondovalle si concentrò soprattutto su Milano, che così registrò un aumento annuale, fra il 1901 e il 1911, di 107 persone ogni 1.000 abitanti nel capoluogo lombardo e nei comuni limitrofi. Due terzi degli immigrati risultavano nel 1911 originari da altre province lombarde, il resto di loro proveniva in genere dall’Alto Milanese. Nel frattempo il lungo segmento di centri minori e di insediamenti produttivi che collegava Milano con gli altri circondari della regione, prese ad allargarsi e a ispessirsi per il trapianto di molti gruppi famigliari non più disposti a tirare avanti nelle grame condizioni di vita della montagna.

La crescita delle dimensioni demografiche e territoriali a Milano e Torino determinò non soltanto un ampliamento del mercato per la maggior domanda di beni e servizi, ma anche lo sviluppo di infrastrutture e di altre risorse non quantificabili ma egualmente importanti: come quelle rappresentate da istituzioni finanziarie, attività commerciali e di intermediazione. Inoltre lo sviluppo urbanistico si accompagnò con l’elevazione dei livelli di istruzione, con la creazione di istituzioni di ricerca e di informazione e con la nascita di nuove funzioni amministrative. In tal modo venne crescendo, insieme a capitale umano, un complesso di attitudini e di capacità che arricchì il tessuto sociale e le potenzialità del sistema economico.

  Nella foto: fotogramma tratto da "La via del petrolio" di Bernardo Bertolucci - 1967

In questo mutamento di scenario l’avvento dell’energia elettrica svolse un ruolo importante. Ancor prima ch’essa fosse pienamente utilizzata, la prospettiva di un rilevante aumento, a costi convenienti, di forza motrice destinata a soppiantare in parte l’impiego del carbon fossile, venne accolta – per dirla con Francesco Saverio Nitti – come “l’annuncio della liberazione dell’Italia da uno stato di inferiorità secolare” e il preludio del futuro industriale del Paese. D’altronde, lo sviluppo dell’industria elettrica avvenne in base a un eccezionale dispiegamento di mezzi finanziari: dei due miliardi e mezzo di maggiori investimenti azionari registrati nel 1914 rispetto al 1896, oltre il 20 per cento venne infatti assorbito dalle società elettriche (soprattutto dalla Edison, fondata a Milano nel 1882, per iniziativa del senatore Giuseppe Colombo).

A livello tecnologico, determinante era risultato il perfezionamento dei sistemi di trasporto a distanza dell’energia (studiato da Galileo Ferraris). Nel 1898 la nuova centrale di Paderno della Edison, con una potenzialità di 6.000 kW, aveva iniziato a fornire energia elettrica quasi interamente a Milano; nel frattempo Carlo Esterle, designato dalla Banca Commerciale alla guida della Edison, aveva provveduto a risanare le precedenti perdite di gestione. Alla Edison si affiancò l’Azienda elettrica municipale. Un’impresa analoga sorse, per iniziativa dell’amministrazione comunale, anche a Torino.

D’altra parte fu questo un periodo in cui si affermò, sia a Milano che a Torino, al di là delle diverse connotazioni politiche della giunta municipale, l’idea del Comune come “azienda”, quale promotore e comprimario, di importanti iniziative per lo sviluppo delle infrastrutture (a cominciare dalle strade e dai trasporti tramviari), dell’edilizia abitativa popolare, del sistema scolastico, nonché per il miglioramento delle condizioni igieniche e dell’assistenza sanitaria. Quest’opera venne man mano estendendosi dai quartieri centrali alle barriere periferiche.

Probabilmente i Comuni avrebbero potuto fare di più nell’organizzazione del territorio. Nonostante l’affermarsi nel periodo giolittiano del principio di un indennizzo nell’esproprio dei suoli urbani (per finalità d’interesse collettivo) svincolato dal valore commerciale dei terreni, a Milano e Torino l’amministrazione municipale non giunse infatti a porre un freno adeguato alla speculazione e all’aumento crescente di valore delle aree fabbricabili. Poiché non vennero accolte le petizioni avanzate dai Comuni di Milano e di Torino per il varo di un progetto di legge che consentisse agli enti locali più ampia facoltà nel concedere terreni in enfiteusi.

In Lombardia l’emigrazione dalle Prealpi e da altre zone di fondovalle si concentrò soprattutto su Milano, che così registrò un aumento annuale, fra il 1901 e il 1911, di 107 persone ogni 1.000 abitanti

La vasta attività intrapresa dall’amministrazione civica milanese, determinando un sensibile aumento delle spese, comportò l’introduzione di nuove imposte. Tanto che nel 1906 il sindaco di Milano Ettore Ponti fu costretto a dimettersi. Ma si trattò di una crisi di breve durata. Anche perché dopo il grande successo dell’Esposizione internazionale di quell’anno Milano conobbe una nuova fase di crescente sviluppo. Gravi problemi di bilancio angustiarono anche il Comune di Torino, ma vennero comunque riassorbiti dalla giunta di Teofilo Rossi di Montelera nell’ambito di un’espansione industriale che toccò il culmine nel 1911, l’anno in cui venne celebrato, con una grande Esposizione universale, il primo cinquantennio dell’unità nazionale.

A ogni modo, evidenti risultavano i progressi realizzatisi nel corso del primo decennio del Novecento non solo a Milano e a Torino, ma anche a Genova, che ne avevano mutato sia gli scenari che le prospettive, in seguito alla crescita del numero delle imprese, delle maestranze occupate nell’industria e nel terziario, dei consumi di energia elettrica, nonché dei progressi realizzati nelle infrastrutture e nell’istruzione pubblica. Tanto che gli indici di sviluppo di queste tre città risultavano, alla vigilia della Grande Guerra, non molto distanti da quelli del Nord-Est francese, della Svizzera, del Belgio e della Germania.

Gli indici di sviluppo di queste tre città risultavano, alla vigilia della Grande Guerra, non molto distanti da quelli del Nord-Est francese, della Svizzera, del Belgio e della Germania

D’altra parte, di grande importanza era stata l’espansione avvenuta nel frattempo dei traffici con l’Oltralpe. A questo riguardo avevano contribuito, per il circondario di Milano e per buona parte della Val Padana, l’apertura nel 1882 della linea ferroviaria del Gottardo e poi, nel 1906, di quella della galleria del Sempione, che avevano rinverdito la vocazione commerciale della capitale lombarda e accresciuto sia le sue potenzialità industriali sia le sue relazioni con l’Europa centrale e del Nord. Per Torino, un ruolo analogo aveva svolto il Moncenisio da quando erano riprese nel 1898 (dopo la normalizzazione delle relazioni con la Francia) le sue funzioni di collegamento fra l’Italia nord-occidentale e i grandi mercati di Lione e di Parigi sino agli scali sulla Manica e sull’Atlantico.

A sua volta Genova, che aveva conosciuto forti sviluppi nell’industria siderurgica e cantieristica, era anche divenuta, dopo il 1896, il principale emporio italiano per volume di traffici, per movimento di navi in entrata e in uscita, per densità di agenzie commerciali e di compagnie di assicurazione.

Si spiega pertanto come venne formandosi, attraverso la saldatura delle tre città del Nordovest, quel robusto embrione di un sistema economico e sociale destinato a costituire per molto tempo l’asse portante del processo di industrializzazione e modernizzazione del nostro Paese.

 

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