L’arte raffinata di Alberto Magnani, artista nato ad Arborea Oristano nel 1945, con studio a Induno Olona, in quel di Varese, e a New York, dove giunge per la prima volta nel 1974, prosegue nel solco di una tematica che sembra guardare con persistente fedeltà a Warhol e alla sua famosa Factory. Ma concettualmente, soprattutto nel più recente percorso - compresa la mostra varesina in corso a Punto sull’Arte - sembra alludere a Pirandello. I suoi critici, osservandone le opere affollate di indumenti messi a tacere nei cassetti o negli armadi, oppure adagiate su bianchi panneggi di tessuto - scarpe, pantaloni, coloratissime camicie e cravatte - parlano di un racconto dove il principale tema della narrazione gira attorno al concetto di pieno e vuoto: quel vuoto che è dato dal corpo e dalla vita di chi ha appena dismesso, oppure si accinge a indossare, proprio quegli indumenti. Il vuoto, il grande assente, è insomma l’uomo la cui fisicità è invisibile. Eppure, suggerita, quasi invocata dagli indumenti belli ed eleganti, gusci provocatoriamente frivoli, nell’appagante resa segnica e cromatica della mano dell’artista: ispirato sì, e senza fine, per innamoramento giovanile, all’arte americana degli anni Sessanta, ma anche alla morbidezza elegante e preziosa di panneggi di broccati rinascimentali, di sete e velluti aperti alla luce come corolle di fiori. 

Nota la curatrice Alessandra Redaelli in catalogo: “Qui si dispiega il gioco seduttivo di un pittore capace di rivelare strato dopo strato, sotto la perfezione, abissi di significato. La leggibilità della figurazione va qui - ancora una volta - a intrecciarsi con le fascinazioni di un concettuale ripensato e domato come solo la vera arte contemporanea sa fare. E al centro di tutto, re assoluto, c’è l’oggetto. Quell’oggetto che Picasso ha voluto scompaginare e nel quale il Surrealismo ha cercato significati reconditi: l’oggetto che Andy Warhol ha strappato da uno scaffale di un supermercato e che l’espressionismo astratto ha distrutto nel caos”.

Nella mostra si evidenzia, con tangibile allusione, la recente svolta iconografica e artistica di Magnani. Che accentra il suo interesse, oltre che sugli amati indumenti, su nuovi oggetti, come caschi da bicicletta e maschere: maschere africane e veneziane. Anche qui i tratti sono decisi, il disegno è pulito, come i provocanti colori in netto contrasto e risalto tra loro: ma Magnani si diverte a introdurre questi nuovi oggetti sottomettendoli al giudizio di altri occhi e altre menti.  La maschera (in latino persona, da per-sonare, cioè suonare attraverso, poiché le antiche maschere del teatro latino, grandi e larghe, dovevano fare da amplificatori alla voce dell’attore) è quell’abito facciale di scena ora allegro, ora triste, ora ricco ora povero, ora grottesco o drammatico, che rappresenta la complessità umana: qualcuno ricorderà sull’argomento il particolare film di Ingmar Bergman “Persona”, indagato con interesse anche da Moravia, che ha come protagonista una donna, un’attrice di teatro, cioè l’incarnazione perfetta di persona e personaggio insieme. Le maschere, anche quelle di Magnani, possono essere, come nell’idea pirandelliana della persona, una, nessuna e centomila: un divertimento che attende il nostro e che fa sperare, a chi ama l’originalità di questa mano - e mente felice - d’artista, in una produzione sempre più varia e avventurosa. 

Per Alberto continua dunque il viaggio - nel cuore e nella mente umana - vissuto all’insegna dell’ironia e della leggerezza (come nella commedia goldoniana) ma anche della sofferenza, della complessità ingannevole della vita, della tragedia così fedelmente rappresentata dal teatro di Euripide o di Shakespeare. 

ALBERTO MAGNANI.
EMPIRE OF THINGS
L’IMPERO DEGLI OGGETTI

9 - 29 settembre 2018
Punto sull’Arte (Varese, Viale Sant’Antonio, 60/61)
Martedì-sabato 10-13/15-19 - info@puntosullarte.it

 



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