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È stimato che ognuno di noi abbia in corpo una quantità di plastica pari alla dimensione di una carta di credito. È da questa valutazione che nasce ProPla: il progetto dell’Università degli Studi dell’Insubria volto ad eliminare da fiumi, mari, laghi e dall’acqua che arriva fino ai nostri rubinetti, le microplastiche troppo spesso ingerite dall’essere umano. E che i ricercatori hanno trovato il modo di valorizzare convertendole in aminoacidi da cui ricavare biopolimeri, biodiesel e altri materiali biotecnologici

Al microscopio appaiono di diverse forme e svariati colori. Piccolissime e talvolta invisibili, invece, ad occhio nudo. Sono le microplastiche presenti nell’acqua, che, in modo del tutto inconsapevole, vengono mangiate o bevute dall’essere umano. Quindi no, non è da considerare solo quella dei mari, dei laghi o dei fiumi, ma tutta l’acqua. Compresa quella che scorre dai rubinetti di casa e persino nella lavastoviglie, che è esattamente la stessa con cui si riempiono le pentole per preparare del cibo. Ecco come quei minuscoli e pericolosi frammenti di plastica finiscono nell’organismo. Non è fantascienza. È ciò che dicono gli studi. “È stato stimato che ognuno di noi abbia in corpo una quantità di plastica pari alla dimensione di una carta di credito”, spiega il professore dell’Università degli Studi dell’Insubria, Loredano Pollegioni, che proprio da questo fenomeno, insieme a un team di ricercatori dell’ateneo, dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Milano Bicocca e dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr, ha dato vita a ProPla, acronimo di Proteins from Plastics

Si tratta di un progetto finanziato da Fondazione Cariplo, nell’ambito del bando 2022 “Economia Circolare: Promuovere ricerca per un futuro sostenibile”, il cui obiettivo è quello di degradare e, al contempo, valorizzare la plastica raccolta dalle acque, dannosa sia per l’ambiente, sia per tutti gli esseri viventi, da quelli che popolano gli ecosistemi marini e di acqua dolce, fino all’uomo. Il tutto con un approccio multi e interdisciplinare, grazie al coinvolgimento e alle competenze di 6 diverse unità di ricerca, attive nello studio dell’inquinamento da plastica, nell’ingegneria enzimatica, nella microbiologia e biologia dei sistemi, nell’entomologia (il ramo della zoologia che studia gli insetti), nell’economia e nello studio del ciclo di vita dei materiali. Ciò che si propone di fare ProPla è, dunque, convertire le microplastiche a base di Pet, il polietilene tereftalato, più comunemente conosciuto come la plastica delle bottiglie, in qualcosa di utile come gli aminoacidi, ovvero quelle molecole cruciali per ottenere le proteine, componenti fondamentali della nutrizione e, come in questo caso, di materiali biotecnologici.

Ma come è possibile questa valorizzazione? Praticamente le microplastiche, una volta raccolte dalle acque attraverso dei particolari filtri, vengono degradate con un approccio ecologico, totalmente green: in acqua e senza l’uso di solventi, alte temperature o materiali inquinanti, ma solo grazie a degli enzimi sviluppati ad hoc dal laboratorio dell’ateneo dell’Insubria tramite un particolare processo di ingegneria proteica. In questo modo, la classica plastica delle bottigliette e non solo, viene deteriorata e divisa nei suoi diversi componenti. Da qui, le molecole componenti il Pet vengono trasformate in aminoacidi attraverso un batterio Escherichia coli ingegnerizzato, cioè un microrganismo integrato di una nuova via metabolica creata artificialmente in laboratorio, apposta per permettergli di svolgere questa metamorfosi.

È così che, come spiega il professor Pollegioni, “la componente inquinante non solo viene eliminata, ma viene anche convertita in una risorsa di cui abbiamo bisogno, gli aminoacidi appunto”. In un terzo e ultimo passaggio, l’Escherichia coli viene inserito anche all’interno dell’intestino di una larva di mosca soldato, un insetto molto utilizzato nella bio-conversione degli scarti organici. Questo perché, il microrganismo ingegnerizzato, l’Escherichia coli, con il microbiota intestinale già presente nella larva, produce sostanze per alimentare l’insetto stesso che, quindi, in questo modo, si accresce. Un’innovazione, questa, sul fronte della valorizzazione e della prolificazione delle larve che, come sottolinea Pollegioni, “sono delle vere e proprie fabbriche perché al loro interno possiamo isolare le proteine, gli acidi grassi e la chitina”. Tre componenti essenziali per un’infinità di applicazioni tecnologiche compatibili con la sostenibilità ambientale. “Dalle proteine, ad esempio – continua il professore –, si possono ricavare i biopolimeri, dagli acidi grassi, il biodiesel e, allo stesso modo, dalla chitina altri materiali biotecnologici”. 

Ecco perché ProPla può essere inquadrato come qualcosa in più di un semplice progetto volto all’eliminazione delle microplastiche. Non si propone di avere ricadute solo sul fronte ambientale e della salute. Ma anche su quello tecnologico ed economico. Lo sottolinea così il professore Loredano Pollegioni: “Oltre ad eliminare quei minuscoli frammenti di plastica che sono presenti in grandi quantità nelle acque, tanto da essere stati trovati nei polmoni, nel sangue e persino nel feto umano, ProPla porta con sé anche altri due vantaggi. Da un lato, la capacità di produrre dei nuovi materiali biotecnologici in grado di valorizzare quella stessa plastica. Dall’altro, la potenzialità di ricavare dei materiali biologici di grande valore, come le proteine, gli acidi grassi e la chitina, senza bisogno di usare combustibili fossili o processi inquinanti”.  



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