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A dieci anni dal riconoscimento dell’Unesco, il patrimonio storico, culturale e didattico dell’Isolino Virginia è pronto al rilancio. Entra nel vivo la raccolta fondi per contribuire a finanziare il progetto del Comune di Varese che punta a valorizzare “La civiltà delle palafitte” attraverso il museo archeologico di Villa Mirabello. Per i donatori, i vantaggi fiscali dell’Art Bonus

Lo abbiamo a portata di mano e non ci facciamo più caso. Ma l’Isolino Virginia, oltre ad essere il sito palafitticolo dell’arco alpino di più antica frequentazione umana, si presta ad un affascinante gioco di fantasia: possiamo immaginarcelo abitato nella fase iniziale dell’età del Rame, fra 3350 e 3100 anni fa, da esseri in tutto e per tutto simili a Ötzi, l’uomo di Similaun, la mummia ritrovata nel 1991 in Val Senales e conservata al museo archeologico dell’Alto Adige a Bolzano. Un maschio adulto, alto 160 cm che al momento della morte doveva avere all’incirca 46 anni. Un’età ragguardevole per l’epoca. E uno dei primi delitti della storia umana. L’uomo venuto dal ghiaccio, come fu definito, aveva problemi ai polmoni, anneriti dalla fuliggine delle capanne e per avere respirato l’aria della lavorazione dei minerali di rame. Soffriva di artrosi e di artrite, i denti rovinati a furia di masticare farina di cereali impastati con la sabbia, fibre vegetali, pelle e tendini. Fu ucciso da una freccia che lo colpì alla spalla, penetrò nella scapola e ne provocò il dissanguamento. Un omicidio, dunque. Come scriverebbe un cronista di nera, non si conoscono altri particolari di cronaca. Se non che il corpo presenta tatuaggi nei punti sensibili al dolore come nell’odierna agopuntura. A testimonianza, forse, di una forma arcaica di medicina.

In base alle date, e soltanto a quelle, possiamo immaginare il contemporaneo Ötzi tra gli abitanti delle palafitte dell’Isolino sul lago di Varese, patrimonio Unesco e luogo del cuore. Un gioiello conservato grazie alla lungimiranza di un industriale tessile del secolo romantico, Andrea Ponti, il proprietario del lago di Varese che nel 1878 lo intitolò alla moglie Virginia Ponti Pigna. Prima si chiamava isola di San Biagio, poi Camilla in onore della duchessa Camilla Litta Visconti Arese, infine Virginia quando la proprietà passò ai marchesi Ponti. Nel 1962, il marchese Gian Felice lo donò al Comune di Varese.

Torniamo alle palafitte e affidiamo il racconto al conservatore dei Musei Civici di Varese Barbara Cermesoni, 51 anni, di Castiglione Olona, laureata in lettere classiche con indirizzo archeologico alla Statale di Milano con tesi sul villaggio neolitico di Sammardenchia, a Pozzuolo del Friuli, in provincia di Udine. Spiega l’archeologa: “Immaginiamo di essere nel periodo che segue il cambio di clima dell’ultima glaciazione. Muta l’ambiente. Nel vicino Oriente si cominciano a praticare l’agricoltura e la pastorizia, piccoli gruppi nomadi si muovono e arrivano in Europa. Portano con sé animali e semi già addomesticati, capre e pecore, s’insediano i primi coltivatori, che praticano anche caccia e pesca. In quel momento intorno al lago di Varese la vegetazione è già simile all’attuale, il clima caldo, più umido di oggi, nelle valli prospera l’abete bianco oggi scomparso. Vi pascolano cervi, cinghiali, lepri e nuotano i castori. S’aggirano i lupi, gli orsi bruni stanno più in alto, in alta valle”.

Durante la preistoria l’Isolino è stato abitato per oltre 4 mila anni, dal Neolitico Antico alla fine dell’età del Bronzo, circa nel 900 avanti Cristo. Le date più antiche risalgono al 5300 a. C. Gli abitatori dell’età del Bronzo, il periodo di massima presenza, lasciano tracce di palafitte anche a Bodio, Cazzago, Galliate, Bardello, Besnate e intorno ai laghi di Comabbio e Monate. “Qui il terreno è più facile da lavorare – dice l’esperta - le comunità non conoscono ancora l’aratro, usano l’ascia di pietra e la scapola di cervo come zappa. I villaggi hanno poche case, due tre al massimo, costruite sui pali conficcati nella terra asciutta o sulla battigia, come quelle dell’Isolino, che l’acqua ha protetto per secoli. Poche decine di persone per ogni villaggio”. All’Isolino sono venuti alla luce carboni, semi, una corda in fibra vegetale (tracce di lavorazione del lino sono stati trovati alla Lagozza di Besnate). Nel Neolitico Medio si usano già i telai per la filatura e la tessitura. Anche l’ortica è una fibra che può essere tessuta. Poi vasi, olle, strumenti realizzati con la selce, oggetti d’osso e di corno. 

Prima di approdare a Varese, Barbara Cermesoni ha lavorato nel sito neolitico di Tremona, vicino a Mendrisio, di cui è stata correlatore a una tesi di laurea all’Università di Neuchâtel, ha collaborato con i musei archeologici di Como e Milano ed è stata conservatrice al museo di Erba per quattordici anni: “Occuparmi dell’Isolino era il mio sogno - confessa -. È un luogo spettacolare, ha una grande valenza paesaggistica e turistica, deve solo farsi conoscere in Italia e nel mondo. Ora abbiamo un grande progetto. Nel 2021 festeggiamo dieci anni dal riconoscimento Unesco con una mostra e il riallestimento del museo archeologico di Villa Mirabello a cura della Soprintendenza all’archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Lombardia occidentale. Il Comune di Varese e il sindaco Davide Galimberti ci stanno dando una mano con un piano d’investimenti. Vogliamo sfruttare la tecnologia per rendere visibile l’ambiente subacqueo e coinvolgere il turista. Finora abbiamo in cassa 30.200 euro di donazioni e l’adesione di un’azienda sponsor per 25.000”.

Ancora una curiosità: l’uomo moderno potrebbe cavarsela se vivesse nella preistoria? “Temo che non saremmo in grado di sopravvivere, ci mancherebbe la manualità necessaria - risponde l’archeologa -. Però possiamo immaginare quel tipo di civiltà. Abbiamo un bravo archeologo di Arsago Seprio, Cristiano Brandolini, che sta ricostruendo al Museo Ponti l’interno di una palafitta con gli strumenti d’uso quotidiano, lavorando l’argilla e altri materiali dell’epoca. Anche così proviamo a fare rivivere il nostro passato”.  

L’appello del Sindaco di Varese: “Curiamo i beni che il mondo ci invidia”

“L’Isolino Virginia, patrimonio Unesco, è diventato bene pubblico grazie alla donazione della famiglia Ponti, una dinastia di imprenditori capaci e generosi. La ricchezza del nostro territorio è legata a molti mecenati di questo calibro, persone che hanno creduto nell’importanza di investire nel bene pubblico e nel fare qualcosa per gli altri. Questo lascito ci interpella e ci chiama a non disperdere quanto abbiamo ricevuto. Occorre uscire da una mentalità che vede i beni pubblici come un patrimonio di competenza altrui: sono nostri! La donazione Ponti è, di fatto, di tutti noi. Mi auguro che anche oggi tanti varesini si sentano chiamati a dare il proprio contributo in prima persona. Un aiuto che, grazie all’Art Bonus, può anche diventare doppiamente conveniente, con la possibilità di recuperare il 65 per cento della donazione come credito di imposta. È un grande incentivo, che di fatto permette anche di lasciare sul nostro territorio una parte delle tasse che versiamo. L’appello che mi sento di rivolgere è molto semplice: chi può, contribuisca a curare beni che il mondo ci invidia. Possiamo riportare Varese e la Lombardia al centro dell’attenzione internazionale, come è stato nel passato. Possiamo segnare una svolta, investendo su una possibilità concreta per un futuro migliore. Un regalo per la scuola, per i varesini del domani e per la nostra crescita culturale, turistica ed economica”.

Davide Galimberti Sindaco di Varese



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