Modelle, pittrici o muse dei potenti: le donne assurte nella storia dell’arte, alcune delle quali inaspettatamente legate al Varesotto (e a Saronno in particolare), si prendono la rivincita. Libri, mostre e progetti cittadini riportano in luce bellezza e verità del mondo femminile, fin troppo spesso celato alla fama e alla notorietà 

L’arte è donna. Osiamo affermarlo anche perché, tra le opere più ammirate, sono sempre i ritratti femminili a destare la maggior attenzione. Di Michelangelo è il soave viso marmoreo della Pietà, conservata nella Basilica di San Pietro, a essere soprattutto impresso nella universale memoria. Di Raffaello è la bella Fornarina. Tiziano si dilettò a sua volta a ritrarre la fisicità conturbante della sua Venere, copiata anche da Goya. Di Leonardo, enigmatico ritrattista, sono due volti femminili notissimi, quello della Gioconda, di inavvicinabile attrattiva e notorietà e l’altro di Cecilia Gallerani, la bellissima dama dell’ermellino. 

Era adolescente al momento dell’incontro con il trentacinquenne Ludovico il Moro. Fu poi madre di un figlio, Cesare, avuto e riconosciuto da Ludovico. Di aristocratiche ascendenze, Cecilia era nota per l’avvenenza ma anche per la sua cultura, grazie agli studi e alla frequentazione di ambienti intellettuali e raffinati in cui sapeva essere punto di riferimento. Destinato per ragioni dinastiche a sposare Beatrice d’Este, Ludovico volle comunque assicurare all’amata e all’erede un cospicuo patrimonio e un titolo, assegnando loro il feudo di Saronno. Una delle più affascinanti donne della storia dell’arte ha dunque legato il suo nome alla città che ha conosciuto anche lo splendore dell’arte di Gaudenzio Ferrari. Si sa che Cecilia, andata sposa a Ludovico Carminati de’ Brambilla, rimase sempre affezionata a Milano e alla sua corte. Il ritratto di Leonardo, che esalta la raffinatezza del viso perfetto, testimonia la profonda conoscenza della donna da parte del pittore, attivo in quel periodo alla corte di Ludovico il Moro. Qualche studioso ha sottolineato come il viso di Cecilia ricordi quello della Gioconda. E l’animaletto candido, trastullo di tante dame del tempo, richiami alla purezza e nel suono del nome (in greco: gale) ai Gallerani. Approfondire la storia dell’arte significa sempre più scavare nel contrastato percorso di vita che, da sempre, contraddistingue la storia delle donne. E allora, si scopre, la verità ha tante facce, non sempre belle.  Siano artiste come Artemisia Gentileschi, Berthe Morisot, Camille Claudel, compagna e collega di Rodin, siano muse ispiratrici dei colleghi, note o anche nascoste. Il cammino è sempre pieno di difficoltà, di sacrifici, di sforzi immani per ottenere il giusto riconoscimento del ruolo avuto. 

Basti pensare che la Morisot, dopo una vita dedicata all’arte, si vide scrivere sulla tomba “senza professione”. A raccontarci anche queste verità è un recente saggio della storica dell’arte, giornalista e scrittrice Lauretta Colonnelli, intitolato “Le muse nascoste. Protagoniste dimenticate di grandi opere d’arte”, edito da Giunti. L’opera risulta particolarmente interessante, quale virtuale tour, da museo a museo. Ma è insieme viaggio, in mondi e tempi diversi, passando da artista a artista, negli studi dei maggiori protagonisti. Dove sono nati capolavori indimenticabili. E hanno posato o vissuto o lavorato da ritrattiste, spesso nel silenzio, donne che hanno emozionato il mondo da quella penombra attraversata. “Devi essere mela”, diceva Cézanne alla moglie quando posava per lui. Rimasero assieme per più di 30 anni. Lei continuò a posare per lui, affossata nei suoi abiti pesanti, senza sorridere. Compresa nel suo ruolo di musa, silenziosa e immobile, rispettosa e complice della mano immortale di Paul.

A Cecilia Gallerani, la bellissima Dama dell’ermellino di Leonardo, Ludovico il Moro assegnò il feudo di Saronno. Una delle più affascinanti donne della storia dell’arte ha dunque legato il suo nome alla città che ha conosciuto anche lo splendore del genio di Gaudenzio Ferrari

Tra le tante protagoniste ricordate nell’opera balza all’occhio l’avvincente figura di Simonetta Cattaneo Vespucci, la Venere del Botticelli, la musa per eccellenza. L’abbiamo incontrata agli Uffizi, magari più volte e tutti ce ne siamo innamorati. Andò sposa, a soli 15 anni, a Marco Vespucci, erede di una dinastia di notai e banchieri, cugino del navigatore Amerigo che diede il suo nome al Nuovo Continente. Fu amante di Giuliano de’ Medici, fratello di Lorenzo il Magnifico. È rimasta celebre nella storia di Firenze, della quale era signore Lorenzo, la vittoria di Giuliano nella giostra di piazza Santa Croce. Prima della competizione lui aveva mostrato al pubblico uno stendardo dipinto dal Botticelli, campeggiava la scritta “La sans Par”. Un omaggio a Simonetta, la donna amata, da parte del suo cavaliere. Era il 1475, il 29 gennaio. Appena un anno dopo Simonetta, non si sa come, morì. Qualcuno disse avvelenata. Firenze pianse la sua giovane bellezza. La bara fu portata per la città a spalle, tra i fiorentini in lacrime.   

Il libro di Colonnelli racconta anche di muse-artiste, come Elisabeth Vigée Le Brun. Invece che posare da musa, le muse lei le ritraeva. Molto versata nella pittura di deliziose figure femminili e di bambini, giudicata tra i migliori artisti del tempo, fu la ritrattista di corte di Maria Antonietta. Preoccupata per le scarse finanze del marito, sostenne economicamente la famiglia con il suo lavoro. E, superato il momento difficile della Rivoluzione francese, continuò la sua opera alla grande. Di questo successivo periodo è testimonianza anche il ritratto che la Vigée Le Brun fece per una celebre musa varesina, una donna famosa in tutta Europa per doti artistiche, ma anche per essere una delle amanti di Napoleone. La rivale di Giuseppina Beauharnais, prima moglie dell’Imperatore, era la varesina Giuseppina Grassini. Nata a Varese, discendeva per parte di madre da Bernardino Luini e avrà, tra le sue eredi canore, un’altra gloria femminile del bel canto, l’allieva saronnese Giuditta Pasta. E qui la memoria storica ci riporta a Saronno, dove a Giuditta è stato dedicato un museo (del quale abbiamo raccontato sul numero 6/2020 di Varesefocus).  

A sottolineare il ruolo fondamentale delle donne nell’arte sarà anche una prossima mostra milanese, da tenersi, pandemia permettendo, dal 2 marzo a Palazzo Reale “Le signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, curatori Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié. A volerla fortemente sono stati il Comune di Milano e Arthemisia, con il sostegno della Fondazione Bracco cui tocca il compito di supportare le ricerche diagnostiche sulle opere esposte e la collaborazione editoriale di Skira. E qui le 34 protagoniste sono figure davvero forti e significative di un momento storico-artistico. I nomi sono quelli delle più importanti rappresentanti dell’arte, destinate a rimanere nel firmamento dell’eccellenza, a parità dei colleghi maschi. Le 150 opere esposte, provenienti da 67 prestatori diversi, sono testimonianza e altissimo racconto di una volontà femminile tesa a dimostrare la modernità di vita e pensiero e il coraggio delle donne.

Tra le tante in mostra Artemisia Gentileschi, nota per l’oltraggio subìto nello studio del padre Orazio e per l’indecoroso processo dopo la violenza ricevuta. L’indomita capacità di vivere, da donna e artista, ne hanno fatto una protagonista. Ben nota anche la cremonese Sofonisba Anguissola, vissuta tra la corte di Filippo II a Madrid, la Sicilia e la Liguria. Era figlia di pittore Lavinia Fontana. Si sposò alla sola condizione che il marito accettasse il suo lavoro d’artista. La bolognese Elisabetta Sirani è pittrice femminista ante litteram nei temi proposti, raffiguranti il coraggio femminile e la ribellione contro la violenza maschile. Anche Fede Galizia, con l’opera “Giuditta e la testa di Oloferne”, fissa per sempre la fierezza della regina a difesa dei suoi sudditi. Tante donne si materializzano in questa mostra. Erano unite dallo stesso desiderio: lavorare bene e con amore. 

 



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