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Come immortalare una chiesa scarsamente illuminata? Quale soggetto può dare la sensazione di un ambiente fuori dal tempo? Come aggirare gli ostacoli antiestetici delle automobili parcheggiate che impediscono di avere l’immagine pulita di un monumento? Come uno scatto diventa in maniera fortuita racconto di attualità? Ecco alcuni consigli del fotografo Arturo Bortoluzzi per trasformarsi in fotoreporter di strada per un giorno

Busto Arsizio, Castellanza, Gallarate e Varese. Poi l’escursione sui laghi. E ora il ritorno in città, nell’estremo sud della provincia, a Saronno. Le gite di Varesefocus con macchina fotografica al collo fanno tappa nella città del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli, del Museo delle Industrie e del Lavoro, e del Museo delle Ceramiche Giannetti, solo per citare alcune delle principali attrazioni che nel tempo la nostra rivista ha raccontato. Ma stavolta il punto di vista è diverso. È quello dell’obiettivo e del tentativo di immortalare monumenti e cittadini saronnesi con l’arte della street photography. 

Il momento più difficile è sempre quello della partenza. Da dove cominciare? Non potendo dedicare ad ognuna delle mete che offre Saronno il tempo che meriterebbero, decidiamo di tralasciare i musei e optiamo per una visita approfondita del Santuario della Beata Vergine. Il resto della mattinata lo trascorreremo facendo della street photography per la città, facendoci ispirare da quello che incontreremo lungo il cammino. Dopo aver parcheggiato la macchina nei pressi della stazione, ci dirigiamo in direzione del Santuario. In lontananza scorgiamo una statua, vi è raffigurata una donna che rappresenta la Patria e che tende un arco a difesa del nemico; sul suo grembo riposano le spoglie di un giovane soldato caduto. Sul monumento campeggia una scritta: “A rimembranza dei Prodi Saronnesi che per una madre, l’Italia, lasciarono le Madri”. A lei dedicheremo la nostra prima foto. Quando si fa uno scatto è importante decidere a priori lo scopo dell’immagine e scegliere con attenzione l’inquadratura. Se volessimo descrivere il motivo della statua, dovremmo fotografarla nella sua interezza. Noi invece vogliamo solo mostrarne il lato estetico, lasciando intuire a chi guarderà l’immagine, quella che è la sua finalità; optiamo quindi per un suo primo piano. Dobbiamo però fare attenzione che nell’inquadratura la testa non si confonda con il fogliame antistante. 

Proseguendo nel cammino ecco in lontananza la cupola del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli, nostra prossima meta. Rimaniamo molto colpiti dal suo retro. La presenza delle automobili parcheggiate è, però, come spesso accade in questi casi, subito fonte di fastidio per una fotografia. Alziamo così un pochino l’inquadratura e la nostra immagine assume tutt’altro aspetto. Ma si presenta un altro problema, siamo troppo vicini per poter mantenere le linee perfettamente verticali. Pazienza, cercheremo almeno di mantenere verticale il centro dell’immagine, così la fotografia risulterà comunque armonica. Fotografato anche il fronte della chiesa, ci portiamo ora all’interno del santuario: è stupendo. La sua costruzione risale al 1498, e aveva lo scopo di dare ospitalità al simulacro della Madonna del miracolo, una statua della seconda metà del XIV secolo, posta allora in una cappella sulla strada Varesina, ritenuta dispensatrice di miracolose guarigioni. La chiesa purtroppo è molto buia, i numerosi faretti che dovrebbero illuminarla, sono in gran parte spenti. Innalziamo allora la sensibilità della nostra macchina fotografica al limite massimo che non pregiudichi con il “disturbo” la qualità dell’immagine, e montato un grandangolo stabilizzato ci prepariamo a scattare. Un paio di respiri profondi e, trattenendo il fiato, con estrema delicatezza, appoggiando i gomiti al petto, schiacciamo l’otturatore. Il tempo con il quale scattiamo è proibitivo, stiamo parlando di 1/8 di secondo, ma il fatto che stiamo utilizzando un obiettivo ultra-grandangolare e per giunta una mirrorless, rende questa magia possibile.

Proseguendo lungo la navata ci appare ora in tutto il suo splendore la cupola e sul lato sinistro un’ultima cena lignea che immortaliamo. Attaccato al Santuario vi è un oratorio; un nugolo di ragazzini sta giocando. Incuriositi proviamo ad entrare, e qui ci appare una scena quasi biblica: una ragazza con il capo coperto e con un lungo abito, sta chiacchierando con altri ragazzi. Alle sue spalle, un murales rappresentante delle montagne brulle e desertiche. L’immagine sarebbe degna del grande fotografo Salgado, così non ce la facciamo sfuggire. Vinto un iniziale timore, oggi con lo spauracchio della privacy fotografare persone diventa sempre più difficile, proviamo a chiederle se ha voglia di posare per noi con quello sfondo. Lei ne è entusiasta, ne nasce una foto bellissima senza luogo e senza tempo, che sfidiamo chiunque ad immaginare che sia stata fatta in un oratorio nel centro di Saronno.

Le gite di Varesefocus con reflex e mirrorless al collo continuano e stavolta fanno click su volti, monumenti e vie saronnesi 

Soddisfatti per questo scatto inaspettato camminiamo ora verso il centro. Superata la ferrovia, stiamo percorrendo il vialone principale che ci porta a un’altra chiesa, è quella di San Francesco. Purtroppo ci accorgiamo tardi di quello che sarebbe uno scatto magistrale: dalla sommità del portone principale, improvvisamente si vede uscire un braccio munito di cazzuola. Fossimo stati più pronti, la foto sarebbe stata fantastica. Le macchine fotografiche andrebbero sempre portate al collo per essere più rapidi, meglio se due, una con montato un teleobiettivo e una con un grandangolo. Poco male, ci rifacciamo cento metri dopo, quando su di un tabellone di metallo notiamo un manifesto che invita a partecipare ad un concorso: “Fotografa un Saronnese”. Lo spazio di fianco al manifesto è vuoto. Non ce lo facciamo dire due volte e così quando transita un ragazzo, gli chiediamo se ha voglia di mettersi in posa. Bisogna avere capacità di cogliere l’attimo e ad avere, insieme, capacità di visione e di costruire su due piedi una scenografia. 

Ora siamo diretti in quella che è la piazza principale di Saronno, dove si trova la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Un ragazzino sta giocando a pallone al centro della piazza. Fiutata una potenziale immagine di successo, ci inginocchiamo per portarci alla sua altezza e presa la macchina fotografica seguiamo i suoi movimenti facendogli una serie di scatti fino a che non sentiamo di avergli fatto quello giusto. Non lontano da lì c’è Villa Giannetti, una bella struttura, un tempo sede comunale e oggi museo della ceramica. Purtroppo è in fase di restauro. Ma all’uscita della villa, scorgiamo una sorta di torre sulla cui sommità campeggia la scritta Lus. Una persona del luogo ci racconta che si tratta di una fabbrica dismessa, dove venivano prodotte penne e pennini e altro materiale di cancelleria. La fabbrica era stata fondata nel 1929 da Umberto Legnani. Incuriositi proviamo ad avvinarci e quando ci troviamo di fronte al suo ingresso principale rimaniamo folgorati. Sembra di essere stati proiettati in un’altra dimensione, quella di un film di fantascienza. Le porte, sembrano quelle di un caveau, peccato non si possa entrare.

La mattinata è volata, è tempo di fare rientro. Sulla via del ritorno, un ultimo colpo di scena, su di un muro leggiamo una scritta riguardante la Carrà. Che fine avrà fatto? È un po’ che non se ne sente parlare. Poche ore dopo veniamo a sapere che proprio quel giorno è venuta a mancare. Lo scatto si trasforma così nella celebrazione involontaria di un mito. Anche questo è fotografia. 



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